“Report” farnetica ancora sul vino italiano: lieviti e fermentazioni nel mirino

Fa già discutere l'estratto della puntata che andrà in onda domenica 18 febbraio su Rai 3. Il programma della televisione pubblica torna a demonizzare enologi e produttori, facendo di tutta l'erba un fascio . La trasmissione sembra ormai essere diventata il braccio destro delle frange antiscientifiche del settore

16 febbraio 2024 | 15:05
di Davide Bortone

«Con lieviti e aggiunte si possono ottenere vini uguali e prestigiosi anche se provenienti da parti del mondo diverse, ma cosa resta del vero vino dei territori?». È la domanda alla base della puntata di Report che andrà in onda domenica 18 febbraio, alle 20.55 su Rai 3. In compagnia del giornalista e "vignaiolo naturale" Piero Riccardi, il noto programma della televisione pubblica lancerà il secondo, pesante attacco alla professione degli enologi e al sistema del vino italiano, schierandosi sempre più apertamente con l'unica frangia di produttori “non certificati” in Italia: i cosiddetti “vignaioli naturali”, di cui non esiste neppure una definizione ufficiale. «I produttori di vino che fanno grandi volumi - recitano le poche righe con cui Report anticipa sui social media i contenuti del servizio - preferiscono spesso un vino standardizzato, facilmente riconoscibile dal consumatore che ogni anno abbia la stessa gradazione alcolica. Per ottenere un risultato di questo tipo, i produttori devono aggiungere del mosto concentrato rettificato, una misura prevista come straordinaria per aiutare i viticoltori in annate particolarmente avverse che oggi invece sembra diventata ordinaria ed è usata per creare un vino dal grado alcolico standardizzato».

«"Si sta diffondendo questo meccanismo - continua la preview social del servizio - per cui un Sauvignon prodotto in Australia o prodotto in Francia o prodotto in Sicilia risultano uguali. Il terreno non è più influente, non ha più importanza. Perché tu sai che a quel Sauvignon devi tirare fuori quei sentori che il consumatore ritroverà", spiega il giornalista Piero Riccardi. Una fonte interna ci ha raccontato come avviene questo processo a livello industriale». I toni, come già evidente, saranno in linea con quelli catastrofistici e complottistici del primo servizio di Report “Piccoli chimici”, che ha raccolto una valanga di critiche nel mondo del vino italiano (basti pensare che si definisce «fonte interna» al mondo del vino italiano un semplice produttore di vino). Lo “spin-off” si concentrerà sul tema dei “lieviti selezionati”, uno strumento utile agli enologi per compiere - nella piena legalità – le operazioni di cantina utili allo svolgimento delle fermentazioni. Report - sempre fedele a uno storytelling deviato, che sembra avere l'unico scopo di demonizzare la figura degli enologi italiani e promuovere, invece, forme di viticoltura antiscientifica – proverà a convincere i telespettatori che, attraverso l'utilizzo di lieviti selezionati si ottenga sempre un vino “sofisticato”, “finto”, “standardizzato”.

A Report la «standardizzazione del vino»

«La standardizzazione non è solo in chi fa il vino - sosterrà il giornalista e vignaiolo naturale Pietro Riccardi, titolare di Cantine Riccardi Reale a Bellegra, Roma - ma è anche negli assaggiatori che dicono: “Questo vino è di questa Doc. Ci sono delle Doc più blasonate dove dei colleghi che fanno vini naturali sono stati dichiarati fuori Doc, perché non riconosciuti conformi agli standard che la commissione di assaggio doveva rispettare. Chiaro che se io assaggio 10 vini standard e tutti hanno quei sentori lì, poi assaggio un Sauvignon che va fuori standard, ma è Sauvignon fermentato spontaneamente, quello viene dichiarato fiori noma».

