Pronti per un'estate 2024 no-alcol? Come si prepara il mercato del vino

Sempre più insistenti nel comparto le voci che indicano i prossimi mesi "caldi" dell'anno come il periodo che vedrà la vera impennata nella vendita di vino, birra, spirits e bevande a basso o azzerato tenore alcolico . Impareggiabile il caso degli analcolici Lyre's (+300% in dodici mesi), ma l'industria del vino non sta a guardare

12 gennaio 2024 | 05:00
di Davide Bortone

Entro il 2032 il mercato globale dei vini senza alcol, unito a quello degli spirits e delle birre analcoliche, potrà raggiungere cifre astronomiche. Stando alle più recenti statistiche internazionali, snocciolate alla World Bulk Wine Exhibition di Amsterdam, il giro d'affari toccherà quota 23 miliardi di dollari, in scia con l'accelerazione del settore verificatasi nel 2021 (+33% in volume). Ma è l'estate 2024, come si dice ormai neppure troppo sottovoce nel settore, che potrebbe benedire ufficialmente l'avvento delle bevande low e no-alcohol nel quotidiano (prima "balneare", poi domestico) degli italiani. Birre e spirits low e non-alcoholic cresceranno comunque meno del vino dealcolato.

 

L'inarrivabile Lyre's e le contromosse dell'industria del vino

Del resto risulta impossibile emulare il caso Lyre's, giovane azienda australiana specializzata in spirits analcolici che visto un aumento delle vendite del 300% tra gennaio 2021 e 2022, riuscendo a farsi inserire in carta in oltre 700 bar e ristoranti del Regno Unito e a ingaggiare - stando al gossip - David Guetta come testimonial. Tutti elementi che costringono l'industria del vino globale ad affinare i coltelli nei confronti dei diretti competitors (birra e spirits, per l'appunto). Come? Cercando di introdurre i vini senza alcol tra le tipologie a denominazione di origine controllata in Europa.

«Birrifici e distillerie - spiega Gerard Kenneth Higgins, responsabile di Pernod Ricard Winemakers per il Nord Europa - sono molto aggressive in questo segmento, essendo molto semplice fare birra e distillati senza alcol che siano buonissimi. Le recenti acquisizioni nel settore delle bevande dealcolate da parte di grandi gruppi dimostra quanto il segmento sia ormai di grande interesse. L'industria del vino si ritrova così a dover rincorrere e combattere. Le aspettative di crescita nei prossimi 10 anni sono del 29% e ciò significa che la produzione deve crescere di pari livello».

I mercati dove è attesa la crescita maggiore sono quelli maturi, in cui esiste una tradizione nel consumo di alcolici. Ma non sono esclusi l'Asia meridionale e orientale, dove il consumo di vino è meno radicato a livello socio-culturale. Sempre secondo le più recenti analisi compite su scala globale, le opportunità di costruire un brand solido nel segmento dei vini low e zero alcohol non mancano. Il tutto a fronte dei corretti investimenti in qualità e posizionamento, perché produrre un vino dealcolato comporta innovazione tecnologica che va ben oltre il settore dell'enologia tradizionale.

I nuovi mercati del vino dealcolato

Il Systembolaget, ovvero il monopolio svedese, dedica ormai da anni uno scaffale alle bevande non alcoliche all'interno dei propri 400 (e più) punti vendita. Molto fiorente il mercato nel Paese scandinavo, con diverse aziende nate negli ultimi anni proprio per presidiare il segmento degli analcolici (clamorosa, a tal proposito, l'aggressività del marketing degli svedesi di Sav 1785, con il loro succo di betulla spumantizzato, paragonato a Franciacorta e Champagne). Lo stesso vale per diverse catene di supermercati. Non ultima l'inglese Tesco, mentre per l'Italia è Esselunga a fare da pioniera, pur con una singola etichetta (lo spumante Dr Fisher della consociata tedesca di Martin Foradori Hofstätter).

«A contribuire al successo del segmento - sottolinea Irem Eren, direttrice vendite e sviluppo commerciale di BevZero Emea - è il proliferare di stili di vita e stili alimentari volti alla salubrità. È cambiato l'approccio al bere senza alcol: prima era riservato a credo religioso, motivi di salute o professionali (autisti, etc.) ed era vissuto come un sacrificio. Oggi è una scelta consapevole, compiuta da Millennials alla ricerca di stili di vita sani e di un'alimentazione più sana». Cresce anche il numero di bar focalizzati sulle bevande non alcoliche, nonché il numero di distributori e retailer, così come le cantine che stanno finalmente cercando di incontrare la domanda crescente di questo tipo di prodotti da parte dei consumatori».

I migliori vini senza alcol: come riconoscerli

Produrre vini senza alcol non è comunque un gioco da ragazzi. Come ricorda Gianmaria Zanella, responsabile Ricerca e Sviluppo della veneta Enologica Vason, tutto dipende dalla qualità del vino base. «In passato - evidenzia Zanella - si faceva vino dealcolato pressoché da qualsiasi base. Oggi non funziona più così». Se si punta alla qualità, anche in questo segmento, bisogna partire da un buon vino base, che garantisca parametri tali da agevolare il successo del processo di dealcolazione. In mancanza di questa buona base, la distillazione non fa altro che concentrare i difetti. È presumibile ipotizzare che entro una decina di anni si inizierà a pensare il vino senz'alcol dalla vigna, piantando vigneti e varietà adatte ad essere sottoposte alla dealcolazione».

Più in generale, i migliori vini senza alcol rispondono già ad alcune caratteristiche precise. Sono generalmente frutto di vigne con alte rese, ottenibili grazie alle tecniche di potatura. Le varietà più adatte, inoltre, sono quelle poco ricche di tannini (difficilissimo, per esempio, produrre un buon vino dealcolato da varietà come Sagrantino e Tannat). Infine, la bontà e la qualità organolettica di un vino dealcolato dipende molto dalla sua “data di scadenza” (shelf-life). Più si riducono i tempi tra l'imbottigliamento, la spedizione e l'immissione in commercio, più il vino sarà in condizioni accettabili per il palato. Tante variabili, dunque, ma ancor più opportunità di mercato nel futuro dei vini senza alcol.

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Alberto Lupini


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