Vino italiano a tutto export, «ma servono più professionalità e sinergie»

Alla Scuola Sant'Anna di Pisa è stato presentata la 7^ edizione del master Vini italiani e mercati mondiali. Direttore, il docente di Viticoltura Pietro Tonutti a cui abbiamo chiesto un bilancio del settore. Fra il boom dei bianchi (meglio se con bollicine), la minaccia del Prosek, il cambiamento degli stili di consumo e delle condizioni metereologiche il comparto si apre a nuove sfide

25 settembre 2021 | 05:00

Da sei anni a questa parte, a Pisa, presso la Scuola Sant'Anna, si tiene il master di primo livello in Vini italiani e mercati mondiali. A dirigerlo è il docente di Viticoltura Pietro Tonutti che prepara i professionisti di domani in collaborazione con altre tre università toscane (Pisa, Siena e l'università per stranieri) e l'Associazione italiana sommelier (Ais). Obiettivo: dare risposta a un mercato, quello della produzione enologica, in cui l'export è diventata la voce essenziale per il buon andamento delle imprese. Ovviamente, approfondendo anche la conoscenza della materia prima (tanto che, durante il corso, i partecipanti sono in grado di ottenere il diploma Ais). Il risultato è un connubio di conoscenze teoriche e pratiche capaci di incidere su tre pilastri: marketing, conoscenza dei mercati esteri e comunicazione. Il tutto attraverso competenze che incuriosiscono anche allievi stranieri: «Dalla Russia alla Serbia, dalla Turchia al Sud America e quest'anno pure dalla Cina», racconta Tonutti.

 

Insomma, si prospetta un anno accademico all'insegna dell'internazionalizzazione.

Sì, il master, che parte solo se si arriva al numero minimo di 18 iscritti (e fino a un massimo di 25, ndr), negli anni si è costruito un'ottima reputazione. Con 400 ore di didattica frontale, uno stage finale in diverse realtà, dalle cantine all'editoria, la possibilità di partecipare a corsi pratici, ottenere il diploma Ais e un 90% di occupazione a un anno dal conseguimento del titolo, il corso di alta formazione risponde alle esigenze del mercato dando la possibilità a tutti gli studenti in possesso almeno di una laurea triennale di sviluppare le competenze e approfondire le conoscenze di un settore con ampi margini di crescita. Soprattutto dopo l'emergenza Covid.

A proposito di mercato, secondo i dati del 2020, sui mercati internazionali i vini bianchi italiani sono prevalenti sui rossi con una quota del 57% della produzione totale. Come mai?

Si tratta di un effetto di lungo corso. Detto diversamente, stiamo vedendo i risultati di una riconversione delle aziende produttive iniziata sulla scorta del successo delle bollicine italiane fuori dai confini nazionali. Il paradigma è quello del Prosecco: nei 27mila ettari vitati dell'area in cui viene prodotto, molti vitigni a bacca rossa sono stati sostituiti con quelli a bacca bianca per rispondere alle sollecitazioni del mercato. A incidere sono soprattutto i cambiamenti si stili e momenti di consumo del vino che non è più esclusivamente legato al pasto. Basti pensare all'aperitivo che ora conquista sempre più spazio anche in mercati, come la Cina ad esempio, sempre fortemente legati a un consumo di rosso che, tuttavia, poco si sposa con momenti di leggerezza e convivialità di questo tipo. C'è più voglia di freschezza, ecco. Certo, questo non significa che dovremmo riconvertire tutta la nostra produzione nazionale, ci mancherebbe. È giusto difendere e promuovere i nostri rossi come il Nebbiolo o l'Aglianico, solo per citare i primi due che mi vengono in mente. Ma è anche indubbio che le bollicine abbiano aperto una strada. Tanto che anche in zone non tradizionalmente votate all'uva bianca, come alcune aree del Sud Italia, con vigneti autoctoni poi spumantizzati si ottengono risultati di ottima qualità.

 

 

Come sta andando la vendemmia 2021?

Siamo ormai a metà. Considerando il "vigneto Italia" nella sua interezza e fatte salve le varie differenze che possono esserci dal Friuli alla Sicilia, ci sono dei dati che, per quanto solo stimati, sono abbastanza consolidati. Il primo riguarda la quantita: -9-10% rispetto al 2020 per un totale di circa 44 milionidi ettolitri attesi. Una riduzione dovuta soprattutto agli eventi atmosferici come i freddi anomali di aprile che, per esempio, in Toscana hanno causato una riduzione con punte del -30%. Anche nel Nord Est si sono avuti problemi con la grandine. Infine, alcune criticità si sono riscontrarte a causa delle alte temperature di luglio. D'altro canto, anche a causa di queste condizioni meteo, la qualità sembra in miglioramento. Soprattuto nella seconda metà di agosto, in alcune aree si è registrata una forte escursione termica che ha aumentato la qualità aromatica e cromatica dei vini. Ma non tutto è oro. In alcune zone, le alte temperature hanno causato uno sfasamento di maturazione fenolica. A concorrere alla qualità del prodotto, infine, è stata anche la quasi assenza di malattie della vite che hanno permesso ai viticoltori di ridurre le quantità di prodotti fitosanitari utilizzati.

