Valpolicella, un 2020 in altalena, ma ora aziende pronte a investire nell'enoturismo
Tiene l’Amarone, calano Valpolicella e Ripasso. Va meglio l’export rispetto al mercato interno. Sette aziende della Valpolicella su 10 intendono investire in enoturismo nei prossimi anni
27 febbraio 2021 | 15:09
Tiene l’Amarone, calano Valpolicella e Ripasso. Va meglio l’export rispetto al mercato interno, sorridono le grandi aziende ma non le piccole, con il prezzo medio che cala un po’ per tutti. La Valpolicella va in altalena sui mercati nell’anno del Covid e tutto sommato chiude l’anno tirando un sospiro di sollievo. Ma le aziende non si perdono d’animo. Anzi: sette imprese della Valpolicella su 10 intendono investire in enoturismo nei prossimi anni
La principale denominazione rossa del Veneto regge, infatti, l’urto dell’emergenza e chiude le vendite di vino a valore nel 2020 con un -3,3%, frutto di un risultato stabile dell’export (-0,1%) e di un calo sulla domanda italiana del -9,6%. È il quadro di sintesi presentato oggi dal responsabile di Nomisma-Wine Monitor, Denis Pantini in occasione della Valpolicella annual conference, la 2 giorni digitale organizzata dal Consorzio tutela vini Valpolicella.
Mercato double face per l’Amarone
L’indagine, condotta su un campione di aziende che rappresenta circa la metà della capacità produttiva dell’area e una media pro-capite di 1,1 milioni di bottiglie vendute, segnala per l’Amarone un mercato double face, con una crescita importante (+7%) nel valore dell’export a fronte di una contrazione del 13% sulla piazza nazionale.
Le destinazioni internazionali, che rimangono meta dei 2/3 delle vendite, accusano un calo nel prezzo del re della Valpolicella di circa il 5%.
Pesa la chiusura dell’Horeca
«In generale – ha detto il presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella, Christian Marchesini – considerata la congiuntura la performance è da considerare positiva per il nostro vino di punta, che chiude l’anno meglio rispetto al trend nazionale. Ma ciò che preoccupa sono le disparità all’interno del dato generale, con le piccole imprese di qualità che pagano pesantemente la chiusura dell’horeca, con perdite medie del 10% per l’export e del 28% sulla domanda interna. Dinamica questa che colpisce direttamente il dna del nostro tessuto produttivo e che si riflette anche nelle altre Doc osservate dall’indagine».
Sul fronte delle vendite per canale in Italia è evidente come la presenza in Gdo (principale canale di sbocco con un’incidenza del 44% sul totale) delle piccole aziende sia limitata al 10% del totale del loro business, a fronte di una quota elevatissima (47%) di vendite effettuate attraverso la figura del grossista, in gran parte destinata alla ristorazione. In linea con la media nazionale, l’influenza delle vendite dirette (7%) e di quelle online (3%). Sul fronte export, gli Usa si confermano primo buyer per l’Amarone con una quota di mercato del 14%; a seguire Svizzera (12%), Regno Unito (11%), Canada e Germania (10%). Bene il trend della piazza statunitense a valore (+9%), positive anche le performance nelle altre top 5 piazze, con incrementi dal 4% al 7%.
Alta la propensione all’export del Ripasso
Ancora più alta (73%) la propensione all’export per il Ripasso, dove però si registra un calo del 5% a valore. In rosso anche le vendite in Italia che segnano un -6%. Cali pesanti, rispettivamente del 23% e del 25% per le piccole aziende. Il Canada (+1% le vendite nel 2020) si conferma di gran lunga prima destinazione per il Ripasso con il 23% degli acquisti totali, seguito da Svezia (quota all’11%) e a pari merito da Svizzera, Germania e Regno Unito (9%). In Italia la Gdo è nettamente il primo canale, con il 62% delle vendite a valore.
