Rifermentazione in bottiglia Fondamentale nel metodo Classico
16 settembre 2017 | 16:42
di Enrico Rota
In Italia il metodo Classico vede i suoi albori grazie a Giulio Ferrari che nel 1902, sulle rive del lago di Caldonazzo, diede vita al primo spumante italiano classico da barbatelle di Pinot che lo stesso Ferrari aveva importato da Épernay e messe a dimora in Trentino, a Calceranica.
Vediamo ora come nasce uno spumante di qualità con il metodo Classico (o “Champenoise”, dal nome dalla regione francese dello Champagne). Partendo da un vino fermo, viene aggiunto uno speciale sciroppo per la rifermentazione costituito da vino, zucchero di canna o barbabietola, lieviti e sostanze minerali. Ottenuta così questa “base spumante”, si può procedere all’imbottigliamento, le bottiglie poi vengono accatastate in posizione orizzontale, in locali bui e freschi, dove i lieviti, in qualche mese, avranno il tempo per fermentare lo zucchero producendo anidride carbonica e alcol etilico: la lentezza di questo fenomeno garantisce la presa di spuma sottile e persistente.
Terminata questa fase, le bottiglie vengono messe su dei cavalletti inclinati con dei fori sagomati (“pupitres”) dove vengono inserite dalla parte del tappo per permettere, in modo dolce, la concentrazione delle fecce (i lieviti ormai morti e le altre sostanze solide) sotto al tappo. Si procede poi all’eliminazione delle fecce con un’operazione chiamata “sboccatura”.
A questo punto si decide che tipo di spumante si vuole ottenere mediante l’eventuale aggiunta di uno speciale sciroppo: Extra Brut (per chi predilige il gusto molto secco), Brut (dal gusto secco ma più morbido), Extra Dry (dalla particolare pastosità e venatura morbida), Dry o Sec (preferito dagli amanti dei sapori morbidi), Demi Sec (prodotti con il metodo Classico sono molto rari).
Curiosità: durante il consumo è consigliabile tenere la bottiglia in un secchiello con acqua e ghiaccio in parti uguali; il bicchiere più adatto è il “flûte”, dalla forma allungata, con il quale si possono apprezzare al meglio le colonne di bollicine.
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Alberto Lupini