Viaggio nell’Alto Adige vitivinicolo

Piccolo per estensione, grande per la sua unicità. La superficie vitata è di circa 5.600 ettari e le cantine 274. Il Consorzio vini Alto Adige, partendo dal mercato domestico, ha aperto la strada a quelli internazionali

21 luglio 2022 | 10:47
di Vincenzo D’Antonio

I vini dell’Alto Adige. Sì, ma va bene anche a dirla così: l’Alto Adige dei vini. E l’Alto Adige dei vini ce lo racconta la storia, una storia dalle radici profonde scandita dalle genti altoatesine per più di tremila anni, lasciando impronte profonde e decisive nello sviluppo di questa terra. Difatti, la viticoltura in Alto Adige fu praticata dai Reti, fu poi perfezionata dai Romani e apprezzata dalla corte degli Asburgo fino ai giorni nostri, quando la storia diviene attualità e lascia intendere come il vino sia diventato non solo un considerevole business ma anche il volano della società e dell’economia del territorio se vissuto non disgiunto dalle altre pratiche colturali, dalla zootecnia, dalla ricerca e, in tutta evidenza, dall’enoturismo.

La presenza della cantina sociale

Eccoci alla prima asserzione: i vini dell’Alto Adige. Giusto per non incorrere in errore, facciamo innanzitutto parlare quei numeri atti a tratteggiare lo scenario. La superficie vitata è di circa 5.600 ettari. Non arriva a essere neanche l’1% del totale Italia (600mila ettari circa). Ma quanti sono 5.600 ettari? Sono all’incirca 7.800 campi di calcio (il rettangolo di gioco). Quanti sono in Alto Adige gli agricoltori che coltivano i vigneti? Sono circa 5mila. Quindi ogni agricoltore coltiva un vigneto la cui estensione è un campo di calcio più una metà campo. Teniamolo a mente questo dato. Quante sono le cantine in Alto Adige? Numero preciso: 274. Se i viticoltori sono circa 5mila e le cantine 274, significa che il viticoltore altoatesino coltiva il vigneto, raccoglie le uve e le conferisce a coloro i quali dalle uve fanno vino, cioè alle 274 cantine. Ergo, in Alto Adige è fortemente presente la cantina sociale. E con la struttura cooperativa si capisce anche (i numeri non mentono mai) perché in media il vigneto curato dal viticoltore è grande quanto un campo di calcio più una metà campo.

Imprese private famose nel mondo

Può il viticoltore altoatesino che coltiva un vigneto grande una volta e mezzo un campo di calcio trarre da ciò reddito sufficiente? La risposta è negativa. Probabilmente siamo in una situazione da dopolavoro/hobby, oppure siamo in una situazione differente: l’agricoltore coltiva anche il suo vigneto ma anche, se non soprattutto, i meleti. Ovviamente non tutte le aziende altoatesine sono cantine sociali. Le realtà non cooperative, aziende la cui titolarità e conduzione è privata, ve ne sono e sono anche famose nel mondo. Tuttavia, giova rimarcare questa connotazione specificamente altoatesina della struttura cooperativa, la cosiddetta cantina sociale, dove il socio si sente (lo è de facto) lavoratore della vigna e non vendemmiatore.

Doc da primato

Torniamo ai vigneti e alla cura di cui essi necessitano. È viticoltura eroica? Considerando che le altitudini in cui si trovano i vigneti vanno dai 200 ai 1.000 metri, diremmo proprio di sì: è in buona parte viticoltura eroica. E i volumi? Di quante bottiglie/anno stiamo parlando? 40 milioni di bottiglie, di cui appena l’1% (400mila bottiglie) è vini spumanti. Di questi 40 milioni ben il 98% è Doc; è la percentuale più alta fra tutte le regioni italiane. Nella produzione vinicola altoatesina, per l’etichettatura dei vini Doc si utilizzano le denominazioni di origine controllata “Alto Adige” e “Lago di Caldaro”. Quanti i vitigni? Attualmente sono coltivati circa 20 vitigni. E in una distinzione duale tra vini bianchi e vini rossi? Ben il 64% è rappresentato da vini bianchi, il 36% da vini rossi.

