Cucina stellata ad alta quota: lo chef Davide Rangoni amplia l’offerta

Il Dolomieu di Madonna di Campiglio passerà da 12 a 25 coperti, il bistrot da 40 a 60. Essenzialità stellata nel nuovo menu con le tagliatelle al burro, il diaframma di Rendena e il dolce-non-dolce brûlé al taleggio

11 agosto 2021 | 09:30
di Lina Pison

Lavventura stellata ad alta quota di Davide Rangoni cresce. Siamo stati a Madonna di Campiglio, in Trentino, a 1550 metri sul livello del mare a curiosare nella cucina del Dolomieu. Molte le novità dei menu che lo chef ha creato sia per il bistrot sia per il ristorante, 1 stella Michelin, che guida dal 2018 all’interno del DV Chalet Boutique Hotel e Spa quattro stelle.

 

I lavori per l'ampliamento di ristorante e bistrot: pronti nel 2023

Davide Rangoni, veneto, classe 1979, ci racconta le sfide che lo attendono con l’ampliamento del ristorante che passerà da 12 a 25 coperti e del bistrot che dagli attuali 40 arriverà a 60 posti a sedere. «I lavori - spiega Rangoni - dureranno almeno un anno e mezzo, per l’estate 2023 dovremo essere pronti. In cucina ci serviranno altri quattro cuochi capo partita». 

 

Il percorso di Rangoni in cucina

Autodidatta, studi tecnici,  Rangoni si muove tra le montagne del Trentino e il Lago di Garda, mantenendo fede al patto ancestrale con i territori che ama, rispetta e che cerca di esplorare andando sempre di più nella loro profondità. La struttura, quella di base, se la fa in “trincea” lavorando, sin da molto giovane, nei ristoranti della cucina e della tradizione veneta. La svolta nel 2007 come chef di partita da Igles Corelli: «Sarà sempre il mio maestro. I suoi insegnamenti mi hanno plasmato prima come uomo e in ultimo come cuoco». Dalla cucina del suo mentore a chef di partita con Bruno Barbieri e Moreno Cedroni, a sous chef con Andrea Costantini e Giuseppe D’Aquino. Arriva nel 2018 al Dolomieu, dove già c’era una stella Michelin. «Non che sia facile prenderla, anzi, ma mantenerla, soprattutto se ereditata, è ancora più difficile», racconta.

 

L'offerta del Dolomieu post-pandemia in una parola: essenzialità

Al Dolomieu l’ambiente è caldo e accogliente proprio come gli esclusivi chalet di montagna dove i turisti sostano per rilassarsi e godersi un po’ di tranquillità. All’ingresso il caminetto acceso è una coccola come il maitre Remo Onesto che sa mettere a proprio agio gli ospiti fin dal primo momento.

Durante l'inverno 2020 il Dolomieu non ha aperto. «I clienti? Secondo me, durante il periodo di chiusura, sono migliorati - dice Rangoni - il fatto di non potersi muovere ci ha costretti a tornare dal macellaio sotto casa e al negozio di gastronomia di quartiere. Qualcosa è cambiato. Quella che abbiamo vissuto in questi mesi e che in qualche modo abbiamo superato, è stata una prova importante per tutti. Ho cercato di raccontare questo percorso introspettivo attraverso la mia cucina, lavorando su equilibrio e pulizia, ascolto e interpretazione. Essenzialità. Con “Carta d’Estate”, il nuovo menu del Dolomieu, ho voluto dare un taglio netto con quello che più non mi rappresentava. Ho tolto tutto il pesce di mare, puntando sulle nostre carni e sul pesce d’acqua dolce. Ho osato, proponendo una semplice tagliatella al burro. Anche se di semplice c’è ben poco perché questo burro d’alpeggio lo fanno solo 2 mesi l'anno, le uova sono biologiche e il Trentingrana che usiamo è di 30 mesi. La pasta poi è fatta con farina di grano tenero di Storo ed è tirata a mano come facevano mia mamma e mia nonna. Barbieri mi ha preso proprio perché riuscivo a tirare le tagliatelle a mano». 

 

Nel menu c'è sempre posto per i signature dish

Rimangono in carta i suoi signature dish: “Caldo Freddo di Diaframma di Rendena, More e Caviale Prestige Calvisius” e il suo dolce-non-dolce “Brûlé al Taleggio, croccante di sesamo al Mugo e alchechengi senapate”. «Il diaframma è una parte povera - spiega Rangoni - che viene impreziosita dal caviale. In questo piatto c’è tutto: il territorio, perché la Rendena è una razza bovina autoctona del Trentino; c’è la ricerca dell’equilibrio tra il caldo e il freddo della scottatura; la collaborazione, lavorando gomito a gomito con l’allevatore per raggiungere, con la sua esperienza, la giusta frollatura con il corretto passaggio nella grotta del sale e infine, ci sono il blue del cuore del diaframma, il rosso delle more. Acidità e morbidezza».

 

Fedele all’armonia di cui è sempre alla ricerca, lo chef propone ai suoi ospiti, per il fine pasto, il dolce–non-dolce che accompagna alla pasticceria finale preparando il palato. «Con questo piatto, richiamo la tendenza del formaggio a fine pasto, trasformandolo in un quasi dolce. La forma quadrata riprende la forma del taleggio, il croccante, il rubrum cromatico della crosta e il mugo, uno sciroppo fatto con piccole pigne macerate naturalmente, che, in questo modo, rilascia nel dolce-non-dolce essenze di erbe officinali e resina, portando subito la mente in quota, dove l’aria fresca della montagna apre i polmoni e si respira la vita».


 

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Alberto Lupini


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