Altro anno delicato, questo 2022, dopo il 2020 e il 2021 difficilissimi per il mondo del vino. L'emergenza pandemica ha stravolto il settore, sebbene lo scorso anno per alcuni consorzi sono stati raggiunti notevoli risultati a livello produttivo (basti pensare al boom del prosecco o alla riscossa dell'Asti fra le bollicine). Alberga nel settore confusione di idee, a cui però si accompagna la volontà grande di arrecare contributi fattivi. Forse è il momento di appropriarsi di quel saggio metodo all’incirca enunciabile così: prima il problem setting (processo teorico e pratico che serve a trasformare un disagio in un problema), e dopo il problem solving (trasforma il problema ben definito in un progetto). Ci si cimenta, così scoprendo che se proprio all’abc non siamo, siamo però al cdef. Partiamo dalla “e”. La e di export.
Un 2021 buono per le vendite, ma i competitor fanno meglio con l'export
L’anno 2021 si chiude con circa 7miliardi di euro di export di vino italiano, che è niente male, dacché rappresenta un balzo in avanti del +14% rispetto all’anno precedente (il 2020 fu annus horribilis). Però, se compariamo la nostra situazione export con quella degli altri Paesi produttori europei, scopriamo che non è che poi stiamo messi tanto bene, o perlomeno che non siamo quelli che hanno fatto il miglior risultato. La Francia esporta (anno 2021) per 11miliardi di euro, con salto del +27%; mentre il salto in avanti della Spagna è stato di +11%.
Tutto sommato essere dietro alla Francia non è che debba costituire motivo dolente, ci può anche stare. Ma il problema lo si scorge allorquando si analizza il prezzo medio dei nostri vini rispetto ai vini francesi. Prezzo medio al litro del nostro vino, quasi 4 euro a fronte dei quasi 7 euro del vino francese. Il primo problema è questo: il prezzo al litro eccessivamente basso.
Poi magari, qui ce ne asteniamo però, si confrontano i volumi e non i valori e si scopre che l’Italia è davanti alla Francia. Ma è situazione di salute apparente, non è merito da esibire. In questo modo il nostro Paese fa fatturato, ma non può conseguire quegli utili che, in buona parte opportunamente reinvestiti, consentono alle aziende di prosperare e di guardare ardimentosamente e serenamente al futuro.
Analizziamo anche i mercati export dei due Paesi. Presi i primi 5 mercati dei due Paesi, si scopre che per l’Italia su di essi si concentrano il 63% delle vendite a fronte di un 50% per la Francia. E ciò costituisce il secondo problema.
Export, problem setting:
- prezzo al litro eccessivamente basso
- concentrazione eccessiva sui primi cinque mercati
Storico problema tutto italico: non saper comunicare
Proseguiamo con la “c”. La c di comunicazione. Qui il problema più gravoso è di metodo ancor prima che di merito. Si confonde la comunicazione con la promozione. In prima approssimazione le due aree possono anche equivalersi, ma appunto solo in prima approssimazione, quando il gioco è in mano ai dilettanti.
Ma quando l’approccio diviene rigoroso, come dovrebbe competere ai professionisti, diviene doveroso fare coerente distinguo tra una fase di comunicazione, in cui si comunica, si mette in comune il “sentire” di un mondo affascinante (e difatti diviene il “comune sentire”) qual è quello del vigneto Italia (e della Dieta Mediterranea), con la fase della promozione dove, tatticamente, per motivi variegati e molteplici, si offrono condizioni di miglior favore per attrarre i buyer del b2b (si intende lo scambio commerciale di prodotti o servizi tra aziende. Deriva dall'inglese e letteralmente si traduce in Business to Business) e i buyer del b2c (indica Business to Consumer ed è la vendita diretta al consumatore). I buyer del b2c sono gli “end users”; sì, insomma quelli che la bottiglia se la comprano e se la bevono. Comunicare, saper fare comunicazione, implica una strategia, una visione strategica. Promuovere, fare promozione, fermo restando che è fase sussunta alla comunicazione, ha comunque status tattico e non strategico.
