Matteo Scibilia, che prima ancora di essere il responsabile scientifico di Italia a Tavola è a tutt’oggi l’unico cuoco italiano che ha avuto dallo Stato italiano la medaglia d’argento di benemerito della Cultura per la promozione della cucina italiana (oltre che primo cuoco ad essere nominato consigliere di un ministro dei Beni culturali), prende posizione rispetto alla grande discussione e alle polemiche che hanno accompagnato l’incontro (positivo in sé) del Ministro Maurizio Martina con alcuni noti cuochi italiani, coordinato da Paolo Marchi. Lo fa con la passione e l’autonomia che lo contraddistinguono da sempre, ponendo questioni vere che rappresentano in pieno anche la nostra testata. Di seguito il suo pensiero.
Sono anni che la categoria dei ristoratori tenta in qualche maniera un contatto serio con la politica, diciamo alla maniera francese, dove i cuochi sono nominati anche Cavalieri della Repubblica. Certo in Francia la situazione è un po’ diversa: c’è un’idea di “gruppo” che la categoria sa dimostrare e molti sono gli esempi, non ultimo quello sulla nuova legge degli allergeni dove la voce della ristorazione francese ha indotto il Governo a indicazioni più miti nell’applicazione della stessa. I grandi cuochi in diverse occasioni hanno “marciato” dinanzi ai cuochi di ogni ordine e grado, rappresentando gli stessi, senza bisogno di lobbisti e promotor… Qui da noi è invece quasi impossibile.
Qui da noi i grandi cuochi tentano da tempo di fare gruppo a sé e non di rappresentare la punta di un sistema. Ci avevano provato gli Alaimo. Poi qualcuno creò il gruppo “I cavalieri della cucina”. E da tempo ci sono “Le Soste” che in qualche maniera elitaria si evidenziano rispetto agli altri. E in tanti casi ci sono stati tentavi elitari di approccio con il Ministro di turno per avere un qualche tipo di riconoscimento. La politica in molti casi ha accettato di giocare un ruolo interlocutorio, ma spesso tutto è caduto nel vuoto, soprattutto considerando il cambio frequente di Governo e quindi degli uomini ministeriali.
Ora la cucina in Italia (i cuochi e il cibo in qualche maniera) ha segnato qualche punto in più. La
visibilità mediatica del settore è
sotto gli occhi di tutti: cibo e cuochi sono addirittura nelle appendici dei telegiornali e uno dei tanti risultati di questo fenomeno è il pieno di iscrizioni nelle scuole alberghiere. Ma i ristoranti soffrono e i grandi stellati fanno il pieno, non di clientela, ma di consulenze, libri e promozioni varie, perdendosi poi in polemiche sulla ricetta dell’amatriciana o del pesto.
In questo contesto era facilmente prevedibile che sui social network emergesse, quasi con un grido misto a delusione e rammarico, il recente incontro di 25 super cuochi con il ministro delle Politiche agricole; quasi fossero i rappresentanti degli almeno 6mila ristoranti di qualità italiani (quelli che risultano almeno nelle guide nazionali). Non siamo in Francia, appunto, e se Paolo Marchi (creatore di Identità Golose, l’evento forse più di tendenza del settore, ma comunque privato e da business, che in parte rappresenta una casta o una lobby) è riuscito a portare
dinanzi ad un Ministro i cuochi, possiamo anche riconoscergli un merito, ma il metodo proprio no. Non più tardi di qualche settimana fa in occasione dell’ultima edizione di Identità Golose, proprio Marchi aveva tuonato contro l’incapacità dei cuochi di fare gruppo. Ma non appena l’occasione si è presentata…
I cuochi che si sono presentati dinanzi al Ministro sono sempre gli stessi, quelli di Identità Golose. E gli altri? Solo per il fatto di non essere accompagnati da Marchi, non erano degni di rappresentare il settore? L’assenza di grandi nomi che pure hanno rappresentato la storia o che sono il presente della nostra cucina lascia qualche dubbio.
C’è qualcosa di sbagliato in questo rincorrere la politica. Di cosa hanno bisogno realmente la cucina e la
ristorazione italiana? Non certamente di un riconoscimento di autorevolezza, perché siamo già bravi. In verità non avremmo bisogno di qualche mosca cocchiere per entrare a Palazzo, ma di una maggiore rappresentatività di categoria. Più cuochi e ristoratori impegnati nelle strutture dirigenziali nazionali e territoriali sarebbero davvero utili a tutti. La verità è che un’attività ormai sempre meno commerciale e più artigianale vibra nell’aria delle cucine italiane, ma il vero problema dei sindacati sono le quote associative, che tengono in piedi le stesse.
I cuochi vorrebbero essere considerati artigiani, ma questo discorso aprirebbe smottamenti nei sindacati che finora non hanno saputo trasformarsi per rappresentare meglio la realtà. Senza contare i cuochi-contadini degli agriturismi. E tutto questo avrebbe anche una ripercussione sui contratti di lavoro nazionale e un riflesso sulla tassazione del settore. Paolo Marchi e i cuochi super stellati, sono coscienti che questi sono i veri problemi della categoria? Oppure dall’alto delle ricche consulenze non si curano di quanto avviene ai “piani bassi” della categoria?
Queste osservazioni che riguardano anche il ruolo di Paolo Marchi (oggi pronto sostenitore di quella cucina tradizionale che snobbava quando inneggiava agli spagnoli) sono espresse con onestà e spirito libero. Come può un singolo giornalista, e non un cuoco, rappresentare i ristoratori? E per restare ai giornalisti ce ne sarebbero tanti altri forse più attenti ai problemi della ristorazione e meno alle mode o alla lobby… Ma siamo fiduciosi e valuteremo attentamente (insieme ai tanti grandi cuochi assenti all’incontro al Ministero) i risultati di questa iniziativa che dimostra in positivo l’attenzione e la sensibilità del Ministro Maurizio Martina versi il nostro settore.