Vitigni siciliani e francesi convivono sulle colline di Rapitalà
Una Tenuta che valorizza già dagli anni '70 le uve autoctone, Catarratto in primis, accanto a quelle internazionali. Per il presidente Laurent Bernard de la Gatinais «è nel nostro Dna»
02 luglio 2019 | 17:33
di Alberto Lupini
«Le conferme di questa duplice faccia della Sicilia» sono state presentate anche alla recente edizione di Sicilia en Primeur.
Laurent Bernard de la Gatinais
Questa filosofia prosegue già da oltre 30 anni - è del 1968 Rapitalà , per mano di Hugues Bernard conte de la Gatinais, "rinata" con criteri moderni dalle ceneri della cantina distrutta dal terremoto della Valle del Belice.
Se i vitigni autoctoni coltivati sono i più noti a livello internazionale - Pinot Nero, Cabernet Sauvignon, Syrah, Merlot, Cabernet Franc, Chardonnay, Sauvignon, Viognier, con l'aggiunta del Fiano - tra quelli autoctoni - Nero d'Avola, Grillo, Nerello Mascalese e Perricone - spicca il Catarratto. «È da considerarsi come l'uva dimenticata della Sicilia. Paragonerei il nostro approccio al Catarratto come la difesa dei panda. Sono molto orgoglioso di difendere questo vitigno, ma non siamo gli unici a farlo». Se infatti Tenuta Rapitalà è il maggior produttore di questa varietà, a fianco esistono anche «piccole realtà, piccole aziende che continuano nel loro lavoro di difesa di tutto un territorio secondo me spettacolare».
Degustando i vini di Tenuta Rapitalà
La produzione totale dell'azienda è di 3 milioni di bottiglie, di cui 1 milione, la "fascia alta", «è destinato prevalentemente all'Horeca». Le etichette vendute nella Gdo sono una linea diversa, «che a me piace chiamare il nostro prêt-à-porter», non un prodotto inferiore, solo destinato ad altro tipo di consumo. A seconda delle esigenze e delle occasioni, «se uno desidera il prêt-à-porter, lo trova al supermercato, in un posizionamento anche molto corretto; se invece una persona desidera il taglio sartoriale, allora va in enoteca».
Per informazioni: www.rapitala.it
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Alberto Lupini