Negli scaffali, secondo i dati della Coldiretti, quasi un prodotto alimentare su cinque (18,4%) evidenza nella confezione l'assenza di un particolare tipo di ingrediente che non piace al consumatore. I
prodotti alimentari "senza" sarebbero infatti diventati i più rappresentativi del largo consumo con un giro d'affari di 6,5 miliardi in supermercati e ipermercati, in crescita del 3,1% su base annua a giugno 2017.
Per quanto riguarda gli alimenti senza, lasciando
al primo posto quelli privi di olio di palma, si collocano appena sotto sul podio i cibi senza o con un ridotto consumo di grassi saturi (+7,6%) e quelli garantiti per l'assenza di sale (+7,2%). In forte crescita anche quelli senza zuccheri (+6,1%), con poche calorie (+3,4%) e senza additivi (+3,4%).
Di questi nuovi orientamenti di consumo risentono gli scambi commerciali con le importazioni, ad esempio, di olio di palma per uso alimentare diminuite in Italia del 10% nel 2017, raggiungendo il quantitativo minimo da almeno 10 anni, sempre secondo stime Coldiretti.
A pesare sono le preoccupazioni sulla salute e sull'impatto ambientale. Insieme ad altre ragioni meno rilevanti, il risultato è che sei italiani su dieci evitano di acquistare prodotti che contengono olio di palma, a conferma della diffidenza che sta portando un numero crescente di imprese ad escluderlo dalle proprie ricette.
Insieme alla salute, guida le scelte di acquisto anche il richiamo all'italianità dei prodotti, che è presente sul 25% delle confezioni negli scaffali con la bandiera italiana, le scritte "prodotto in Italia" o "100% italiano" oltre alle certificazioni di origine
Doc/Docg e Dop/Igp. Crescono quindi anche i prodotti che garantiscono la certezza dell'origine: primi i vini Docg (+11,7%), a seguire le Dop (+5,4%).
La scelta dell'italianità si spiega per il primato che il Belpaese detiene: quello nella qualità e nella sicurezza alimentare, con l'agricoltura italiana che è la più green d'Europa e conta il maggior numero di prodotti a Denominazione (293), la leadership nel numero di
imprese che coltivano bio (quasi 60mila) ma anche la minor incidenza di prodotti agroalimentari con redisui chimici fuori norma. Va aggiunta infine la scelta di non coltivare
organismi geneticamente modificati.