Ippolito, una limited edition per promuovere la Calabria
Da 177 anni la Cantina calabrese opera nel mondo del vino, sempre alla ricerca del miglioramento e della valorizzazione del territorio d'origine. Ora, sei bottiglie per una nuova idea
L'arte spesso incontra il vino, e non solo perchè saper trasformare questo frutto della terra, mantenendone i valori e l'identità, è un'arte. Il connubio dura da secoli e molti produttori hanno già voluto legare il loro vino a svariate forme di arte, pittura, scultura, architettura, musica, poesia, spesso sostenendole.
Questo è il caso della cantina calabrese Ippolito 1845, che prima ancora che un'azienda è una famiglia alla quinta generazione che ha espresso l'amore per la propria terra con un progetto concreto: la vendita di una speciale cassetta limited edition con sei delle sue etichette più rappresenattive decorata da un artista, Enrico Focarelli Barone, in arte Frelly, per finanziare un'opera d'arte in stato di degrado: la Fontana del Principe. Una seicentesca e monumentale struttura a tre archi di Cirò Marina, sede della Cantina e dei vigneti, tra le colline e le pianure della fascia costiera del Mar Ionio. Una volta appartenuta alla famiglia dei principi Spinelli, è stata sempre considerata pur nel completo abbandono, simbolo dell'area. I tre titolari della Cantina Ippolito 1845 Paolo, Gianluca e Vicenzo Ippolito, sono venuti a Roma ad illustrare il loro progetto di sostenibilità sociale, sintesi di bellezza, arte ed amore per l’agricoltura, al ristorante "Per me" di Giulio Terrinoni (una Stella Michelin).
Obiettivo: non disperdere la cultura locale
La Calabria è anche terra di storia e tanti reperti di passate civiltà e di signorie estinte sono in stato di degrado. Questo progetto della Cantina, attiva nel territorio dal 1845, ha gettato il seme perchè la cultura locale non vada dispersa, che la bella fontana venga restituita alla comunità locale e ai visitatori e anche che l'esempio possa essere seguito da altri. Lo ha fatto con il contributo di Frelly, freelance di origine catanzarese, che ne ha illustrato etichette e confezione dei vini. «La sfida per me - ha detto l'artista - è stata riuscire a coniugare all’interno delle etichette modernità e tradizione. Ho voluto creare delle illustrazioni che nascessero dalle etichette dell’azienda, che ne mantenessero la riconoscibilità, ma che al contempo la reinterpretassero attraverso il linguaggio dell’arte e veicolassero elementi simbolici del nostro territorio per far conoscere ancora di più la bellezza e la straordinarietà della Calabria».
Un menu ad hoc
Nell'incontro conviviale i sei vini sono stati abbinati al menu di Giulio Terrinoni: col benvenuto dello chef il Pescanera Calabria Rosso 2021, piacevole e con la mineralità finale dei vigneti vicino al mare. Al Carpaccio di baccalà, gel di cipolla rossa di Tropea, misticanza e paprika il Mare Chiaro Cirò bianco 2021 e il Pecorello Calabria bianco 2021. Con le Pappardelle alla lepre con pere e pecorino affumicato il Colli del Mancuso Cirò Riserva 2019 e Ripe del Falco Cirò Riserva 2014, intenso ed elegante. Col Petto d'anatra 'nduja e mandarino, infine, il 160 anni. Calabria rosso 2018.
«Questo è un progetto a cui teniamo molto, nato durante la pandemia, quando di fronte alle difficoltà del periodo abbiamo voluto rispondere con una visione positiva ed energica, attraverso una voglia di spensieratezza che si è concretizzata in una linea di sei vini in edizione limitata, i più iconici dell’azienda, che presentiamo al pubblico per la prima volta in un’elegante ed inedita cassa in legno», raccontano i titolari della cantina. «Vogliamo restituire - precisa Paolo - qualcosa al territorio nel quale la nostra azienda opera e lavora da più di 170 anni. Una forma di sostenibilità sociale mediante la restituzione di una parte dei profitti alla comunità nella quale viviamo». Il restauro creerà anche un'oasi verde intorno a questa fontana. «Volevamo dare un segnale forte - aggiunge Vincenzo - dimostrare che la sinergia tra pubblico e privato può e deve cambiare la mentalità del territorio e che questo cambiamento porterà a benefici non solo economici ma soprattutto sociali e culturali».
Con 177 anni di storia, la cantina rappresenta la più antica realtà vitivinicola calabrese con 100 ettari nelle colline di Cirò. Da sempre viene privilegiato il recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni quali il Gaglioppo, il Greco Bianco, il Calabrese, il Pecorello ed in ultimo il Greco Nero, sempre con la costante ricerca, l’impiego di tecniche innovative e il controllo di tutti i processi produttivi. Era il 1845 quando Vincenzo Ippolito decise di far vino nell'ambito di un'agricoltura promiscua e quando era destinato solo a consumo locale. L'affermazione del brand ha avuto varie tappe ma la svolta avvenne dopo la prima guerra mondiale quando Don Vincenzo Ippolito costruì una moderna cantina con le vasche sotterranee in pietra per la vinificazione e l'affinamento. Poi arrivarono le botti di castagno, parallelamente all'affermazione nel mercato. Seguì una ulteriore svolta, dallo sfuso all'imbottigliato del vino delle vigne più vocate come Feudo e Difesa piana. Datate anni '50 sono le prime due etichette firmate Ippolito, un Cirò Rosso ed una Riserva, imbottigliata dopo ben dieci anni di affinamento in botti grandi di castagno. La bottiglia utilizzata per questa tipologia era la "deformata piemontese", tipica dei grandi Barolo dell’epoca ed ancora oggi utilizzata in azienda.
La svolta negli anni '60
La vera modernizzazione è degli Anni '60 con i fratelli Antonio e Salvatore che pensano anche all'export. A Cirò nel 1969 viene redatto il primo disciplinare di produzione, individuando nel Gaglioppo e nel Greco Bianco i vitigni per ottenere il Cirò Rosso, Rosè e Bianco. L’azienda Ippolito è tra le maggiori artefici di questo passo epocale. La crescita è continua: nuovi della tenuta del Mancuso, nel cuore della Doc, vengono trasformati a vigneti impiantando solo varietà autoctone: Gaglioppo e Greco Bianco. Negli Anni '80 arrivano i primi importanti riconoscimenti nazionali ed esteri. Il mercato cresce e diventa sempre più esigente. Da qui la decisione di affiancare ai tre vini d’annata ed al Cirò Riserva di 10 anni, una nuova Riserva. Nasce il Colli del Mancuso Cirò: primo Cru di Calabria. Cresce anche il canale della grande distribuzione e in vigna si da il via ad un lavoro di selezione clonale del Gaglioppo, in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Università di Bari. E mai si ferma il percorso verso la massima qualità.
Nel Duemila arrivano i tre giovani della quinta generazione con nuovi progetti. Si costruisce una barricaia sotterranea di 2500 mq, nascono nuovi vini, vengono introdotte nuove tecnologie, viene costruita una barriccaia sotterranea di, reimpiantati nuovi vigneti. Oggi le etichette 14 e vengono esportate in 4 continenti.
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Alberto Lupini