Quando l'intestino s'infiamma fare attenzione a ciò che si mangia

Con patologie come colite ulcerosa e morbo di Crohn bisogna seguire alcune indicazioni ferree a tavola: pasta di piccolo formato, carni magre e poco fibrose e, categoricamente, nessuna verdura!

02 novembre 2019 | 13:02
Patologie come la colite ulcerosa e il morbo di Crohn colpiscono l'intestino e sono motivo di preoccupazione per diversi italiani. La parola ai dietisti di Humanitas Gavazzeni, che spiegano, in un articolo tratto da Humanitasalute e qui riportato integralmente, quali sono gli accorgimenti che bisogna rispettare a tavola quando si soffre di queste patologie.


Con patologie intestinali, l'attenzione all'alimentazione è fondamentale

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Il termine Ibd (malattia infiammatoria idiopatica intestinale) si riferisce a due malattie, la colite ulcerosa e il morbo di Crohn, che ogni anno colpiscono circa 9 italiani su 100mila. La colite ulcerosa è essenzialmente una malattia della mucosa rettale che può interessare tutto il colon con caratteristica di continuità. Il morbo di Crohn è invece un processo infiammatorio che può interessare qualsiasi tratto del canale alimentare, è questo il motivo per cui il morbo di Crohn è anche chiamato enterite regionale, ileite terminale, colite granulomatosa o colite transmurale. Colpisce con più frequenza l’intestino tenue ed il colon prossimale.
 
La colite ulcerosa
La causa della colite ulcerosa è ancora sconosciuta; si presenta con feci diarroiche e/o muco e sangue. Questa malattia può colpire persone di qualunque età e si manifesta più frequentemente in giovani tra i 15 e 30 anni. Il grado di severità dipende dal numero di scariche: la forma è lieve quando non si hanno più di 4-5 scariche al giorno mentre è severa quando le scariche sono 7-8 e sono accompagnate da tachicardia, febbre e gli esami del sangue sono gravemente alterati. Le forme lievi e moderate hanno prognosi favorevole e vengono gestite ambulatorialmente mentre nelle forme severe si ricorre al ricovero in ospedale. Il decorso della malattia alterna periodi di fasi acute a periodi di remissione più o meno lunghi, che sono caratterizzati da assenza di sintomi clinici e da una normalizzazione del quadro endoscopico ed istologico.
 
La diagnosi
La diagnosi tradizionale si basa sull’endoscopia con prelievi bioptici, tecnica diagnostica più valida, sul prelievo di materiale fecale per gli esami parassitologici e colturali. Il clisma opaco a doppio contrasto, la scintigrafia con leucociti marcati e l’ultrasonografia addominale possono completare l’iter diagnostico. All’inizio è poco sintomatica e la sua diagnosi è spesso ritardata fino alla comparsa delle complicanze, alterna periodi di benessere a periodi di riacutizzazione.
 
La malattia di Crohn
La malattia di Crohn colpisce maggiormente le donne, è più frequente negli adulti giovani ed è più diffuso negli Usa ed in Europa settentrionale rispetto alle nazioni mediterranee. Anche le cause del morbo di Crohn sono ancora sconosciute; vengono considerati diversi fattori: genetici, infettivi, immunologici, dietetici e psicosomatici. La maggiore diffusione negli ultimi anni, soprattutto nelle nazioni maggiormente industrializzate, ha suscitato la curiosità dei ricercatori sulle variazioni delle abitudini alimentari di questi ultimi 60 anni. Sono stati indicati gli additivi alimentari, l’aumento del consumo di zuccheri raffinati e la diminuzione della fibra grezza; nonostante questo il loro ruolo, sia nell’iniziare il processo morboso che nel mantenerlo non è confermato da prove sufficientemente valide.
 