In negativo il Valpolicella
Vira in negativo anche il Valpolicella, che paga a valore un -3% all’estero (67% l’incidenza export) e un -8% sul mercato nazionale, dove la Gdo rappresenta quasi 2 bottiglie vendute su 3 ma che vale solo il 9% del fatturato delle piccole imprese, in evidente difficoltà sia sulle piazze interne (-21%) che negli scambi internazionali (-21%). Anche qui il Canada si conferma sbocco principale con oltre 1/3 delle vendite totali, seguita dagli Usa (19% la quota) e Norvegia (9%).
Per il responsabile di Nomisma-Wine Monitor, Denis Pantini: «La pandemia ha generato uno scenario di mercato spaccato in due, dove la linea di demarcazione è data principalmente dalle dimensioni aziendali che a loro volta determinano il posizionamento dei propri vini nei diversi canali distributivi. Quello che è accaduto per la Valpolicella trova analogie in tutti i vini del Belpaese e sta portando i produttori a rivedere le proprie strategie commerciali in un’ottica di maggior diversificazione sia di mercato che di canale, come anche emerso dalla stessa indagine svolta nell’ambito dell’Osservatorio sui vini della Valpolicella».
Ma nonostante questo anno orribile, le cantine e le aziende vitivinicole non hanno mollato e continueranno a non farlo. Anzi. Sono pronte ad aprirsi a nuove sfide. Sette aziende della Valpolicella su 10 intendono, infatti, investire in enoturismo nei prossimi anni. A dirlo, l’indagine interna del Consorzio di tutela vini della prima dop di vini rossi del Veneto.
L’ospitalità la chiave dei svolta
Secondo i dati raccolti su un campione di circa un terzo delle aziende del territorio, dopo un 2020 chiuso a -9,6% sul fronte delle vendite di vino made in Valpolicella, sarebbe proprio l’ospitalità la chiave di volta per la ripartenza nello scenario post-Covid: un asset importante, su cui l’area vitivinicola ha ancora molto potenziale inespresso.
Solo il 28% delle realtà si sono lanciate nell’hospitality
Se infatti la vendita diretta al pubblico è una prassi diffusa su tutto il territorio e in ogni tipologia di azienda (è praticata dal 98% dei rispondenti), rappresentano solo il 28% le realtà che si sono lanciate nell’hospitality, per lo più con B&B (nel 39% dei casi) e visite e degustazioni in cantina (32%), e ancora meno (il 13%) quelle che offrono servizi di ristorazione. Si tratta inoltre di formule attivate in media da 15 anni, tanto che 2 su 3 tra quelle già inserite nel circuito enoturistico prevedono nuovi investimenti.
Per il presidente Marchesini: «La propensione all’investimento è un dato molto positivo per l’economia di tutto il nostro territorio, un segnale di rilancio forte che, per concretizzarsi, ha bisogno del supporto di tutti gli attori istituzionali che ruotano attorno alla gestione del prodotto turistico. Il Consorzio sarà in prima fila per supportare le aziende che decideranno di investire in questa direzione attraverso un cospicuo lavoro di rete, ma anche attraverso la formazione e la promozione».
Valutando l’incidenza sul fatturato, le aziende hanno stimato un impatto medio dell’enoturismo pari al 17%, dato che sale oltre al 21% per le piccole aziende (con una produzione inferiore a 100mila unità) che, con 1/3 già impegnato in attività enoturistiche, sono quelle a dimostrare il più alto tasso di ricettività. La quota scende invece rispettivamente all’11% e 4% per le medie e grandi aziende.
