Mafia e ristoranti, è allarme rosso Senza aiuti, si piega anche il nord

L'Organismo di Monitoraggio delle infiltrazioni criminali della Polizia di Stato ha stilato un dossier sui movimenti criminali nell'economia italiana colpita dal virus . La Fipe si sta muovendo chiedendo con decisione al Governo interventi d'aiuto per evitare i rischi che ora riguardano da vicino anche il nord

09 maggio 2020 | 06:50
di Federico Biffignandi
Il rischio che le organizzazioni mafiose si infiltrino nel settore dei pubblici esercizi è alto, sempre più alto ogni giorno che passa. Non solo dunque le imprese agricole sono esposte a questo rischio, ma l’intera filiera balla su un filo molto instabile in un periodo di forte emergenza economica causata dalle chiusure per il coronavirus.


Locali pubblici a rischio infiltrazioni

E se inizialmente si trattava solo di timori e poi di prime voci ora è anche l'Organismo di Monitoraggio delle infiltrazioni criminali sull'emergenza coronavirus che conferma il tutto. A presiederlo è il vice capo della Polizia Vittorio Rizzi, incaricato dal capo Franco Gabrielli di monitorare la criminalità in questa fase di crisi.

I clan si muoverebbero su due binari, neanche troppo nuovi a dire il vero, ma clamorosamente fragili e floridi ora: da una parte l'economia sanitaria legata soprattutto ai dispositivi di protezione e ai rifiuti provenienti dagli ospedali; dall'altra aiutare i piccoli e medi imprenditori - soprattutto del turismo e della ristorazione, attività ideali per il riciclaggio - mettendo soldi liquidi e immediati nelle attività.

Il motivo di questa propensione a "investire" in alberghi e ristoranti risiede nel tipo di economia sulla quale si basano i pubblici esercizi, con particolare focus su bar e ristoranti. A sottolinearlo è il vicepresidente della Federazione italiana pubblici esercizi, Aldo Cursano: «Il nostro settore - spiega - non vive su capitali o patrimoni, ma sull’impegno di professionisti che si sono costruiti nel tempo con la forza del proprio lavoro. Queste attività si mantengono attive con la liquidità o con alcuni finanziamenti nel caso in cui necessitino di investimenti più importanti e ciò li espone al rischio, in questo periodo, di dover ricorrere ad aiuti non leciti. C’è bisogno di acqua, ma il timore che si “beva” acqua sporca è alto e già qualche segnalazione di avvicinamento ci sta arrivando. Credo che i nostri professionisti meritino aiuti maggiori perché se l’Italia perdesse la ristorazione perderebbe una parte integrante della propria anima».


Aldo Cursano e Roberto Calugi

Gli fa eco il direttore generale della Fipe, Roberto Calugi che ha anche recentemente riferito alla Camera la situazione del settore: «Siamo al collasso - ha detto - addirittura i nostri associati non sanno se convegna aprire o restare chiusi. Non è accettabile per i lavoratori questa situazione, non è accettabile che l’1,4% delle imprese che hanno chiesto aiuto lo abbiano effettivamente ricevuto. Il problema è nella burocrazia eccessiva che le istituzioni stanno riservando prima di versare soldi alle imprese. Paradossale sarebbe che per eccesso di sicurezza i soldi non arivassero a chi ne necessita e questi ultimi dovessero riferirsi ad associazioni illecite».

E l’allarme mafia non è affatto solo al Sud, una credenza onestamente ormai classificabile come stereotipo. L’allarme infatti è stato lanciato anche da Confcommercio Verona e Federalberghi Garda che hanno spiegato come i propri associati abbiano segnalato tentativi di infiltrazioni. Anche in questo caso il dito è stato puntato sui mancati aiuti economici arrivati agli imprenditori ed è stato rilevato come solo 300 esercizi pubblici abbiano ottenuto i 25mila euro garantiti dallo Stato. Troppo poco.

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