Parole che aprono il capitolo delle commissioni di degustazione delle Doc, organismi chiamati a giudicare alla cieca la conformità dei vini di una determinata denominazione rispetto al disciplinare di produzione. Tali caratteristiche sono elencate in maniera molto precisa nei disciplinari di produzione di tutti i vini: si parte dagli aspetti visivi del vino (che devono rispettare un determinato “pantone”), passando per i profumi e i sapori. Solo i vini giudicati “conformi” ottengono la certificazione. Gli altri vengono “rimandati”, con la possibilità di essere degustati dopo alcuni mesi dalla stessa commissione ed essere, potenzialmente, ammessi.

Ancora una volta, nessuno scandalo ma una constatazione: i disciplinari di produzione, in molti casi, sono ormai diventati uno strumento utile all'industria del vino internazionale per promuovere le caratteristiche comuni di una denominazione; quelle utili a profilarla a livello internazionale, rendendola riconoscibile e dunque nota ai consumatori, che “sanno cosa aspettarsi” quando aprono una bottiglia di Sauvignon Blanc neozelandese, piuttosto che un Brunello di Montalcino, un Barolo, un Franciacorta o un Pinot Nero della Borgogna.

Cotarella a Report: «I lieviti vengono dall'uva»

«I lieviti che aggiungiamo - preciserà un corrucciato e quasi incredulo Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi, l'associazione nazionale degli enologi ed enotecnici - non vengono da materiale inorganico: vengono dall'uva». «Però sono prodotti da una serie di grandi società multinazionali che li producono, li brevettano e poi li vendono», ribatterà il giornalista Report, perpetrando nella scoperta dell'acqua calda e nei toni complottistici. «È un peccato essere multinazionale?», risponderà Cotarella. «No, no, il punto è che andiamo incontro a una standardizzazione del vino in questo modo», replicherà Report.

«No - dirà il numero uno di Assoenologi - il compito dei lieviti è di trasformare lo zucchero in alcol. Ci sono lieviti che estraggono dalla buccia, dal mosto, sensazioni più forti, ma non è che danno le loro sensazioni. Agiscono in maniera diversa su quell'uva, estrapolando caratteri che possono essere positivi o negativi. Sta all'enologo decidere quali lieviti utilizzare, ma non è che un lievito può dare un corpo, una personalità a un vino. È l'uva che dà personalità a un vino».

I primi commenti sui social di Report: «Quanta disinformazione»

Report raggiungerà nuovamente il vignaiolo-giornalista Pietro Riccardi nella sua cantina, per sottolineare le caratteristiche di un lievito selezionato elaborato a Narbonne, in Francia: il “71B”, utilizzato solitamente per le fermentazioni di «varietà neutre o con debole contenuto aromatico, come Trebbiano, Catarratto, Garganega, conferendo note fruttate di mela e banana»: «“Durante la fermentazione produce una serie di sostanze aromatiche, esteri amilici, che conferiscono al vino un marcato e gradevole aroma di frutta fresca. Per questo motivo “71B” viene consigliato per ottenere vini giovani e di pronta beva e per tutte quelle varietà carenti di sostanze aromatiche proprie, o prive di una loro personalità”. Cioè tu hai un'uva che in vigna non hai dovuto coltivare, allevare per produrre qualcosa di quel vigneto, di quel terroir, di quella terra e con quel clima. Non hai personalità, non hai importanza”.

La trasmissione, insomma, proverà ancora una volta a fare di tutta l'erba un fascio, causando un danno di immagine generalizzato e generico non solo all'industria del vino italiano e ai grossi produttori, ma anche ai tanti piccoli produttori onesti che, anche grazie all'utilizzo di “lieviti selezionati” - nella maggior parte dei casi “neutri”, ovvero utili a favorire la sola fermentazione, senza cedere o amplificare alcun aroma - esaltano le caratteristiche dei loro territori in bottiglia. Le critiche all'estratto del servizio, di fatto, già non mancano. Su tutti, il commento del vignaiolo marchigiano Paolo Lucchetti riassume bene l'opinione di molti: «Quanta disinformazione in questo piccolo estratto. Domenica sera mi guardo Paperissima che sarà certamente più interessante». Prosit.

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