La prima ad averlo detto è stata l'Ansa, apprendendolo da fonti qualificate:
i bar di Milano e di tutta la Lombardia potranno riaprire anche dopo le 18.00, rispetto a quanto previsto dall'iniziale ordinanza della Regione che, a causa dell'emergenza coronavirus, aveva imposto la chiusura di tutti i bar a partire dalle 18.00 fino alle 6.00 del mattino. La notizia è stata poi confermata dal sito della Regione Lombardia poco dopo, ma con delle condizioni: i bar e i pub resteranno aperti solo se prevedono la somministrazione assistita di alimenti e bevande, come i ristoranti, e con un vincolo sul numero massimo di coperti previsto dall'esercizio. Una decisione responsabile che tiene conto anche della linea dal primo giorno sostenuta da Italia a Tavola.
Giuseppe Conte
"L'obiettivo dell'ordinanza - scrive la nota - che regola le prescrizioni per il contenimento del coronavirus nelle aree regionali classificate come "gialle" è quello di limitare le situazioni di affollamento di più persone in un unico luogo".
Chiara conseguenza di un fatto che Italia a Tavola sostiene fin dall'inizio:
l'allarmismo sta facendo più danni della stessa diffusione del virus. Le dure imposizioni alle quali le attività e i pubblici esercizi si sono dovuti rassegnare visto il dilagare del contagio stanno ancora
piegando l'economia del Paese, come ha sottolineato ieri
sulle nostre pagine Federico Gordini, specialmente quella della Regione Lombardia (a Milano, Chinatown, tutti i locali chiusi; i ristoranti nella metropoli con perdite di prenotazioni tra l'80% e il 90%... e la situazione non è per forza migliore nelle altre regioni d'Italia). La stessa
Fipe - Federazione italiana pubblici esercizi ha chiesto aiuto allo Stato, perché i bilanci delle attività
stanno subendo già dei danni ingenti che necessitano di sostegni.
Questo passo indietro circa un'emergenza che, seppur ci sia,
non riguarda una pandemia ma un virus che viene definito da tanti scienziati «
poco più di un'influenza», mostra l'allarmismo per quello che è: il peggiore dei mali per un Paese che già da solo si regge su un sistema economico fragile, colpito in uno dei suoi settori più promettenti, ospitalità e turismo.
Lo stesso
Walter Ricciardi dell'OMS si è pronunciato in merito a questa "rivelazione": «Ridimensioniamo l'emergenza». E se ancora non fosse chiaro, lo stesso premier
Giuseppe Conte, che all'inizio di questa crisi ha agito in maniera capillare e dichiaratamente responsabile, ora comincia a rallentare: dal semplice "battibecco" con il presidente delle Marche su - dice il premier - una mossa eccessiva quella di chiudere le scuole in Regione fino a un più chiaro "incubo" della recessione: «Dobbiamo fermare il panico».
Giuseppe se n'è accorto, s'è accorto che tutta questa agitazione ha creato allarmismo e tutto questo allarmismo sta mettendo in crisi l'intero sistema. Se n'è talmente accordo da aver chiesto questa mattina alla Rai «toni più bassi».
Qualcuno può domandarsi cosa significhi questo "fermare il panico", qualcun altro potrebbe pensare che allarmismo e responsabilità politica siano totalmente slegati. In realtà il filo di congiuntura lo dà Locatelli del Consiglio superiore della Sanità: «I tamponi solo per chi ha i sintomi». Come se Css e Governo insieme facessero squadra da oggi, capendo che l'allarmismo che è stato creato in queste giornate abbia fatto più danni del coronavirus stesso.