Stoppani: Servono requisiti certi per gestire bar e ristoranti

20 ottobre 2015 | 16:10
di Alberto Lupini
«Servono requisiti certi per gestire con onestà e corretta bar e ristoranti. Si deve chiudere questa fase di eccesso di liberalizzazione che ha finito per creare danno alle imprese e ai consumatori». Lino Stoppani (nella foto), presidente della Fipe- ConfCommercio, la più importante organizzazione sindacale delle imprese dei pubblici esercizi, non ha dubbi. Per garantire la clientela deve finire una fase in cui ognuno può aprire un'attività di somministrazione senza adeguata formazione e senza requisiti.



L'occasione per lanciare un preciso segnale alla politica è la presentazione del prossimo convegno del 27 ottobrre, in Expo, in cui la Federazione celebrerà i suoi 70 anni di vita. Un'occasione in cui la Fipe ribadirà i suoi impegni prioritari per accompagnare la modernizzazione del settore con nuovi modelli gestionali e di business. Il sostegno per una nuova imprenditoria che deve fare i conti con i mutamenti del mercato, alle prese in particolare con la crescita della cucina etnica o degli esercizi in franchising di grandi catene e quello per la centralità del cibo (nel momento della somministrazione) per una nuova fase di sviluppo virtuoso che valorizzi tutti i soggetti della filiera agroalimentare, sono altri due degli obiettivi che Lino Stoppani ha anticipato ad Italia a Tavola. Un'intervista che parte, e non poteva che essere così, dalla riaffermazione del ruolo insostituibile del sindacato, sia pure riformato e al passo con i tempi.

«70 anni è un bel traguardo - dice Stoppani - e l'occasione serve a proiettare un punto di vista e un aggiornamento su quella che è la situazione di una federazione di settore e di rappresentanza come la Fipe, ma anche, e soprattutto, un ricordo per chi ha permesso di celebrare questo anniversario. Un momento di riflessione tanto più importante quanto più si pensa al momento attuale in cui i corpi intermedi sono oggetto di critica, anche di carattere politico: Renzi li considera ad esempio centri di potere o centri che contrastano la modernizzazione del Paese».



Il futuro dell'associazionismo
«A mio giudizio - spiega il presidente della Federazione - il ruolo svolto dai corpi intermedi come Fipe è invece fondamentale. È un ruolo di mediazione nei confronti della politica per tutelare gli interessi del Paese e i suoi bisogni reali, ma anche di filtro su queste tematiche. Quindi l'associazionismo, che ha basi costituzionali, e svolge anche un'attività di servizio e continuità per il Paese, deve continuare. È chiaro che è cambiato il mondo e cambierà anche il modo di rappresentanza. L'associazionismo ha un futuro garantito solo se riesce a dare qualità, vere competenze e mettere i veri problemi al centro, partendo anche dalla verifica di una vera rappresentanza, e non solo sulla carta. Il nostro lavoro si basa sul presidio sistematico di quella che è la legislazione del settore, perché il nostro è un settore molto variegato, che comprende norme igieniche, fiscali, legislative, sociali, per cui il luogo di presidio è un luogo allargato. E una vera rappresentanza consiste nella valutazione di quelle che sono le normative che riguardano il settore, gli interventi collettivi e il contributo a migliorare gli interventi che si rendono necessari. Questo perché il mondo è cambiato e insieme a lui il consumatore. Portare avanti gli interessi dell'associazione è oggi nell'interesse anche del consumatore».

