Il vino italiano resiste al Covid, Gdo e qualità salvano i bilanci

Le aziende chiuderanno l'annata in negativo, ma con valori migliori rispetto al resto del mondo. Contrazioni per l'export (-4,6%) e rischio di prezzi che crollano, però la grande distribuzione fa reggere i conti

23 novembre 2020 | 16:55

Sarà sicuramente un’annata negativa, ma per il vino italiano lo sarà un po’ meno rispetto al trend internazionale. Il nostro Paese chiuderà il proprio export 2020 con un -4,6% a valore (6,1 miliardi di euro) sull’anno precedente, ma gli effetti saranno complessivamente più leggeri rispetto al trend globale (-10,5%) e ancora di più sul principale player del settore, la Francia, costretta a rinunciare al 17,9% delle proprie esportazioni.

Il vino italiano regge il colpo


Bilanci agrodolci, ma in alcuni comparti è crisi
La quantità e i numeri tuttavia non rappresentano a 360 gradi la situazione. Il quadro è allarmante se si considera l’asimmetria di un dato generale che cela forti ribassi in diverse fasce, a partire dalle piccole imprese ad alto tasso qualitativo.

È il flash dell’analisi a cura dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor “Focus mercati - consumi e previsioni import 2020” presentata oggi al wine2wine di Veronafiere, nel corso dell’evento di confronto della filiera con i vertici delle associazioni di rappresentanza e l’Ice.

L'export italiano si salva grazie al primo bimestre
In termini assoluti, la contrazione del valore delle importazioni mondiali di vino stimata (su base doganale) sarà di oltre 3 miliardi di euro rispetto al 2019, soprattutto per effetto delle mancate vendite per oltre 1,7 miliardi di euro del suo market leader, la Francia. Il forecast sull’Italia si ferma invece a -300 milioni di euro, complice anche il boom (+15%) delle esportazioni nel primo bimestre dell’anno, che ha attenuato il passivo.

Mantovani: Vino italiano con gli anticorpi
Per il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani: «Il dato generale sulle stime previsionali dimostra come l’Italia sia stata in grado di opporre anticorpi efficaci alla crisi. Il rapporto qualità-prezzo, una più variegata diversificazione dei canali di vendita e lo scampato pericolo dei dazi aggiuntivi negli Stati Uniti hanno consentito di ridurre le perdite all’estero».

Ma c'è il rovescio della medaglia: «Tante piccole e medie aziende del vino che, al contrario delle altre, hanno perso i propri riferimenti commerciali - in particolare dell’Horeca - e stanno pagando uno scotto molto più rilevante della media. È questo segmento, decisivo per il nostro made in Italy, che occorrerà salvaguardare sin da subito».

La Gdo salva i bilanci


Col lockdown va forte il vino nella Gdo
Tengono, e talvolta incrementano, le aziende italiane maggiormente presenti sui canali di vendita della Gdo, spesso imprese di dimensioni medio grandi con numeri importanti. Calano invece, anche oltre il 50%, le medio-piccole orientate sui canali retail e nell’horeca. E gli sparkling, (-5,7%) simbolo del fuori casa e della festa, fanno peggio dei fermi (-4,5%) per la prima volta dopo 11 anni (2009). Giù il prezzo medio all’export dell’intera categoria di oltre il 9%, mentre i fermi perdono il 2%.

Pantini: il rischio è che i prezzi crollino
Per il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini: «Uno dei principali rischi che derivano dalla riduzione delle importazioni nei top mercati di sbocco, unito alla diminuzione della domanda sul mercato nazionale, è quello di un decremento dei prezzi di vendita dei nostri vini che vanificherebbe tutti gli sforzi messi in campo in questi anni per un miglior posizionamento di prezzo delle nostre produzioni, con effetti a catena su tutte le imprese e denominazioni. Un rischio concreto, se si pensa che quasi 2 aziende intervistate su 10 nell’indagine qualitativa hanno dichiarato che per contrastare la riduzione degli acquisti e delle forniture stanno pensando a sconti/promozioni per attirare la clientela».

Il calo del fatturato italiano sarà del 4,6%
Il -4,6% a valore per il vino italiano è frutto delle stime previsionali sui principali mercati del commercio mondiale del vino, oltre ai focus realizzati in alcuni tra i principali Paesi buyer analizzati (Usa, Germania, Uk, Cina, Giappone, Russia e Australia). Il Belpaese riuscirà a contenere le perdite e a incrementare sensibilmente le quote di mercato nei suoi 2 principali mercati chiave - gli Stati Uniti (-2% a valore, a 1,7 miliardi di euro) e la Germania (-3%, a 918 miliardi di euro). Un risultato che rappresenta una mezza vittoria se si considera che il calo generale delle importazioni statunitensi (-10,1%, con la Francia a -23%) è di 5 volte superiore al dato italiano, mentre per la Germania la variazione media dell’import è del -7,7%.

Stop significativo invece nel Regno Unito, sempre più lontano dalle forniture europee, con i produttori di Italia e Francia che perderanno rispettivamente il 12,1% e il 16,7%, a fronte di una variazione positiva della domanda sul ‘Nuovo mondo’ di quasi il 5%.

Da Cina, Giappone e Australia contrazioni significative
Prosegue la contrazione del mercato cinese (-32% sul prodotto Italia, -29% la variazione totale) e di quello giapponese, che vira in negativo (-15,1%) dopo l’exploit del 2019, così come il Canada (-7,7%). Giù anche la domanda australiana (-3,8%) e russa, che con un valore previsto di 279 milioni di euro segnerà un calo per il vino tricolore del 7,5%. La performance italiana risulta infine generalmente meno deficitaria rispetto ai competitor grazie alla tenuta di alcune piazze di peso, come la Svizzera (+4,3%) e la Svezia (+2,2%) tra le pochissime a presentare luce verde.

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Alberto Lupini


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