L’equivoco dell’asterisco Il cibo di qualità non è solo quello fresco

Una legge italiana troppo vecchia rischia di mettere in cattiva luce i cibi surgelati utilizzati nei ristoranti. La tecnologia consente oggi conservazioni perfette. Forse l'attenzione andrebbe posta su altri pericoli...

27 agosto 2018 | 10:10
Ma davvero usare prodotti surgelati in un ristorante può voler dire truffare il cliente sul piano della qualità? Stando alla recente sentenza della Cassazione contro il ristorante Savini di Milano (che sei anni fa non avrebbe adeguatamente segnalato con asterischi il possibile utilizzo di prodotti conservati in freezer) una discutibile norma valida solo in Italia sarebbe ancora assolutamente giusta.



O comunque, la vecchia legislazione che non tiene conto dell’enorme progresso tecnologico registrato nel campo della conservazione degli alimenti andrebbe pienamente applicata, anche se siamo l’unico Paese al mondo a farlo. Qualche decennio fa la legge degli asterischi (che metteva su un piedistallo le materie prime non conservate) poteva forse avere un suo perché considerando le garanzie allora offerte dalle industrie del settore e la vistosa differenza di prezzo fra un prodotto surgelato ed uno fresco.

Tutto ciò oggi non ha però più valore, al punto che molti alimenti si possono consumare con sicurezza solo se sono surgelati all’origine od abbattuti in cucina. Pensiamo solo al pesce crudo che, per evitare i rischi del parassita Anisakis, può essere consumato per legge solo se abbattuto. O, per restare sempre in campo ittico, pensiamo all’impossibilità di consumare tutto l’anno le più pregiate varietà di gamberoni se non fossero conservati surgelati, visto che la pesca è possibile solo in brevi periodi.

Come dire che la tecnologia e la sicurezza alimentare hanno ribaltato, almeno in alcuni casi, le logiche che stavano alla base della legge sugli asterischi: la garanzia di genuinitá e sicurezza alimentare oggi è data anche dalla conservazione a bassissime temperature. E proprio i progressi fatti dall’industria di trasformazione dovrebbero essere studiati e ben compresi da legislatori purtroppo spesso ignoranti in materia, ma sempre pronti a parlare di sicurezza e qualità.

Da sempre sosteniamo che la Cucina italiana dovrebbe essere valorizzata puntando sulla stagionalità dei prodotti agricoli, ma ciò non significa che molti ristoranti non debbano o non possano proporre menu con ingredienti fuori stagione o non da km zero. E in questi casi senza il ricorso alla surgelazione all’origine o all’uso dell’abbattitore, per conservare il meglio delle selezioni di stagione, oggi non si potrebbe mangiare.

E questo vale anche per gli elementi apparentemente più semplici di un menu. Basti solo pensare che oggi il prodotto forse più diffuso nell’alta ristorazione (un fenomeno commerciale di cui nessuno parla) è del pane surgelato di qualità elevatissima, che quasi nessuno sa riconoscere come tale. E che magari non è indicato come tale.

Ma al momento vige l’obbligo, con relative sanzioni, di dovere distinguere fra prodotti che starebbe invece alla professionalità del cuoco scegliere ogni volta in base alle necessità e alle migliori garanzie offerte, in base al momento e alle garanzie igienico-sanitarie. Per un ristorante il successo si misura sulla soddisfazione del cliente, ed è quindi interesse del gestore scegliere il prodotto giusto al momento giusto.

Oggi questa scelta è però pesantemente condizionata da una normativa antiquata e un po’ barbara che con gli asterischi sembra voler creare alimenti di serie B. Più che sapere se un carciofo fuori stagione è surgelato o meno, sarebbe più utile sapere da dove proviene, e puntare quindi sulla tracciabilità. E lo stesso vale per un piatto di ravioli. Questa dovrebbe essere la nuova frontiera di una legislazione attenta a garantire al meglio il consumatore, informandolo magari anche meglio sui rischi di allergie o intolleranze.

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Alberto Lupini


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