La diagnosi
Nelle parti coinvolte lo stato infiammatorio cronico interessa tutti gli strati della parete intestinale. I sintomi sono comuni a quasi tutte le forme, ma il quadro clinico complessivo varia notevolmente in base alla localizzazione ed alla estensione della malattia.
La forma più comune, quella ileocolica, si presenta con diarrea, a volte con sangue e febbre, il quadro clinico può variare da una forma gravissima, quasi fulminante, con febbre alta e continua, diarrea mucosanguinolenta, dimagramento, anemizzazione, fino a forme più lievi in cui i sintomi non vengono riconosciuti per molti anni o addirittura attribuiti ad alterazioni psicosomatiche della motilità intestinale. Qualche volta mancano, all’inizio, sintomi intestinali, per cui la malattia presenta solamente un quadro di spondilite anchilosante o artralgie febbrili o di colangite sclerosante. L’interessamento intestinale tarda ma prima o poi compare.
 
Una dieta comune a entrambe le patologie
Lo scopo principale del trattamento dietetico in queste patologie è volto ad adeguare l’apporto nutrizionale ai fabbisogni del paziente tenendo comunque conto delle intolleranze alimentari e consigliando cibi che non impegnano eccessivamente i tratti intestinali infiammati.

Nelle fasi acute è necessario tenere a riposo l’intestino e per questo si ricorre alla nutrizione parenterale totale che in circa il 50-70% dei casi può portare alla remissione della sintomatologia acuta. Nelle prime fasi risulta utile anche la nutrizione enterale che svolge azione positiva sulla remissione delle malattie infiammatorie intestinali. Si possono anche somministrare miscele per via orale con particolari caratteristiche nutrizionali: assenza di lattosio, basso residuo fibroso, basso potere osmolare così da permettere un parziale riposo intestinale. Questo tipo di miscele possono essere somministrate per il tempo necessario alla ripresa della normale alimentazione.

Qualunque sia l’approccio dietetico iniziale, nella fase acuta e nelle fasi di remissione è indispensabile, in primo luogo, assicurare un adeguato apporto calorico in funzione delle aumentate richieste e delle condizioni generali del malato.

La quota proteica si aggira attorno ad 1,5-1,8 g/Kg al giorno, la quota lipidica si aggira attorno al 25-30% delle calorie totali giornaliere, solo in presenza di steatorrea vengono somministrati acidi grassi a media catena, (oli Mct), mentre la quota glucidica, corrispondente al 55-60% delle calorie totali, è rappresentata da carboidrati complessi; vengono limitati gli zuccheri semplici visto il loro alto potere osmotico che favorisce la diarrea. È consigliato fare pasti piccoli e frequenti.
 
La pasta
Sono consigliate paste di piccolo formato, il riso, i semolini, pane bianco preferibilmente tostato, vietati i prodotti integrali.

Latte & Co
Latte e yogurt seguono la tolleranza individuale, si consigliano, comunque, formaggi teneri, freschi e non fermentati (crescenza, mozzarella, quartirolo).
 
La carne
La carne dovrà essere magra e poco fibrosa, è quindi opportuno tritarla o sminuzzarla, per renderla il più possibile di facile digestione, sono vietate le carni grasse, la cacciagione e gli insaccati con esclusione del prosciutto crudo, prosciutto cotto e bresaola. È possibile utilizzare pesce magro, uova.

Frutta e verdura
La verdura è severamente vietata e la frutta può essere utilizzata solo sotto forma di spremute o succhi di frutta. Man mano che le condizioni del paziente migliorano si passa ad una dieta meno rigida e si comincia gradatamente ad introdurre frutta e verdura. Le verdure sono più digeribili se cotte, passate o a purè, è preferibile usare verdure povere di fibre quali patate, carote, zucchine, fagiolini privati dei semi e dei fili mentre per le verdure crude si possono utilizzare pomodori privati dei semi e della buccia, cuori di radicchio ed insalata. La frutta può essere utilizzata sia cotta che cruda (meglio se grattugiata) o frullata.
È inoltre preferibile introdurre, per via parenterale, le sostanze carenti quali ferro, acido folico, vitamina B12, calcio e vitamine liposolubili.
 
I dolci
Si possono consumare marmellata e biscotti secchi, mentre sono vietati tutti gli altri dolciumi. Con il continuo migliorare del quadro clinico si introducono altri alimenti fino a ritornare, progressivamente, ad un’alimentazione tradizionale, scegliendo cibi ben tollerati che non irritino la mucosa intestinale e quindi non provochino una riacutizzazione dei sintomi ma consentano di prolungare, nel tempo, la remissione clinica.

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Alberto Lupini


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