Pare che il governo voglia portare da 1.000 a 3.000 euro la disponibilità di liquidi per fare delle operazioni di acquisti sul commercio. Questo può aiutare i ristoranti o in realtà ridurre i costi di gestione delle carte di credito sarebbe più utile?
Entrambe le cose. Di certo questo innalzamento è stato sollecitato dalle organizzazioni e dalla Fipe. È un provvedimento corretto. Un provvedimento che andava modificato perché creava un nomadismo commerciale, perché ad esempio gli orientali o i russi usufruiscono di un utilizzo del contante diverso rispetto a quello degli europei. Nel momento in cui s’interviene con una norma completamente diversa dagli altri Paesi, crei un nomadismo commerciale. E questo si è verificato anche per il turismo navale. Certo c’è il problema collegato all’uso del contante. Per quanto riguarda la lotta all’evasione, un problema che interessa anche noi, questa significa concorrenza sleale, ovviamente. Ma il problema è legato anche all’eccessivo costo delle carte di credito. Al di là di carte come i bancomat che hanno dei costi accessibili, oggi sul mercato esistono delle carte di credito che hanna commissioni superiori al 3%, cosa che non avviene per la maggior parte dei Paesi. In questa logica l’uso del contante è da favorire se accompagnato da un provvedimento di armonizzazione europeo e da un contrasto a quello che è un innalzamento dei costi delle carte di credito.



Gli effetti collaterali della liberalizzazione

La Fipe ha più volte denunciato una massiccia presenza di attività criminali nel mondo della ristorazione, dei bar, delle discoteche. La percentuale di esercizi coinvolti in attività del genere sarebbe attorno al 10%. Come opera il sindacato in questo contesto per essere di supporto agli onesti, che sono la maggioranza?
La malavita è uno di quei settori che, in una situazione di crisi, riesce sempre a trovare nuovi sbocchi per il suo business. Più c’è crisi, più c’è lavoro per la criminalità. Si sfruttano i momenti di debolezza o difficoltà dei nostri operatori per acquisire “sottocosto” le imprese, utili a riciclare denaro. La Fipe agisce in questo senso sensibilizzando la politica a intervenire per prevenire la criminalità. Qualsiasi giusta iniziativa delle forze dell’ordine e della magistratura è da sostenere per contrastare l’aggressività della criminalità, che mostra un’immagine distorta del nostro settore, porta alla concorrenza sleale e ha altri effetti negativi di carattere sociale. Bisogna lottare contro tutto questo. Quello che la Fipe propone è ridurre questa eccessiva liberalizzazione dei nostri settori, che ha portato all’annacquamento della verifica di requisiti morali e professionali per l’esercizio dell’attività, della verifica del titolare effettivo di queste attività, la verifica o il monitoraggio delle tasse pagate, fattori che creano concorrenza sleale e disorientano il consumatore e il mercato. Un altro fattore di concorrenza sleale è la politica del dumping dei prezzi. Tutti questi sono fenomeni che hanno effetti sociali gravi, creano inoltre pregiudizio, danneggiando l’immagine delle nostre attività infiltrate da operatori che investono nel nostro settore non per ricavarne utili d’esercizio ma per riciclare denaro sporco.

Potremmo allora immaginare l’utilità di norme per rivedere questa liberalizzazione delle licenze verificatasi anni fa, quando sono stati equiparati esercizi eterogenei. In sostanza, si potrebbe dire che chiunque può aprire ora un qualsiasi esercizio.
Quando vengono promulgati determinati provvedimenti, come queste liberalizzazioni, bisogna averne ben chiari i motivi e immaginarne gli effetti. Lo scopo delle liberalizzazioni era quello di favorire il mercato o il consumatore. Anzi, l’obiettivo era anche e soprattutto intervenire sulla dinamica dei prezzi di offerta. L’effetto è stato ottenuto: oggi c’è una concorrenza maggiore che in passato. Ma ne sono derivati anche diversi effetti collaterali. Per cui oggi nei centri storici il settore soffre di una dequalificazione, di un “imbastardimento” dei mestieri. Soffre di un’offerta molto diversa rispetto al passato. Le liberalizzazioni hanno anche conseguenze sociali negative, come l’alcolismo. Poi ci sono temi spinosi come la movida, che ci porta a riflettere sul giusto equilibrio tra residenti e operatori in certe aree centrali delle città e che a sua volta determina il problema del nomadismo in quelle stesse aree.



