Malvasia moscata, una rarità che sorprende

La Malvasia moscata appartiene alla famiglia delle Malvasie a bacca bianca o colorata, un tempo molto presenti in Piemonte

10 novembre 2018 | 18:35
di Piera Genta
La leggenda racconta che, grazie ai Veneziani, sia giunta sulle colline monferrine da Moni Emvasis, porto con una sola entrata del Peloponneso, addirittura nel XIII secolo. Gli Statuti di Mondonio (località astigiana nei pressi di Castelnuovo don Bosco) del 1468 citano questo vitigno in modo singolare, fissando le pene per quanti avessero rubato le uve di “moscatelli, rinasii, vernace [...] et marvaxie”. Viene citata da Gian Battista Croce nel suo libro “Della eccellenza e diversità dei vini...” (1606); parla di “Malvoisie musquée” Jean Merlet, autore dell’Abrégé des Bons Fruits (1667), che descrive il vitigno come «un’uva divina per l’intensità del suo aroma moscato, superiore a quello di tutte le altre; viene dal Monferrato e i dintorni di Torino ne sono pieni»).



Il Conte di Rovasenda (1877) riporta le varianti nel nome con cui questo vitigno era coltivato in Piemonte negli stessi luoghi dove oggi sono ritrovate tracce di coltura: Malvasia bianca di Asti, Malvasia bianca (Torinese, Pinerolese), Malvasia gialla, Malvasia greca nel Monferrato. Tutto questo indica una coltura diffusa ed una presenza storica apprezzabile.

Con gli emigranti piemontesi è arrivata in California, dove si contano ben 500 ettari, utilizzata come base spumante o in taglio allo Chardonnay per innalzarne il tenore aromatico ed ancora per la produzione di vini da dessert (Verdegaal, 2003). Dal 2012 è iscritta come Malvasia moscata nel registro delle varietà e compresa tra quelle idonee alla coltura.

Si ottengono dei vini dal bouquet floreale dal gusto equilibrato, senza che si manifesti in modo negativo la nota amara tipica di molti moscati vinificati senza residuo zuccherino.

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Alberto Lupini


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