Rocche dei Vignali, viticoltura di montagna in Val Camonica

La cooperativa bresciana, con il suo presidente Gianluigi Bontempi, si è raccontata in una serata al Chic 'n Quick, ristorante milanese di Claudio Sadler, pluristellato membro di Euro-Toques

10 novembre 2022 | 18:10
di Guido Gabaldi

La Val Camonica (o Valle Camonica, o Valcamonica, prima o poi si troverà la quadra) dovrebbe essere nota al pubblico come porta aperta sulle piste da sci dell’Aprica e di Ponte di Legno, come pure per le incisioni preistoriche su roccia segnalate in quasi 180 località; dopotutto sono patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco fin dal lontano 1979.

Il vino della Val Camonica, un prodotto da valorizzare 

Il vino della Val Camonica, invece, è ancora qualche passo indietro. È da considerare un prodotto locale, per il momento, e ci si potrebbe chiedere perché, visto che questo territorio collinare che va inerpicandosi sulle Alpi ha prodotto per circa diciotto secoli vino per autoconsumo. L’ambiente pedoclimatico è di quelli giusti, dato che l’esposizione solare dei possibili impianti è favorevole, essendo ai piedi dei versanti alpini; l’influenza mitigatrice del vicino lago d’Iseo si fa sentire; la circolazione di aria fresca proveniente dai monti fa la sua parte, a preservare gli aromi e l’acidità dell’uva; il suolo calcareo, come pura la sua tessitura, è in grado di donare sentori minerali e sapidità ai vini.

La presentazione della Cooperativa a Chic 'n Quick 

La cena di presentazione della Cooperativa “Rocche dei Vignali” di Losine, a Milano presso la trattoria Chic ‘n Quick del pluristellato Claudio Sadler, membro di Euro-Toques, è l’occasione giusta per parlarne: ci risponde il presidente della Cooperativa, Gianluigi Bontempi

«Nelle nostre valli per centinaia di anni ogni famiglia, sul proprio piccolo appezzamento, ha coltivato uve da vino, patate, granturco per il proprio consumo. Dalla seconda guerra mondiale in poi l’industrializzazione, e anche un po’ di emigrazione, hanno cambiato tutto: le stime riportano che si è passati da circa 1.800 ettari a 80. Stava per sparire una tradizione agricola millenaria:  consci del rischio, un gruppo di produttori camuni ha preso l’iniziativa di reinvestire nel settore, verso la fine degli anni novanta.  Oggi la superficie vitata complessiva è di circa 180 ettari,  e in questo contesto la Cooperativa ‘Rocche dei Vignali’  è orgogliosa dei suoi 12 ettari». 

Avete ottenuto subito il riconoscimento dell’Indicazione Geografica Tipica?
Sì, perchè il Consorzio IGT, che è poi il primo passo verso la DOC, è stato istituito nel 2003, ed oggi conta 13 aziende. Attualmente le proprietà sono molto frazionate, e lo è di conseguenza anche la produzione: la Cooperativa, che è tra le più grandi,  immette sul mercato non più di 35.000 bottiglie all’anno.

Tutto questo revival per arrivare ad ottenere cosa?
Una serie di vini che rappresenti il territorio in modo incisivo.  La nostra gamma è completa, dallo spumante al passito dolce. Il metodo classico, a 50 km dalla Franciacorta, è la nostra sfida. Anche per distinguerci, abbiamo puntato sulle bollicine di montagna, ossia su un prodotto di grande personalità, non piacione, di evidente freschezza e sapidità, che riposa sui lieviti per 36 mesi. L’uvaggio è 85% Chardonnay e 25% Manzoni bianco. Tra i cloni ideati e sperimentati dal prof. Luigi Manzoni (1888-1968), preside della scuola enologica di Conegliano Veneto, quello che porta il suo cognome è il più famoso: si tratta dell'incrocio tra Riesling Renano e Pinot Bianco. Dal Manzoni derivano vini con buona acidità fissa ed interessante corredo aromatico.

Passiamo ora alla bacca nera: cosa abbiniamo alla cucina bistellata di Claudio Sadler?
La nostra gamma di rossi vuole andare a coprire un po’ tutte le occasioni di consumo;  il più rappresentativo è forse il  ‘Camunnorum’, da uve Merlot, Marzemino e Cabernet appassite sui graticci, come accade per i suoi cugini ben più celebri, l’Amarone della Valpolicella e lo Sfursat della Valtellina.  Dotato di grande struttura,  fa sentire subito al naso i frutti rossi, con qualche sfumatura di spezie e sentori di vaniglia legati all’affinamento in tonneaux per 18 mesi. I tannini sono delicati, perfettamente equilibrati con il resto del corredo olfattivo-gustativo.

Il titolo alcolometrico è 16%, aggiungiamo noi, ma non si esprime con un calore alcolico marcato e quindi, inaspettatamente, conferisce pienezza ma anche grazia alla struttura del “Camunnorum”. Tra l’altro, questo rosso è tra i premiati della famiglia dei Vignali, avendo ottenuto una medaglia d’oro (assieme a Coppelle Valcamonica IGT bianco) al Merano Wine Festival; ma anche dal Cervim, il Centro di Ricerca, Studi, Salvaguardia, Coordinamento e Valorizzazione per la Viticoltura Montana, nell’ambito del Concorso internazionale per i vini estremi.

I vini della Val Camonica e la cucina di Sadler 

Vini che trovano un loro modus vivendi, se chiamati a collaborare con la cucina di Claudio Sadler: anche se lo chef di estremo non ha nulla, essendo ben radicato in una tradizione italiana che lo ha portato al successo nazionale e internazionale. Il difficile è rimanere italiano senza arroccarsi nei propri confini, e dal proprio territorio continuare a guardare avanti senza dimenticarsi di sé stessi. Avendone le abilità  “si puote ciò che si vuole”, direbbe il Sommo Poeta, e presso la trattoria moderna Chic ‘n Quick ce ne hanno dato prova l’Uovo barzotto con savarin di ricotta, spuma di patate e tartufo; i Macarrones de busa con salsa di funghi e bresaola affumicata; il Rollè di coniglio con casera, funghi, speck e riduzione di Camunnorum.

Potevamo fare un cenno agli altri prodotti di punta della Cooperativa “Rocche dei Vignali”, come il Bianco “Ca’ della luce” da uve Solaris o il “Sant” Valcamonica IGT passito, delicato e mai stucchevole, come una carezza sulla guancia. Tuttavia, ci sembra in qualche modo di aver reso l’idea e fotografato le ambizioni di una valle che ha cominciato a far scuola all’albeggiare della storia, grazie alle incisioni su roccia: per cui il vino di montagna potrebbe essere l’inizio di una nuova era, chissà, visto il grande potere maieutico che da sempre caratterizza l’enologia e l’enoturismo.

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Alberto Lupini


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