Il nuovo consumatore e la nuova offerta
Tutto questo avviene mentre, contemporaneamente, cambia anche l’approccio del consumatore rispetto all’esercizio pubblico. Spesso anche la Fipe è intervenuta riguardo ai giovani, ai minorenni che fanno abuso di alcolici, dato che in orari notturni diventa incontrollabile verificarne l’acquisto da parte loro, specialmente di superalcolici.
L’eccessiva facilità di acquisto o di somministrazione delle bevande alcoliche ha creato un fenomeno molto monitorato dal ministero della Sanità, che recentemente ha anche contattato la Fipe per intervenire su una situazione inaccettabile dal punto di vista sociale, perché si registra un aumento delle malattie legate all’alcool nei minorenni e nei quarantenni. Questa situazione è collegata da un lato a fenomeni sociali, dall’altro al fatto che oggi sia possibile consumare alcool a qualsiasi ora e in un modo incontrollato. Certe cose devono essere presidiate anche per interventi di carattere normativo e di limitazione.

Sperando che questo approccio a livello normativo cambi in tal senso, il mercato è intanto cambiato e continua a farlo. Da un lato una forte presenza di ristoranti etnici e di operatori non italiani e dall’altro di attività in franchising che riguardano ristoranti e bar. Come può operare un’attività più familiare e tradizionale, in questo frangente?
L’attività di una federazione non è quella d’intervenire sugli aspetti commerciali di un esercizio, ma quella di prevenire, sostenere e aiutare, di assistere gli aspetti di carattere gestionale delle imprese. Le scelte imprenditoriali spettano poi agli esercenti. Anche la Fipe registra grandi cambiamenti, certo, ma questi sono determinati da tante situazioni. C’è un consumatore molto diverso, c’è un crescente consumo fuori casa che è legato ai diversi stili di vita. Oggi la donna, giustamente, è impegnata sul fronte del lavoro e quindi meno occupata negli aspetti tradizionali del suo antico ruolo di casalinga a tempo pieno. La globalizzazione ha cambiato il consumatore, ha cambiato l’offerta. Oggi una città come Milano vanta la presenza di locali etnici importanti che l’hanno anche rafforzata, integrando l’offerta già presente. All’interno di questi mutamenti è necessario saper contrastare le devianze e le dequalificazioni, valorizzando invece gli aspetti positivi di una nuova offerta e di una curiosità del consumatore rispetto ai cambiamenti che lo interessano.



Dopo Expo più valore alle imprese familiari
A proposito di questo è d’obbligo il riferimento a Expo, che ha visto in più occasioni la Fipe preoccupata in termini di ricaduta sul sistema degli esercizi pubblici della città. Ora che si avvicina il termine di questa esperienza, il risultato è stato così negativo per i ristoranti milanesi o ci sono state delle compensazioni in positivo all’interno del sistema stesso?
Una domanda difficile. Parlar male di Expo è “peccato mortale”, perché come milanese, e come italiano, sono orgoglioso che la mia città sia riuscita ad organizzare una manifestazione con il tema “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” in cui sono stati declinati non solo aspetti commerciali legati al business ma anche aspetti etnici, invitando le menti più brillanti del pianeta a ragionare sui fenomeni sociali legati alla sostenibilità dell’industria alimentare, agli sprechi e all’inquinamento. Nella stessa Carta di Milano sono enunciati concetti e principi che devono essere adottati dai Paesi come elementi fondanti delle loro politiche di sviluppo: questo è qualcosa di cui posso essere fiero, in quanto milanese. Sugli aspetti commerciali, tuttavia, ci aspettavamo di più. E questa non vuole essere un’accusa nei confronti di nessuno. Era ragionevole attendersi un maggiore ritorno economico sulla città, soprattutto per il nostro settore, dove purtroppo abbiamo registrato un effetto di “cannibalismo”. Ma Expo, per fortuna o purtroppo, dipende dai punti di vista, è stato organizzato così bene da aver comunque agito come fattore attrattivo per la città. Molte persone giunte a Milano non si fermavano in città, ma erano qui per Expo, chiaro. Però l’Esposizione lascerà una Milano più bella, più organizzata, più accreditata internazionalmente, con delle migliorie in termini anche infrastrutturali. Pensiamo anche ai grandi musei che sono stati aperti, grazie alle donazioni offerte dall’imprenditoria milanese. La città ha colto l’occasione di Expo per “farsi bella” e questa bellezza rimarrà anche dopo il 31 ottobre, una volta conclusasi.

