Purtroppo è una prassi che si ripete in tanti, troppi ristoranti: facciamo (a volte) dei grandi percorsi che generano piacere al palato, alla mente, al cuore e poi chiudiamo l’esperienza con un espresso che definire cattivo è quasi un complimento. Un espresso che spesso sa di gomma, di legno, di plastica bruciata. Un espresso carico di difetti. Situazioni simili le viviamo un po’ tutti i giorni, in Italia, anche nelle caffetterie sotto casa, di fianco all’ufficio, al centro sportivo. Pure nella cucina della nostra abitazione. L’espresso lo prendiamo di fretta, spesso con la mente da tutt’altra parte, a volte mentre chiacchieriamo con qualcuno, mentre leggiamo il giornale o guardiamo la tv.
Un espresso carico di difetti
Va giù con un sorso, massimo due, e spesso viene seguito da un bicchiere d’acqua per vincere l’allappamento portato dalla qualità infima di quello che abbiamo appena bevuto, o da un biscotto per dimenticare in fretta l’amaro che ci è rimasto in bocca. Al ristorante, però, non è sempre così. Lì siamo seduti al tavolo per vivere fino in fondo un’esperienza e cerchiamo di goderci ogni momento. Anche quello finale del caffè, che per il 99% delle volte è proposto sotto forma di espresso. Dev’essere per questo che proprio al ristornate ci accorgiamo che tante volte quella bevanda scura in tazzina è tutt’altro che buona: pensiamo di aver chiuso male un pranzo o una cena e che l’unica soluzione possibile per il futuro sia di non bere più l’espresso al ristorante. La verità è che abbiamo un grosso problema con l’espresso in Italia, e i ristoranti mostrano questo nervo scoperto più delle altre attività.
In Italia la cultura del caffè è quasi nulla
Partiamo dall’inizio. In Italia pensiamo di essere maestri del caffè, di sapere come si compra, come si prepara e come si degusta. In realtà la nostra cultura è scarsa. Sarebbe meglio dire quasi nulla. E quello che succede al ristorante, a partire da chi sta curando il servizio, la dice lunga: alla fine del pasto viene quasi sempre chiesto “gradisce un caffè?”. Stessa cosa si può leggere sulla carta del ristorante, che nelle ultime pagine porta sempre la dicitura “caffè”.
Ecco, è bene sapere che il caffè è il frutto di una pianta appartenente al genere Coffea, parte della famiglia delle Rubiacee. Quello che consumiamo nel 99% dei ristoranti italiani è un espresso. Chiedere se si gradisce un “caffè” è un errore figlio della mancanza di cultura, appunto. Sarebbe un po’ come chiedere se si gradisce dell’uva al posto di una bottiglia di vino.
La Coffea, pianta che da origine al caffè
All’estero non è così: l’espresso viene chiamato espresso perché - nella quasi totalità dei casi - il barista o il cameriere sa di cosa sta parlando (la qualità di quello che viene estratto poi è un’altra cosa). Per non parlare poi della degustazione: in Italia c’è il rito dell’espresso e della moka, ma la convinzione di quasi tutti gli italiani è che in bocca si debbano provare dei sentori forti, potenti, amari. In realtà un caffè buono, a prescindere dall’estrazione che scegliamo, ci può regalare delle sensazioni magnifiche: una lieve acidità iniziale, una forte dolcezza, dei sentori fruttati o, nei casi dei caffè più eleganti, floreali. L’amaro - udite, udite - in tazza è un problema.
In troppi ristoranti italiani il caffè è trascurato
La domanda, anzi le domande, quindi, sorgono spontanee: perché in tanti ristoranti italiani il caffè è trascurato? Perché anche un ristoratore attento a ogni materia prima che finisce nel piatto è poi capace di servire un espresso al limite del bevibile? Perché in un locale che propone piatti preparati con tecniche incredibili, spesso associate alla chimica, nessuno pensa a una carta del caffè e ci viene proposto un espresso in capsula o in cialda? Perché perfino gli stellati, spesso, non sono capaci di offrire un espresso, oppure un caffè filtro o una moka di qualità?
L'espresso al bar e nei ristoranti
La risposta è una soltanto: perché l’italiano medio non è preparato in materia e l’offerta del ristorante (così come delle caffetterie, va detto) spesso e volentieri è in perfetta linea con la scarsa cultura della clientela. Tradotto: in Italia si è convinti che il mondo del caffè sia questo e anche i ristoratori, troppe volte, si adeguano. Ma si tratta di un errore madornale, perché chi si siede ai tavoli di un locale, magari pronto a spendere cifre importanti, chiede anche di essere formato, educato. Al ristorante chiediamo piatti che a casa non saremmo in gradi di cucinare, ci affidiamo alla cucina e ci mettiamo nelle mani della competenza, dell’esperienza e della bravura di chi la guida. E allora, perché non ci viene proposto un caffè di qualità alla fine di certe esperienze?
Caffè di qualità al ristorante: le eccezioni esistono
Non vogliamo, però, fare di tutta l’erba un fascio. Sarebbe un autogol clamoroso che da narratori del mondo della ristorazione non vogliamo compiere. Le eccezioni esistono eccome e sono trainate da diverse torrefazioni che lavorano come si deve, utilizzando solo caffè di buona - e a volte ottima - qualità. Esistono poi ristoranti, in Italia, che propongono più estrazioni, a volte anche in filtro, e caffè di diverse origini: Colombia, Ecuador, Etiopia, Kenya. I professionisti più preparati - in questo caso anche baristi, non solo personale di sala di un ristorante - hanno la possibilità di formarsi nelle diverse scuole e nei diversi lab che in Italia hanno iniziato a prendere piede da qualche anno a questa parte: lì s’impara a conoscere la provenienza del caffè, le diverse caratteristiche che l’area geografica può regalare, come dev’essere trattato un caffè.
La cultura del caffè
E poi, ovviamente, s’impara a eseguire un’estrazione coi fiocchi. Perché solo grazie a quella si può portare in tavola un prodotto eccellente, valorizzato fino in fondo. Del resto, il futuro pare sarà quello. Si sta iniziando a parlare sempre più concretamente di cultura del caffè negli ultimi periodi: il mondo dello specialty coffee sta entrando sempre di più a contatto con tutti noi attraverso la divulgazione e l’apertura di nuove caffetterie che vanno oltre l’espresso fatto con caffè senza una precisata storia e geografia. Ma una cosa è certa: prima di guidare il consumatore, sarebbe più urgente che tutti i ristoratori e tutto il personale di sala e di bar sappiano di cosa stiamo parlando. Quelle che oggi sono delle piacevolissime eccezioni devono diventare la norma.