Fabio Picchi, un filosofo ai fornelli «La buona cucina deve dare felicità»

28 dicembre 2015 | 15:49
di Alberto Lupini
In linea con l’attenzione crescente per la salubrità nell’ambito della cucina sia italiana che internazionale, forte è stato l’allarme lanciato dall’Oms, l’Organizzazione mondiale per la sanità, contro la carne e la sua “natura cancerogena”. Tra i tanti ad opporsi a un ammonimento così estremo e al tempo stesso troppo generico è stato il cuoco-filosofo Fabio Picchi (nelle foto), patron del ristorante fiorentino Cibrèo e membro della Federazione italiana cuochi (Fic).

«Generalizzare dicendo che la carne faccia male - sostiene Picchi - è un’affermazione priva di sostanza. Io conosco da anni il macellaio che mi fornisce una carne di Fassona di ottima qualità. Ricevo sempre al mio ristorante complimenti per la sua bontà, la sua squisitezza, ma in cuor mio so che il merito è principalmente suo, dei suoi impareggiabili e sani principi riguardo la frollatura, della sua sapienza artigianale».



Il vero problema di cui Picchi si fa portavoce non riguarda il semplice fatto di mangiare carne, quanto piuttosto la qualità di questa e la frequenza con la quale essa è consumata. «Una carne buona, di alto livello, consumata una volta ogni quindici giorni, è motivo di felicità. Io stesso con mio figlio una volta ogni due settimane mangio una braciola di otto etti, quattro ciascuno, e mi sento bene. Per quanto riguarda poi la qualità della carne che mangio, mi basta pensare alla differenza tra la nostra carne, quella che io per primo servo al mio ristorante, rispetto alla carne americana, agli hamburger, agli hot dog, ai würstel, a ogni tipologia di pancetta e di bacon, tutto chimicamente alterato e quindi non sano. Non esiste nemmeno una vaga possibilità di generalizzazione».

«Si valuti a questo proposito l’affumicatura, una tecnica seria e meravigliosa. Io ho memoria di carni affumicate, ricche di profumi di legni specifici, sapori unici. Tuttavia quando l’affumicatura viene utilizzata per un salmone allevato ad antibiotici, cresciuto in una pozza d’acqua dove si è probabilmente cibato anche dei suoi scarti organici, questa tecnica perde di senso, lascia celata dietro di sé l’avidità di chi la utilizza, la sua parte diciamo più malvagia. Noi ogni mattina ci alziamo da questa parte del mondo e dobbiamo ringraziare il cielo per essere ancora qui e poter giovare delle meraviglie che il nostro pianeta ci dona, di quelle meraviglie che le generazioni passate ci hanno generosamente lasciato. Io guardo la mia Toscana, i vigneti, gli uliveti, i cipressi e comprendo di non poter sprecare queste meraviglie».

Una volta entrati nel tema della qualità, Picchi non si ferma alla carne, ma passa in rassegna altri importanti alimenti che fanno parte della nostra dieta quotidiana, come il grano e il frumento. «Oramai è chiaro: la farina “00” è veleno. I celiaci, grazie al loro sensibilissimo organismo, hanno indirettamente suonato un campanello d’allarme: il grano antico di 40-50 anni fa è cresciuto, è cambiato, si è evoluto con noi, ma ciò che l’industria oggi produce ha del grano che ricordiamo solo l’aspetto, non di certo la sostanza, non un singolo principio nutritivo. L’autentica spiga di grano, quella che come un raggio di sole ad esso si rivolge ed è pura energia, non ha niente a che fare con i prodotti industriali di oggi, pesanti, che riempiono e gonfiano lo stomaco, danno acidità e sono pure dannosi».



«Oggi - conclude Picchi - è necessario rendersi conto che il cibo, più che “non far male”, deve fare “bene”, deve dare una generale sensazione di piacere. Un’albicocca deve avere un suo sapore, un pomodoro non può essere insipido, gli alimenti che mangiamo sono parte del mondo in cui viviamo, e come dobbiamo rispettare loro, dobbiamo rispettare anche noi stessi, cominciando per prima cosa a non sfregiare quelle meraviglie che sono i sapori e i gusti che la natura ci ha offerto. Dobbiamo giungere a una sana consapevolezza: anche nel cibo risiede parte della nostra felicità, quel piacevole sentimento che deriva da un abbraccio, un bacio, una carezza, un bel film, un’opera teatrale, il sentimento che proviamo guardando un bambino che corre o un mandorlo fiorito. Immaginare queste sensazioni e mangiare allo stesso modo, questo è l’obiettivo cui dobbiamo tutti pervenire».


Cibrèo ristorante
via del Verrocchio 8r - Firenze
Tel 055 2341100
www.cibreo.com
info@cibreo.com

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