Dopo il 31 ottobre resta, come s’intuisce forse da quanto detto, un progetto etico da parte di Fipe: quello di valorizzare l’attività familiare, un’attenzione alle esigenze di imprese e consumatori, ma soprattutto il mettere l’accento su un tema così importante come la centralità del cibo e quindi sul problema della qualità e delle garanzie. Qual è il progetto di Fipe in questo senso?
Quando parliamo di cibo parliamo di due aspetti. Da un lato abbiamo i valori economici, che certamente non possono essere secondari in quanto tutti viviamo del nostro lavoro. Dietro ogni impresa ci sono famiglie da mantenere, ci sono imprenditori e ci sono dipendenti. Dall’altro lato ci sono i valori delle imprese. Il pubblico esercizio ha un valore sociale fondamentale, valore che nasce dalla convivialità, che nasce dal fatto che il cibo è anche salute e benessere della persona, per cui incide anche sulla qualità della vita delle persone. Pubblico esercizio significa anche presidio di un territorio, cioè valorizzazione del territorio. E questo porta a una ricchezza della ristorazione italiana caratterizzata dalla specificità, dalla territorialità. Per cui il connubio tra interesse, socialità e i valori che con essa si possono declinare sono la ricchezza del modello del pubblico esercizio italiano, difficilmente replicabili perché dietro ci sono gli uomini con le loro competenze e passioni, che fanno dell’Italia un polo attrattivo dal punto di vista turistico.

Ci si può aspettare quindi un patto, un’alleanza tra ristoratori e operatori della filiera agroalimentare per decretare un modello di sviluppo più etico per il Paese?
Questo va a interesse di tutto il Paese. Bisogna dare merito al ministro Maurizio Martina che sul tema si sta impegnando. Dobbiamo recuperare molti ritardi ma se certi Paesi fanno della cucina un elemento di traino economico straordinario con cui spolverare la brilliance nazionale anche investendo sui valori enogastronomici della filiera agroalimentare - basti pensare a cosa ha fatto la Francia coi valori del cibo, cosa sta facendo il Giappone facendo tutelare la propria cucina dall’Unesco, a quello che sta facendo la Corea del Nord con il kimchi - è evidente che c’è un dinamismo orientato verso un inquadramento del valore immateriale della cucina rafforzativo di un bene concreto nazionale di cui noi potremmo essere primi nel mondo, ma non ci riusciamo forse per la mancanza di un gioco di squadra come dovrebbe essere fatto, imparando da Paesi che sull’argomento hanno fatto molto più di noi.


I numeri della Fipe
La Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi, è l’associazione leader nel settore della ristorazione, dell’intrattenimento e del turismo, nel quale operano più di 300mila aziende, e fa capo a ConfCommercio. Rappresenta e assiste bar, ristoranti, pizzeria, gelaterie, pasticcerie, discoteche (Silb), stabilimenti balneari (Sib), catering (Assocatering), mense e ristorazione multilocalizzata (Aigrim), emettitori buoni pasto (Anseb) e casinò (Federgioco). Le imprese aderenti hanno circa 960mila occupati e ed un valore aggiunto di oltre 40 miliardi di euro. Conta su 20 federazioni regionali, 108 provinciali e 1.079 subprovinciali.

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