Il ConsorzioVini Valpolicella vanta oltre l’80% della rappresentatività della denominazione. Nella provincia leader in Italia per export di vino, la Valpolicella detiene quasi 8.400 ettari vitati dislocati nei 19 comuni della Doc veronese ed esprime ogni anno un giro d’affari di circa 600 milioni di euro. Aperta a tutte le aziende del territorio, l’indagine censimento ha coinvolto un centinaio di realtà vitivinicole che sono state suddivise in piccole (fino a 100mila bottiglie prodotte, 71% del campione), medie (100mila-500mila bottiglie, 18% del campione) e grandi (più di 500mila bottiglie, 11% del campione).
Tiene l’export, giù l’Italia e le piccole aziende
Chiuse le vendite di vino a valore nel 2020 con un -3,3%La principale denominazione rossa del Veneto regge, infatti, l’urto dell’emergenza e chiude le vendite di vino a valore nel 2020 con un -3,3%, frutto di un risultato stabile dell’export (-0,1%) e di un calo sulla domanda italiana del -9,6%. È il quadro di sintesi presentato oggi dal responsabile di Nomisma-Wine Monitor, Denis Pantini in occasione della Valpolicella annual conference, la 2 giorni digitale organizzata dal Consorzio tutela vini Valpolicella.
Mercato double face per l’Amarone
L’indagine, condotta su un campione di aziende che rappresenta circa la metà della capacità produttiva dell’area e una media pro-capite di 1,1 milioni di bottiglie vendute, segnala per l’Amarone un mercato double face, con una crescita importante (+7%) nel valore dell’export a fronte di una contrazione del 13% sulla piazza nazionale.
Le destinazioni internazionali, che rimangono meta dei 2/3 delle vendite, accusano un calo nel prezzo del re della Valpolicella di circa il 5%.
Pesa la chiusura dell’Horeca
«In generale – ha detto il presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella, Christian Marchesini – considerata la congiuntura la performance è da considerare positiva per il nostro vino di punta, che chiude l’anno meglio rispetto al trend nazionale. Ma ciò che preoccupa sono le disparità all’interno del dato generale, con le piccole imprese di qualità che pagano pesantemente la chiusura dell’horeca, con perdite medie del 10% per l’export e del 28% sulla domanda interna. Dinamica questa che colpisce direttamente il dna del nostro tessuto produttivo e che si riflette anche nelle altre Doc osservate dall’indagine».
Sul fronte delle vendite per canale in Italia è evidente come la presenza in Gdo (principale canale di sbocco con un’incidenza del 44% sul totale) delle piccole aziende sia limitata al 10% del totale del loro business, a fronte di una quota elevatissima (47%) di vendite effettuate attraverso la figura del grossista, in gran parte destinata alla ristorazione. In linea con la media nazionale, l’influenza delle vendite dirette (7%) e di quelle online (3%). Sul fronte export, gli Usa si confermano primo buyer per l’Amarone con una quota di mercato del 14%; a seguire Svizzera (12%), Regno Unito (11%), Canada e Germania (10%). Bene il trend della piazza statunitense a valore (+9%), positive anche le performance nelle altre top 5 piazze, con incrementi dal 4% al 7%.
Alta la propensione all’export del Ripasso
Ancora più alta (73%) la propensione all’export per il Ripasso, dove però si registra un calo del 5% a valore. In rosso anche le vendite in Italia che segnano un -6%. Cali pesanti, rispettivamente del 23% e del 25% per le piccole aziende. Il Canada (+1% le vendite nel 2020) si conferma di gran lunga prima destinazione per il Ripasso con il 23% degli acquisti totali, seguito da Svezia (quota all’11%) e a pari merito da Svizzera, Germania e Regno Unito (9%). In Italia la Gdo è nettamente il primo canale, con il 62% delle vendite a valore.
In negativo il Valpolicella
Vira in negativo anche il Valpolicella, che paga a valore un -3% all’estero (67% l’incidenza export) e un -8% sul mercato nazionale, dove la Gdo rappresenta quasi 2 bottiglie vendute su 3 ma che vale solo il 9% del fatturato delle piccole imprese, in evidente difficoltà sia sulle piazze interne (-21%) che negli scambi internazionali (-21%). Anche qui il Canada si conferma sbocco principale con oltre 1/3 delle vendite totali, seguita dagli Usa (19% la quota) e Norvegia (9%).
