Verdicchio di Matelica, il futuro roseo del bianco delle Marche

Parliamo del Verdicchio di Matelica Doc (Doc dal lontano 1967) e del Verdicchio di Matelica Riserva Docg (Docg dal 2010). Un totale, tra Doc e Docg, di circa 820 ettari di superficie vitata

26 giugno 2023 | 10:44
di Vincenzo D’Antonio

Darsi delle regole e rigorosamente rispettarle in virtù di insito rigore deontologico, e poi, in conseguenza dell'osservazione arguta degli evolventi scenari, concorrere a modificarle. Volessimo, a scopo divulgativo, far datare la nascita del vino italiano così come oramai tutti noi lo intendiamo, con le sue buone etichette e con il robusto elemento sovrastrutturale (quanto propellente e quanto, invece zavorra, è discorso altro che un dì vorremo affrontare!) ci portiamo indietro all'annus horribilis 1986 (37 anni fa!) quando, era il mese di marzo, scoppiò lo scandalo del vino al metanolo. Il vino al metanolo causò l'avvelenamento e l'intossicazione di parecchie decine di persone e in 23 casi la morte. Dal punto più basso cominciò, è legge di natura (!), la risalita. Una sorta di rivoluzione nel mondo del vino italiano. Si cominciò a riconquistare la fiducia dei consumatori puntando sulla qualità legata al territorio, anziché sulla quantità a basso prezzo.

Le entità consortili, sebbene in molti casi già esistenti, trassero lezione e l'opera di tutela e di valorizzazione, quando speditamente e quando a passi "tardi e lenti", cominciò a sostanziarsi in mirate attività. Rigorosi divennero, sebbene in molti casi precedenti all'annus horribilis, i riconoscimenti delle Doc e, ad esse fungendo rispettivamente da gradino superiore e da gradino inferiore, i riconoscimenti Docg e Igt. Tutto bene, quindi. Sì, ma si diceva e lo si riafferma chiaramente, che gli scenari sono evolventi per definizione e nulla è pigramente e indolentemente statico e immobile e quindi, è d'uopo che le regole si riscrivano.

Vino tra consumatori consapevoli e nuove tecnologie

L'evoluzione nel gusto di un consumatore divenuto man mano sempre più competente ed esigente, l'approccio necessariamente professionale e diligente al mercato world wide, un nuovo assetto sia dei controlli che della munificenza di entità Ue, nazionali e locali (si pensi alle regioni ed anche alle Cciaa), l'insorgere delle tecnologie digitali e dei social, hanno sovente palesato nel nostro Bel Paese (il Paese dei borghi e dei campanili) che il ruolo egregiamente svolto dagli ambiti consortili stava esaurendo la sua spinta propulsiva. Eccessivamente piccoli e troppo propensi alla visione del particolare, trascurando di conseguenza il necessario anelito a una impostazione strategica che premiasse il periodo del termine medio e non quello angusto del termine breve, molti consorzi stavano perdendo smalto nell'ottemperanza di compiti vieppiù gravosi e delicati.

Insomma, ci voleva un consapevole e condiviso downsizing del consorzio, sino a ridenominarlo "comitato", onde generare la nascita di un "consorzio dei consorzi", o a dirla meglio, una federazione degli ex-consorzi. Acquisire contezza della propria minuscola dimensione onde attrezzarsi di conseguenza nell'attuare buone pratiche ed al contempo affidare ad istanza superiore (il consorzio dei consorzi) task strategici di ampio respiro.

Nelle Marche il ruolo dell’Istituto marchigiano di tutela vini

Tutto ciò è quanto sta egregiamente e lodevolmente accadendo da alcuni anni in quella realtà così tanto variegata (forse la più variegata di tutta l'Italia) che è tale anche nel nome, orgogliosamente declinato al plurale: le Marche. Le Marche, a ragione descritte come un mosaico unico di terroir e denominazioni. Nasce così Imt, Istituto marchigiano di tutela vini. Il consorzio di seconda istanza che funge da ombrello per ben 16 denominazioni marchigiane: 12 Doc e 4 Docg. Con 519 aziende associate l’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt) rappresenta l’89% dell’imbottigliato della zona di riferimento e incide per il 45% sull’intera superficie vitata regionale (oltre 7.500 ettari tra le province di Ancona, Macerata e Pesaro-Urbino).

Qual è l'imprinting di Imt, sostanziale valore aggiunto nel perseguire una valevole politica di sviluppo del territorio? La vision, detta proprio in sintesi, è l'assemblare in organismo unico i molteplici territori della regione (ah, questo plurale quanto la dice lunga!) per promuovere non solo il vino, ma anche la cultura, le tradizioni, il patrimonio enogastronomico e, last but not least, la "bellezza" di questo territorio, tra i più belli del Creato.

Marche, la bellezza di una regione al plurale

Ci sovviene citare Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia: «Se si volesse stabilire qual è il paesaggio italiano più tipico, bisognerebbe indicare le Marche, specie nel Maceratese e ai suoi confini. L’Italia, con i suoi paesaggi, è un distillato del mondo; le Marche dell’Italia… La vita contadina acquista nelle Marche il massimo suo splendore, e il lavoro concorre alla bellezza e lucidità dei paesaggi».

