Prosit con le bollicine di montagna Trentodoc

Superato il tetto di 12 milioni di bottiglie con una previsione di un ulteriore balzo a fine anno. Un "boom" che sembra inarrestabile. Le case spumantistiche consorziate sono 67: dai colossi della cooperazione ai piccoli vignaioli

09 febbraio 2023 | 12:46
di Giuseppe Casagrande

Ne è passata di acqua sotto i ponti del fiume Adige da quando nel 1953, settant'anni anni fa, il "sior" Giulio, non avendo figli, decise di vendere a Bruno Lunelli, un commerciante trentino che aveva il fiuto degli affari, la casa spumantistica Ferrari, marchio già prestigioso all'epoca, e le 11.230 bottiglie "mèthode champenoise" accatastate nella storica cantina del centro storico di Trento, a due passi dal Duomo. In pochi anni quelle bottiglie diventarono un milione, poi due, poi quattro per raggiungere e superare oggi quota 7 milioni.

I pionieri: Giulio Ferrari, Nereo Cavazzani, Leonello Letrari

Non potevamo non raccontare questo capitolo di storia legato alla "maison" Ferrari per inquadrare il "boom" del Trentodoc e delle bollicine di montagna di quel Trentino che si conferma, come recitava qualche anno fa un simpatico slogan pubblicitario, l'unica regione, oggi provincia autonoma, che fa rima con... vino. Il merito è dei pionieri che credettero in quell'ambizioso progetto e Giulio Ferrari è uno di questi. Ma non vanno dimenticate altre figure benemerite: Nereo Cavazzani, un innovatore che inventò una tecnica di spumantizzazione rivoluzionaria: il famoso "metodo Cavazzani", evoluzione del metodo Charmat e Martinotti, che consiste nella lunga fermentazione in autoclave con la presa di spuma del vino base a bassa temperatura. Metodo esportato con successo anche nella zona del Prosecco.

Oltre a Cavazzani va ricordato un altro patriarca: Leonello Letrari (cui si deve anche la creazione del primo "bordolese" trentino: il mitico Fojaneghe dei conti Bossi Fedrigotti)  che negli anni Sessanta in collaborazione con l'enologo Ferdinando Mario Tonon, con il cantiniere Riccardo Zanetti, con il responsabile del Laboratorio d'analisi dell'Istituto Agrario di San Michele all'Adige Pietro Turra e con l'imprenditore Bepi Andreaus creò l'"Equipe5". Un metodo classico di grande fascino acquistato negli anni Novanta dalla Cantina di Soave dopo l'arrivo (da Trento) del direttore generale, trentinissimo di nome e di fatto, Bruno Trentini.

Accanto ai colossi della cooperazione ecco la "new generation"

Ma torniamo ai giorni nostri. Dopo i pionieri e accanto ai colossi della cooperazione (Cavit, Rotari, Cesarini Sforza, La Vis, Toblino, Vivallis), oggi sono le "new generation" a portare avanti con successo la tradizione delle bollicine trentine: i Lunelli (Ferrari), i Letrari, i Balter, i Conti Bossi Fedrigotti, i Dorigati (con il Methius), Francesco Moser (Maso Warth), i Malfer (con il brand Revì), i Pedrotti, i Pisoni, i Simoncelli, i Salizzoni, gli Spagnolli, i Romanese, Marco Tonini, Alfio Nicolodi, Mattia Filippi, Roberto Zeni, la famiglia Zanotelli. Ed ancora: le cantine Endrizzi, Casata Monfort, Gaierhof, Maso Poli, Laste Rosse oltre alle già affermate "maison" Abate Nero, Maso Martis, Fondazione Mach, Bellaveder, Villa Corniole, Pojer&Sandri, Pravis, Madonna delle Vittorie, Cantina di Riva, Mas dei Chini, Vallarom, solo per citare le etichette più famose.

I numerosi riconoscimenti internazionali

Il successo delle bollicine trentine è confermato anche dai numerosi riconoscimenti internazionali che vedono ogni anno il Trentodoc sul podio dei migliori "sparkling wine" del mondo accanto ai grandi Champagne. "Un motivo di orgoglio e di ulteriore stimolo per i nostri associati" ha dichiarato alla vigilia della 55. edizione di Vinitaly il presidente dell'Istituto Trentodoc Enrico Zanoni. Oggi le case spumantistiche associate sono 67, numero in costante crescita. La superficie vocata alla produzione di spumanti metodo classico è di 1.250 ettari distribuiti su un territorio di alta collina e montagna. Le bottiglie prodotte: 12 milioni con la previsione di un ulteriore balzo a fine anno.

La profezia di Veronelli sul Trentino "Champagne d'Italia"

Si sta avverando quanto negli anni Settanta del secolo scorso Veronelli, in vacanza in Trentino, confessò all'amico professor Francesco Spagnolli, preside emerito dell'Istituto Agrario di San Michele: "Datevi da fare che in pochi anni i vostri sgrebeni (parola dialettale che significa terreni impervi e abbandonati, ndr) potrebbero diventare la Champagne d'Italia". Aveva visto giusto. Oggi quegli "sgrebeni" sono dei meravigliosi vigneti terrazzati che non hanno nulla da invidiare alla "Côte des Blancs" dei Grand Cru e dei Premier Cru francesi. Vigneti che, grazie anche a condizioni pedoclimatiche ideali, consentono di ottenere delle bollicine davvero esclusive per freschezza, sapidità e persistenza. Prosit!

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