Mentre prosegue la vendemmia, in Europa è scoppiato il caso Prosek. Che rischi corre il sistema produttivo italiano? E la difesa di Doc e Docg ha un effettivo riscontro sui consumatori?

Spero che il processo di riconoscimento del Prosek venga bloccato altrimenti sarebbe un danno per tutti i nostri prodotti; non solo per il Prosecco. È arrivato il momento di far tesoro degli insegnamenti ricevuti, a parti invertite, nella vicenda Tocai così da difendere l'unicità e il valore della produzione agroalimentare italiana. Perché è questo il valore aggiunto che poi ci fa performare al meglio sui mercati esteri. Il consumatore ormai è avvertito. Anche il meno esperto sa che la denominazione fa la differenza; anche se, forse, dovremmo imparare a raccontarlo meglio. Un miglioramento da questo punto di vista ci permetterebbe di avere un vantaggio competitivo e di non spaventarci troppo dell'arrivo di un nuovo competitor. E questo al netto del rispetto o meno delle regole europee sui cui si sono già mossi il ministero dell'Agricoltura e i vari attori istituzionali della filiera.

L'export italiano, quindi, non è a rischio?

Il trend ultimi 10 anni è molto positivo. Siamo attorno ai 7 miliardi di euro in valore. E sebbene siamo sempre alla rincorsa dei nostri vicini francesi, il gap si sta riducendo. Questo anche grazie all'andamento e alla penetrazione in alcuni mercati strategici. Penso agli Usa, dove siamo il paese produttore leader a livello di export. Oppure anche alla Germania, dove la richiesta di vino italiano è in aumento. L'obiettivo, ora, dovrebbe essere quello di stabilizzarsi su mercati ancora fluttuanti come la Russia e la Cina. In generale, voglio riportare un dato che fa ben sperare anche a fronte dell'emergenza Covid: nei primi sei mesi del 2021, se consideriamo i 12 Paesi in cui l'Italia esporta maggiormente il proprio vino, abbiamo registrato un aumento complessivo del +7% rispetto al 2020. Un dato non da poco se si pensa che si traduce anche in un +6,8% rispetto al 2019, pre-Covid quindi.

 

E quali sono i canali di consumo in cui il vino italiano va meglio?

Innanzitutto, l'e-Commerce. Un fenomeno globale ormai sdoganato anche per l'acquisto di vino. Nei prossimi mesi mi aspetto che si stabilizzi definitivamente dopo i picchi causati dal lockdown e dalla chiusura forzata dell'Horeca. Bar e ristoranti, invece, dovrebbero andare incontro a un naturale rimbalzo. Mentre è la Gdo il segmento più stratificato. Nei supermercati è la fascia di prezzo media quella che va per la maggiore. Quindi non mi stupirei se ci fosse un allargamento delle referenze in questa categoria di prodotto con inevitabili ripercussioni anche sulla domanda al mondo produttivo. 

 

 

E le cantine?

Penso che saranno le vere protagoniste del prossimo futuro attraverso format di vendita diretta che sappiano integrarsi al fenomeno dell'enoturismo. In questo senso, la normativa adottata di recente che chiede la presenza in azienda di figure professionali riconosciute potrebbe aiutare le imprese a sviluppare un'offerta differenziata. Certo, il lavoro da fare non è poco e include tanto le infrastrutture quanto la mentalità menageriale. Faccio un esempio: se la cantina vuole accogliere turisti e wine lover per una degustazione non può permettersi di chiudere nel weekend. E poi ci vuole il supporto di Consorzi, Strade del Vino, associazioni, istituzioni, ecc. Insomma, si deve creare una maggiore sinergia fra gli attori in campo.

Insomma, l'enoturismo è la via.

Direi di sì. La voglia di viaggiare, di esplorare e di capire aumenterà esponenzialmente una volta che avremmo messo sotto controllo l'emergenza pandemica. E questo in un momento in cui, parallelamente, la conoscenza e la comprensione del mondo che gira attorno al vino, nonostante un consumo pro-capite in diminuzione, sta crescendo. Anno dopo anno, la "cultura del vino" è sempre più diffusa e penetrante. A questo si aggiunga il fatto che il territorio italiano si presta a sfruttare la ricaduta dell'enoturismo allungando la stagione turistica stessa anche all'inverno. L'importante è creare network capaci di generare attrattività. Da solo anche l'imprenditore più volenteroso farebbe fatica.

 

 

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Alberto Lupini


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