Quanta radiosa è l'assunzione di responsabilità da parte dei vitivinicoltori marchigiani aderenti a Imt. Costoro hanno piena contezza della responsabilità che si sono assunti: interpretare e quindi preservare (ma non agendo in narcosi) il patrimonio culturale, storico e naturale della loro regione. I pittoreschi borghi dell'entroterra, ahinoi a rischio spopolamento e le località costiere, l'austero quanto pittoresco Appennino, un tutt'uno con la confinante Umbria, e una litoranea che in accezione top-down, prende il testimone dalla costa adriatica di Romagna e lo cede al breve tratto costiero del Molise.

Allora, la domanda che ci si pone è: “Queste 16 denominazioni sono atte a portare, se così ci si può esprimere, le Marche, così come appena svelate, nei calici?". La risposta è: "non è cosa di irrisoria facilità, e però... sì, ci si riesce". Si tratta di porre a prerequisito la conoscenza dei singoli piccoli territori e la storia del singolo vitigno.

Alla scoperta del Verdicchio di Matelica

Ciò è quanto abbiamo potuto fare con Matelica e con i suoi due Verdicchio. Innanzitutto, perché due e non uno? Facezia ci farebbe dire… perché two is better than one. Diciamo che parliamo del Verdicchio di Matelica Doc (Doc dal lontano 1967) e del Verdicchio di Matelica Riserva Docg (Docg dal 2010). Parliamo di un totale, tra Doc e Docg, di circa 820 ettari di superficie vitata. Tanto merito va ai metalmezzadri: i metalmeccanici di quando Matelica era importante e fiorente polo industriale, che non hanno mai smesso di coltivare la terra e di fare il vino.

Da disciplinare, per entrambe le versioni, le uve Verdicchio sono presenti almeno all'85%. Le eventuali aggiunte di uve a bacca di colore analogo provenienti da altri vitigni idonei alla coltivazione nell’ambito dell’area interessata sono consentite fino a un massimo del 15%. Ad ascoltare i produttori, praticamente tutti optano per il monovitigno. Dopo averli meditatamente degustati entrambi, ci si sente di affermare che siamo al cospetto di uno dei migliori vini ottenuti da vitigni a bacca bianca del panorama enoico del nostro Paese.

La denominazione si estende attraverso i comprensori di otto comuni (Matelica, Esanatoglia, Gagliole, Castelraimondo, Camerino e Pioraco nella provincia di Macerata; Cerreto D'Esi e Fabriano in quella di Ancona), nel cuore dell’Alta Vallesina. I terreni sono calcarei e l'altitudine dei vigneti va dai 400 agli 850 metri slm. Qui passa il 43° parallelo dell’emisfero boreale: sorta di emblema dell'area mediterranea.

La Vallesina è la sola vallata marchigiana con disposizione Nord-Sud. Praticamente un'ellisse il cui asse lungo ha posizionamento parallelo rispetto all'Adriatico. Qui l'Adriatico è tutto sommato vicino ma… non si vede e non lo si percepisce. Ci pensano le montagne ad evitare (il calice di vino ringrazia!) l'azione mitigante del mare. Qui il microclima è diverso rispetto a tutte le altre vallate regionali. Un microclima Giano bifronte: continentale nelle ore notturne e quindi capace di preservare al meglio l’acidità delle uve; mediterraneo durante il giorno, con un irraggiamento che esalta il contenuto zuccherino degli acini. Tutto ciò influenza il ciclo vitale del Verdicchio e conferisce alle uve caratteristiche peculiari che identificano in maniera inequivocabile i vini di Matelica. Le percezioni olfattive si beano di armonici sentori fruttati di mela e ananas con note di fiori bianchi freschi. Al palato, pregevole caratteristica connotante questo Verdicchio, l’equilibrio pressoché perfetto, ben raramente riscontrabile in altri blasonati bianchi, tra freschezza e sapidità. Dono in chiusura, il finale di mandorla amara.

Verdicchio di Matelica, la prova superata degli abbinamenti

Grande e preziosa duttilità negli abbinamenti. Andiamo sul sicuro, godimento pieno a tavola, con la saporita cucina di mare marchigiana. Lo vediamo bene anche in abbinamento alla Mozzarella di Bufala Campana Dop. La Riserva è mite e giuoca il ruolo di fratello maggiore nel non creare gap considerevole con la Doc. Tuttavia, la vissuta evoluzione organolettica è ben riscontrabile e ben apprezzata. Qui andremmo oltre la cucina di mare e porteremmo con noi la Docg anche sulle tavole dei borghi appenninici, dove c'è ottima carne. Lo vediamo bene anche con la Casciotta d'Urbino Dop e con il Ciauscolo Igp. Discorso a sé, di grande interesse anche per i fall-out commerciali, le versioni spumante. Prevista da disciplinare ma al momento ancora inattuata, la versione Passito.