Struttura "bianchista"

Insomma, nel breve volgere di circa tre lustri, l’Alto Adige è diventato decisamente “bianchista”. Ed è, giammai casualmente, con i suoi vini bianchi che l’Alto Adige vanta il maggior numero di premi e riconoscimenti in rapporto alla superficie coltivata. Dal 2007, tutti i soggetti che ruotano intorno al mondo del vino in Alto Adige si sono organizzati nel Consorzio vini Alto Adige. Da quel momento, partendo dal mercato domestico, il Consorzio ha aperto la strada ai mercati internazionali. Oltre ai vitigni autoctoni Lagrein e Schiava, i molti pregi del terroir dell’Alto Adige sembrano essere congeniali a numerosi altri vitigni rossi e bianchi che esprimono una considerevole ricchezza aromatica. In riferimento all’intera superficie vitata dell’Alto Adige, i primi otto vitigni - Pinot Grigio (12% circa), Gewürztraminer e Chardonnay (11% circa ciascuno), Pinot Bianco e Schiava (10% circa ciascuno), Pinot Nero e Lagrein (9% circa ciascuno), Sauvignon Blanc (8% circa) - ne costituiscono l’80% circa. Sono questi, in definitiva, i vini dell’Alto Adige.

Un mosaico di suoli

Ed eccoci alla grande intuizione e all’impegnativa mission del Consorzio: individuare la prassi atta a imbottigliare il migliore vino, a cui dare il valore congruo, combinando alla perfezione il microclima, il suolo e la scelta del vitigno. E si scopre che l’Alto Adige ha territori che sebbene in giunzione sono comunque ben differenti tra loro. Si pensi alla Valle d’Isarco, la più “bianchista”, e poi ai Colli di Bolzano con il “Santa Maddalena” a base di Schiava, e ancora Terlano che fa abbracciare Pinot Bianco e Chardonnay, e ancora Merano con la sua Schiava, fino alla Val Venosta con i suoi tre Pinot e il Lago di Caldaro.

Gli ambiti della sostenibilità

Quali le sfide a venire? Innanzitutto, essere pronti a un mercato dove il buy side è più proattivo del sell side. A dirla diversamente, siamo al punto di flesso di un mercato fatto da chi acquista (pull) piuttosto che da chi vende (push). Basti pensare al fenomeno, vistoso e già considerevole all’estero molto di più che in Italia, delle piattaforme di e-commerce. Lodevole, magari fungesse da best practice per tanti altri consorzi in ciò alquanto pigri, quanto sta facendo il Consorzio vini Alto Adige. Sul website del Consorzio, vi è funzionale e ben segnalata ribalta per le piattaforme e-commerce delle aziende associate. Sfida ulteriore è l’Agenda 2030 del Consorzio, coerentemente protesa alla sostenibilità attuando interventi coraggiosi in cinque ambiti fondamentali: le persone (da sensibilizzare attraverso comunicazioni sagge e mirate), il territorio (con innesco di filiere locali ed economia circolare), il suolo (con esso intendendo la sua integrità e il governo delle risorse idriche), i vigneti (con la salvaguardia delle biodiversità), i vini (con riduzione costante dell’impronta di carbonio).

 

L'opportunità enoturismo

A fronte di una storia lunga tremila anni, le genti altoatesine hanno le radici, profonde come quelle della vite, nel vino. Il passato dell’Alto Adige non prescinde dalla coltivazione della vite e dalla trasformazione delle uve in vino. Così il presente. Le misure Pnrr contribuiranno, almeno così si spera, a effettuare gli investimenti opportuni. Investimenti mirati nella formazione delle persone addette al settore (circa diecimila) a esse arrecando competenze sempre crescenti edal passo con le innovazioni tecnologiche non solo di processo ma anche di relazioni sul mercato. Investimenti, anche intangibili, sulla popolazione (i giovani innanzitutto) affinché ci sia e sia dal forestiero percepibile il lodevole “comune sentire” di questa meravigliosa appartenenza a un territorio dove la vite connota il paesaggio. Investimenti mirati affinché l’enoturismo, già ragguardevole realtà insieme con l’escursionismo a piedi e in bicicletta, sia sempre più fenomeno da poter denominare turismo enogastronomico, dando così valenza alla cucina e alla ristorazione della tradizione altoatesina. Siamo in Alto Adige, un territorio piccolo per estensione e grande per la sua unicità. Qui il mediterraneo lambisce il suo confine settentrionale costituito dall’arco alpino. Qui, a connotare il passato, il tempo attuale e il radioso futuro, sovvengono i primi versi della poesia “Buona giustizia” di Paul Éluard: “È la calda legge degli uomini Dall’uva fanno il vino”.

 

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