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Saper fare comunicazione, e qui il punto debole degli operatori italiani è purtroppo vistoso, comporta anche saper ascoltare, ben prima di saper parlare. Se solo si facesse tesoro di quel proverbio arabo: “abbiamo due orecchie ed una bocca; dobbiamo ascoltare il doppio che parlare”
Nella comunicazione “adulta” e “professionale” le aziende vitivinicole italiane investono troppo poco. Si commissionano serie e valevoli ricerche di mercato? Si studia il target del sell-out (insieme di attività che sono rivolte a sollecitare la vendita del prodotto verso il consumatore finale, ndr) oppure ci si limita a malapena a detenere conoscenza degli interlocutori del sell-in (inteso come indicatore di performance, è una misurazione di ciò che entra in un punto vendita, ndr)?
Se solo ci si ricordasse, quando si imposta la strategia di comunicazione, che noi siamo quel Paese unico al mondo che sa fare cose belle e buone che piacciono al mondo e che le facciamo all’ombra del campanile.
Comunicazione, problem setting:
- si confonde con la promozione
- raramente contempla “ascolto”
Formarsi, un valore troppo spesso trascurato
Proseguiamo con la “f”. La f di formazione. La tematica della formazione intesa come livello delle skills delle persone che lavorano nelle aziende vitivinicole è sovente trascurata.
Si dà per ragionevolmente certo, anche grazie al ricorso a consulenti esterni in vigneto ed in cantina talvolta considerati guru nel loro settore, che vi sia livello ottimo di hard skills tra chi sovraintende alle uve e chi sovraintende ai vini. E molto probabilmente nella quasi totalità dei casi, ciò risponde al vero.
I dubbi affiorano allorquando si pensa alle professionalità in ambito commerciale (export management incluso) e in ambito A&F (Amministrazione & Finanza).
Queste carenze formative sono cagionate dalla grande prevalenza di aziende piccole che nel reputare necessarie le competenze tecniche, non altrettanto sensibili sono all’acquisizione di expertise (ovvero di esperti consulenti, ndr) commerciale e amministrativo, queste skills reputando essere patrimonio genetico del titolare!
Oltre a tutto ciò, si aggiunga la carenza delle soft skills (capacità motivazionali e di squadra, ma in senso lato anche tutti quei tratti caratteriali che caratterizzano la persona, ndr) che tutte le persone che lavorano in azienda dovrebbero invece possedere, a cominciare da quelle persone le cui mansioni prevedono contatti con i clienti e con gli enoturisti.
Formazione, problem setting
- il fattore “competenze” è sottovalutato
- servono anche le soft skills
Digitalizzazione, da plus a must
Concludiamo con la “d”. La “d” di digitalizzazione. Fattore trasversale a tutti gli altri: la digitalizzazione o è pervasiva o semplicemente non è.
Alcuni adempimenti burocratici, resi tassativamente obbligatori, si pensi alla tenuta degli Albi Vigneti ed a tutto quanto inerisce alle Doc e alle Docg hanno comportato un primo livello di automazione imposto de facto.
In questa fase, dando per ragionevolmente certo che le aziende vitivinicole siano dotate di gestionali atti a facilitare la gestione caratteristica, si tratta di analizzare quale sia l’attitudine dell’azienda a vivere nella società digitale partendo da due considerazioni essenziali:
- la presenza in rete sui social
- le vendite on-line mediante e-commerce
In genere, pur essendo in presenza di incoraggianti lodevoli eccezioni, la presenza sui social, al momento, si limita a dichiarazioni autoreferenziali quasi a sottendere... «ehi, ma vedete come sono bravo?».
Gli stessi website talvolta peccano in carenza di aggiornamenti e di precise informazioni di contatto.
L’e-commerce sta finalmente diventando una realtà che però è ancora ben lungi dal consolidarsi soprattutto perché concepita e strutturata per end users sul mercato domestico. Andava bene così, sul nascere, ma adesso si deve pensare ad un e-commerce mediante il quale vendere anche all’estero sia in postura b2b che b2c. Ce n’è di strada da fare e qui ritornano puntuali gli aspetti critici della comunicazione e della formazione.
Digitalizzazione, problem setting
- comprendere la pervasività della digitalizzazione
- utilizzo consapevole dei social per fare ascolto
- entrare in fase evoluta dell’e-commerce
Consumatore sempre più critico, una variabile da non trascurare
E se si osasse azzardare qualche spunto di riflessione maieutico ai fini del “problem solving”, successivo al “problem setting” fin qui affrontato secondo i punti del “cdef”?!