Verdicchio di Matelica e la modifica al disciplinare

Un segnale forte di come sia intento di sostanza e non mera operazione di facciata, giusto perché fa moda, parlare della centralità del territorio, è la modifica al disciplinare di produzione del Verdicchio di Matelica Doc e Docg.

Cambio del nome da “Verdicchio di Matelica Doc” a "Matelica Doc Verdicchio" e da “Verdicchio di Matelica Riserva Docg” “Matelica Riserva Docg Verdicchio” La parola del vitigno (Verdicchio) diverrà addirittura facoltativa. L’iter di approvazione delle modifiche al disciplinare è giunto nelle sue fasi conclusive. Sì, ma conoscendo tempi e metodi della burocrazia!

Le Marche e la sfida dell’enoturismo

Imt dice la sua, e anche qui svolge ruolo di vettore trainante le singole realtà, anche in merito all'enoturismo. Giammai casualmente, molte cantine dell'area di Matelica sono attrezzate per ricettività e ospitalità: condizioni necessarie ma non sufficienti per erogare servizi enoturistici. Perché? Cosa manca? Non è forse l'enoturismo il saper accogliere nella propria struttura il visitatore, metterlo a suo agio, soddisfare le sue curiosità e fargli assaggiare qualcuno dei nostri vini?! Sì, tutto ciò andava bene quando si era ai primi passi ma oggi l'enoturismo deve innescare ben altro. Affermiamo ciò partendo da una duplice considerazione, di cui una, la prima di stretta attualità: vero è che sta aumentando world wide la platea dei bevitori, ma altrettanto vero è (nessuna contraddizione, se ci riflettiamo) che stanno diminuendo, a riga di totale, i consumi di vino. In più a bere e tutti a bere di meno, insomma. La seconda considerazione, ahinoi endemica, è la ripartizione del margine sul venduto. La minor parte a chi lavora in vigneto e in cantina e imbottiglia quella bottiglia, e la maggior parte a chi . . . fa girare le scatole (le scatole con le 6 bottiglie, altrimenti dette "cartone") e stappa la bottiglia alla tavola del ristorante. Stortura che dura da sempre ma che oggi, tra tecnologie emergenti e (soprattutto) approccio rigoroso all'enoturismo, può essere lenita e tendenzialmente nel termine lungo debellata.

Come? Si tratta di considerare correlati l'enoturismo con il Dtc. Cosa è il Dtc? Il Dtc è il Direct To Consumer. Vendere direttamente a colui il quale quella bottiglia (quella scatola, pardon "cartone") la apre e la beve. Guai a dimenticare o a fare finta di non sapere che "la bottiglia è venduta quando è bevuta!". Insomma, il produttore deve imparare a fare sell-out. L'enoturismo, accogliere clienti potenziali in cantina, è volano prezioso per attuare ciò.
Andare ben oltre la vendita dell'istante di qualche bottiglia, spesso funzione della capacità del bagagliaio e null'altro. Si tratta di saper incamerare i dati, saperli elaborare e così innescare relazione duratura con il cliente. Ci si ripromette di approfondire questo tema.

Matelica il futuro roseo del bianco marchigiano

"Matelica" inteso come vino ottenuto da uve Verdicchio e fatto anche in versione Riserva, per felice (ma non casuale) combinazione di fattori ha i prerequisiti fondamentali per diventare non solo nel nostro Paese, ma anche sul mercato world wide, il "bianco" importante di assoluto prestigio che non si trova dappertutto! I principali fattori sono: capability non infinita (non è il prosecchino!), alla fin fine parliamo sì e no di un paio di milioni di bottiglie in totale; standing qualitativo alto, duttilità negli abbinamenti; specificità della sua versione spumante che ha praterie da conquistare nel mondo posto che si inneschi un articolato processo di saggia ed efficace comunicazione.

I numeri dell’export dei vini della Marche

Le aziende associate a Imt sono molto attive sul fronte della promozione all’estero. Oggi l'export vale circa 76milioni di euro. L'anno 2022 ha avuto performance superiori del 26% circa rispetto all'anno 2021. A trainare l'export dei vini marchigiani ci sono i suoi vini di punta, i Verdicchio, sia Castelli di Jesi che Matelica, che dell'offering dei vini marchigiani costituiscono il segmento premium soprattutto le versioni Verdicchio Superiore e Verdicchio Riserva. Secondo i dati Istat, la Germania rappresenta la seconda destinazione per l’export Marche (circa il 20% del mercato Ue), con vendite in aumento del 9% sui valori 2021.

Il primo mercato export si conferma essere quello statunitense, che con esportazioni per quasi 20milioni di euro vale quasi il 24% dell’intero export enologico regionale. Gli incrementi 2022 su 2021 più significativi si sono riscontrati negli USA (+83%), poi Giappone (+54%) e poi Paesi Bassi (+16%). “Let’s Marche! In Italy, of course” è il nuovo slogan che accompagnerà la Regione Marche in tutte le sue attività di promozione turistica e internazionalizzazione in Italia e all’estero. Testimonial il ct della Nazionale, il marchigiano Roberto Mancini. Ufficiosamente, nella specificità dei mondo enoico marchigiano, aggiungeremmo: "Let's Marche and let's sip its wines!".

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