Dopo Expo 2015 arriva il Giubileo L'Italia saprà sfruttare queste occasioni?

16 marzo 2015 | 10:30
L’Expo di Milano è alle porte e si avvicina il momento in cui l’Italia sarà sotto i riflettori del mondo intero e avrà la possibilità di riscattarsi da anni di crisi. L’Esposizione universale rappresenta una speranza per un Paese che è stato, ed è ancora, vittima di una crisi economica che ha annullato la fiducia dei suoi cittadini. Con Expo la speranza è quella di riuscire a risollevarsi, e l’ipotesi si consolida se si pensa che subito dopo la chiusura dell’evento milanese sarà la volta del Giubileo di Roma (straordinario con dieci anni di anticipo), annunciato pochi giorni fa da Papa Francesco. Due grandi occasioni per l’Italia. Ma a credere per primi in questa ripresa devono essere gli italiani. L’Expo e il Giubileo da soli non basteranno a creare delle solide prospettive per il futuro dei giovani italiani.

Di questo parla l’articolo di Aldo Cazzullo (CLICCA QUI) pubblicato dal Corriere della Sera, che riportiamo integralmente di seguito proprio perché condividiamo pienamente il suo messaggio. In ugual modo crediamo che l’unica possibilità che l’Italia ha di combattere definitivamente questa lunga crisi consista nel recuperare la consapevolezza del suo ruolo e delle sue grandi risorse.



L’Italia di fronte a un anno irripetibile
E così il Paese più depresso al mondo, con l’indice di natalità più basso e l’indice di sfiducia più alto, «questo Paese» come si usa dire nei talk show con una smorfia di disgusto e un gesto di disprezzo, ha di fronte un’occasione irripetibile. Sarà appena finito l’Expo a Milano, e già comincerà il Giubileo a Roma. Una coincidenza fortunata, per la quale in pochi hanno meriti, ma che per tutti rappresenta una chance da non sprecare. In passato è accaduto che i grandi eventi rappresentassero il sigillo della ricostruzione e dello sviluppo, come le Olimpiadi di Roma 1960, le ultime a misura d’uomo prima della stagione del gigantismo che ha avuto il suo apice a Pechino nel 2008, pochi mesi prima della crisi, e che potrebbe finire proprio a Roma, se la candidatura per il 2024 andasse a buon fine. Sarebbe meraviglioso organizzare un’edizione «low cost», costruendo sul costruito come insegna Renzo Piano, ammodernando gli impianti che già ci sono.

È accaduto anche che i grandi eventi si rivelassero luminarie di fine stagione: il culmine degli Anni Ottanta, quelli della nave che secondo Craxi procedeva su una rotta sicura, furono Italia '90 e la sua sfolgorante cerimonia d’apertura milanese, con le top model alla «Scala del calcio»: poco dopo si capì che la nave stava sì andando, ma verso gli scogli. Oggi l’Italia che si prepara a ospitare il mondo è un Paese che si sta timidamente risollevando da una batosta terribile, che ricomincia troppo lentamente a crescere dopo cinque anni di recessione e impoverimento. Proprio ieri il ministro dell’Economia e il governatore della Banca d’Italia hanno trasmesso segnali incoraggianti, per la prima volta da tempo. Molte aziende annunciano finalmente piani di assunzioni dopo anni in cui si discuteva solo di tagli. Il costo del petrolio e del denaro è ai minimi storici, lo spread è tornato sotto quota 100, il calo dell’euro incoraggia le esportazioni, l’iniezione di liquidità della Bce dà ossigeno al credito. Eppure l’economia è ferma o si muove troppo poco.

La fiducia resta bassa. È evidente che i numeri non bastano. L’Italia non si riprenderà davvero fino a quando non avrà ripensato se stessa, non avrà creato una prospettiva e una visione in cui i suoi giovani possano riconoscersi, non avrà inquadrato il proprio posto nel mondo globale. Il mondo globale è considerato oggi una sciagura, che delocalizza la ricchezza e attrae milioni di poveri. In realtà può rivelarsi una fortuna per il Paese delle cose buone e delle cose belle, per la terra dell’arte e del genio. Oggi ci si rallegra se Venezia diventa il fondale delle nozze Clooney e Roma il set di James Bond, accontentandosi di qualche contributo alle casse pubbliche e di qualche giornata di lavoro a cottimo.

Ma domani si capirà che l’apertura alla società globalizzata può innescare un circolo virtuoso per l’industria culturale, il turismo di qualità, la macchina dello spettacolo, la rincorsa tecnologica, il sistema della comunicazione. Perché, accanto a posti di lavoro degnissimi e preziosi come quelli dei camerieri, degli chef, delle guide, dei tassisti, degli interpreti, ci sarà bisogno di ingegneri, architetti, scienziati, imprenditori, artisti. Riconosciamolo: finora abbiamo fatto poco per meritare queste vetrine internazionali. L’Expo può essere un successo, nonostante si sia fatto molto per rovinarlo, dai ritardi clamorosi alle umilianti vicende che hanno confermato quanto in Italia sia arduo fare una grande opera senza rubare. Il Giubileo lo dobbiamo a papa Francesco, oggi la personalità più amata e popolare del pianeta. Può essere il momento giusto per la manutenzione delle infrastrutture e anche dell’immagine di una capitale offesa dal malaffare e dal malgoverno, che troppo spesso non è altezza di se stessa e del suo potenziale.

Nel 2000 il Giubileo, apoteosi del papato wojtyliano, suscitò profezie catastrofiche; fu invece un’opportunità messa a frutto. Non si vede perché non debba esserlo anche stavolta. Tutte queste occasioni sono importanti. Nessuna in sé sarà decisiva. Si pensi a come il Brasile rischia di sprecare, a causa della corruzione, il biennio in cui ospita Mondiali di calcio e Olimpiadi. Il fattore dirimente non è il ritorno economico immediato. Non è neppure il colossale rimbalzo che gli eventi creano nel mondo interconnesso: Londra ha avuto per i Giochi meno visitatori di quelli che attendeva, ma il successo dei Giochi l’ha resa la città più visitata (Roma non è neppure tra le prime dieci). I grandi eventi saranno decisivi se serviranno a restituire agli italiani un po’ di fiducia in se stessi e un’idea del proprio Paese e del proprio ruolo. Restare ai margini del mondo globale, o diventarne il parco giochi, o valorizzare appieno il nostro patrimonio di storia e di creatività: imboccare la strada giusta dipende soltanto da noi.

Aldo Cazzullo

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