Noteremo che questi spunti di riflessione non possono prescindere da una visione complessiva dello scenario del vino laddove i punti toccati di export, comunicazione, formazione, digitalizzazione, determinano l’opportunità di un approccio matriciale.
Tra le conseguenze della pandemia, soprattutto nei grami mesi del lockdown, vi è stata una crescita delle conoscenze sulla materia vino da parte del consumatore. Acquisti on-line fatti meditatamente, non compulsivi, e quindi acquisendo informazioni comparate sui prezzi, sulle caratteristiche organolettiche del vino, sugli abbinamenti più appropriati hanno trasmesso non solo conoscenza, ma anche un primo strato di opportuna competenza.
Quindi, ribadendo il concetto forte che oramai il vino si compra e non si vende (proattività del buyer end user e non del seller), proprio perché l’atto del comprare vino comporta già immaginarsi quale sarà l’occasione di consumo conviviale, assumerà sempre maggiore importanza l’aspetto “abbinamento”.
Insomma, come adesso usa dire, si tratta di proporre il vino in approccio food friendly. Se questo approccio è valevole e tutto sommato semplice per il mercato domestico, esso diviene molto importante sui mercati esteri, laddove il fattore vincente consiste nel saper argomentare suadentemente l’abbinamento del vino italiano con le pietanze locali. Ciò comporta stimolare il consumo di vino italiano anche in ambito domestico e non solo nella ristorazione.
La comunicazione va commutata dal vecchio stile one way (io parlo, tu ascolti) alla nuova pratica two ways (io parlo e ti ascolto attentamente e volentieri). Insomma, è la costruzione di una relazione con la clientela (ed anche con gli altri stakeholders). Si tratta di acquisire dimestichezza, stante l’ingresso nell’ organico aziendale di professionisti abili nell’analisi dei dati e nella gestione dei social media. Si pensi alle opportunità che l’annunciato metaverso di Meta (ex Facebook) può arrecare alle realtà che sapranno utilizzarlo (il digital divide, di nuovo!) e si pensi alle opportunità che esso arreca in particolare al business dell’enoturismo.
La promozione, qui meramente e volutamente intesa solo come pratica commerciale, può avere un suo senso allorquando rivolta all’end user approcciato on-line e quindi allorquando si tratta di fare cross selling e fidelizzazione sul proprio e-commerce.
Una vision di doverosa attenzione alla qualità delle persone, ovvero la professionalità, la competenza e quindi le hard skills, congiuntamente al possesso delle indispensabili soft skills, implica considerare due fenomeni, coerenti anche alle linee guida del Pnrr (il Piano nazionale ripresa e resilienza), che sono esprimibili con due efficaci neologismi: restanza e ritornanza.
Far restare i giovani senza sospingerli nell’andare nelle grandi città o all’estero per trovare lavoro, e farlo mediante orientamenti di formazione mirata. Far ritornare nel proprio Paese i giovani che attualmente lavorano all’estero.
Trasversale a tutto ciò, con la sua pervasività è il processo di digitalizzazione. Digitalizzare significa acquisire competenza sulle nuove tecnologie dell’informazione e quindi sulla fruizione efficace ed efficiente delle attività abilitate da internet.
Non attrezzarsi a ciò, non lenisce le capacità di competere sul mercato globale; proprio no! Drasticamente e semplicemente, non attrezzarsi a ciò, non divenire azienda “naturalmente” digitale, comporta l’autoespulsione dal mercato.
Come sovente accade, al palesarsi di minaccia, qui costituita dalla non agevole lettura dello scenario post pandemia, si contrappone radiosa, la grande opportunità, qui costituita dall’interpretazione del rinnovato ruolo che oggi compete agli operatori del settore vitivinicolo.
Al cospetto delle insidie del nuovo, si contrappone la granitica certezza: nulla sarà come era prima della pandemia. Se ne prende atto e armati di rinnovato entusiasmo, irrobustite competenze e nuovi abiti mentali, si affronta sereni il nuovo cimento.
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Alberto Lupini
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