Per il responsabile di Nomisma-Wine Monitor, Denis Pantini: «La pandemia ha generato uno scenario di mercato spaccato in due, dove la linea di demarcazione è data principalmente dalle dimensioni aziendali che a loro volta determinano il posizionamento dei propri vini nei diversi canali distributivi. Quello che è accaduto per la Valpolicella trova analogie in tutti i vini del Belpaese e sta portando i produttori a rivedere le proprie strategie commerciali in un’ottica di maggior diversificazione sia di mercato che di canale, come anche emerso dalla stessa indagine svolta nell’ambito dell’Osservatorio sui vini della Valpolicella».
Ma nonostante questo anno orribile, le cantine e le aziende vitivinicole non hanno mollato e continueranno a non farlo. Anzi. Sono pronte ad aprirsi a nuove sfide. Sette aziende della Valpolicella su 10 intendono, infatti, investire in enoturismo nei prossimi anni. A dirlo, l’indagine interna del Consorzio di tutela vini della prima dop di vini rossi del Veneto.
L’ospitalità la chiave dei svolta
Secondo i dati raccolti su un campione di circa un terzo delle aziende del territorio, dopo un 2020 chiuso a -9,6% sul fronte delle vendite di vino made in Valpolicella, sarebbe proprio l’ospitalità la chiave di volta per la ripartenza nello scenario post-Covid: un asset importante, su cui l’area vitivinicola ha ancora molto potenziale inespresso.
Solo il 28% delle realtà si sono lanciate nell’hospitality
Se infatti la vendita diretta al pubblico è una prassi diffusa su tutto il territorio e in ogni tipologia di azienda (è praticata dal 98% dei rispondenti), rappresentano solo il 28% le realtà che si sono lanciate nell’hospitality, per lo più con B&B (nel 39% dei casi) e visite e degustazioni in cantina (32%), e ancora meno (il 13%) quelle che offrono servizi di ristorazione. Si tratta inoltre di formule attivate in media da 15 anni, tanto che 2 su 3 tra quelle già inserite nel circuito enoturistico prevedono nuovi investimenti.
Per il presidente Marchesini: «La propensione all’investimento è un dato molto positivo per l’economia di tutto il nostro territorio, un segnale di rilancio forte che, per concretizzarsi, ha bisogno del supporto di tutti gli attori istituzionali che ruotano attorno alla gestione del prodotto turistico. Il Consorzio sarà in prima fila per supportare le aziende che decideranno di investire in questa direzione attraverso un cospicuo lavoro di rete, ma anche attraverso la formazione e la promozione».
Valutando l’incidenza sul fatturato, le aziende hanno stimato un impatto medio dell’enoturismo pari al 17%, dato che sale oltre al 21% per le piccole aziende (con una produzione inferiore a 100mila unità) che, con 1/3 già impegnato in attività enoturistiche, sono quelle a dimostrare il più alto tasso di ricettività. La quota scende invece rispettivamente all’11% e 4% per le medie e grandi aziende.
Il ConsorzioVini Valpolicella vanta oltre l’80% della rappresentatività della denominazione. Nella provincia leader in Italia per export di vino, la Valpolicella detiene quasi 8.400 ettari vitati dislocati nei 19 comuni della Doc veronese ed esprime ogni anno un giro d’affari di circa 600 milioni di euro. Aperta a tutte le aziende del territorio, l’indagine censimento ha coinvolto un centinaio di realtà vitivinicole che sono state suddivise in piccole (fino a 100mila bottiglie prodotte, 71% del campione), medie (100mila-500mila bottiglie, 18% del campione) e grandi (più di 500mila bottiglie, 11% del campione).
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Alberto Lupini
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