Giacomo Fenocchio: il presente e il passato del Barolo e delle Langhe
L'azienda agricola di Monforte d'Alba (Cn), guidata da Claudio Fenocchio, produce Barolo di alta qualità nel rispetto della tradizione. Cinque generazioni, 18 ettari e 105mila bottiglie annue
Quando Claudio Fenocchio dal terrazzo dell'azienda agricola Giacomo Fenocchio di Monforte d'Alba (Cn) ci mostra Bussia Sottana - e il nostro sguardo si perde nell'impossibilità di scegliere quale Cru preferire alla vista (Bussia sotto casa, Cannubi Boschis e Castellero a Barolo, Villero a Castiglione Falletto) -, i suoi occhi tendono verso destra, laggiù dove ancora è eretto l'edificio che ospitò la famiglia Fenocchio a partire dai bisnonni.
In quel luogo visse suo padre Giacomo, «grande persona e vignaiolo visionario» dice Claudio, che a lui si ispira per produrre pregevoli vini nel segno della tradizione (prima bottiglia commercializzata nel 1947) e al quale sarà dedicata una prossima etichetta di Barolo. In vigna e in cantina Claudio è coadiuvato dalla figlia Eleonora che ha studiato enologia, da sua moglie Nicoletta e dall'altra figlia Letizia, esperta di comunicazione. Se è vero che il “110 cum Laude” con cui la Guida de L'Espresso ha recentemente gratificato il Barolo Docg Castellero 2020 è un fiore all'occhiello, è soprattutto vero che il volto di Claudio s'illumina raccontando la storia vinicola della propria famiglia lunga cinque generazioni, che in bottiglia si riassume nell'etichetta Barolo Bussia Riserva “90 dì” (fermentazione con immersione della calotta per novanta giorni) di cui abbiamo degustato l'annata 2018. Circa diciotto gli ettari di proprietà di cui dieci di fronte alla cantina: sei di Nebbiolo da Barolo nelle più belle esposizioni, là dove in passato si piantava il Dolcetto; gli altri quattro di Barbera d'Alba Doc Superiore, Freisa Langhe Doc e appunto Dolcetto d'Alba Doc. Altri cinque ettari a Monforte e tre a Monteu Roero per l'Arneis Roero Docg. Circa 105mila bottiglie prodotte in totale ogni anno da vitigni in purezza.
Giacomo Fenocchio: la nuova cantina
Nella nuovissima cantina inaugurata nel 2021 ci hanno dato il benvenuto due anfore in ceramica Pozzi di Gattinara da 10 ettolitri comprate dal nonno nel lontano 1943. Le botti sono di rovere di Slavonia piegate a vapore e senza tostatura, alcune di Pauscha di cui Claudio apprezza lo stile artigianale e il rapporto d'amicizia col patron Klaus. I legni nuovi nei primi due anni non vengono usati per fare Barolo; nei 3-5 passaggi iniziali ospitano Nebbiolo e Barbera.
Le fermentazioni alcoliche in acciaio del Nebbiolo da Barolo prevedono circa 40 giorni (90 per il Riserva) di macerazione con le bucce. Non possiamo farci mancare un assaggio del futuro Barolo 2024 direttamente dall'autoclave e del 2023 spillato dalla botte. Claudio ci fa notare come l'annata '24 abbia colori più carichi rispetto alla '23: «Quando fai le macerazioni non puoi gestire i colori, puoi solo accettarli: il Barolo 2023 avrà meno intensità di colore». Le fermentazioni alcoliche di Fenocchio partono spontaneamente senza aggiungere lieviti e ciò presuppone un accurato lavoro in vigna per evitare di abbattere la flora col rame: «Con l'uva buona non ho mai fatto fatica a fermentare - dice Claudio. Nel caso estremo (rarissimo) che in una vasca non dovesse partire la fermentazione, faccio l'innesco prelevando da quella in cui è partita».
Interessante la chiacchierata sull'utilizzo del grappolo intero, materia in cui l'esperienza di vinificazione gioca un ruolo fondamentale. Claudio iniziò facendo fermentazione con raspo per metà vigneto e senza per l'altra metà. L'equilibrio è stato trovato nella misura del 40% intero e 60% diraspato, ma le correzioni in corsa sono all'ordine del giorno a seconda delle vendemmie. L'utilizzo del grappolo intero al 100% non è abbandonato; il prossimo Barolo non diraspato sarà un Perno (altra Mga di Monforte) e non più un Bussia, ad esempio.
Giacomo Fenocchio: le degustazioni di Barbera, Freisa e Nebbiolo
La prima etichetta condivisa in degustazione è stata la Barbera d'Alba Superiore Doc 2022, sei mesi in acciaio e sei in botte grande prima dell'affinamento in bottiglia, sempre fondamentale. Un vino equilibrato dal sottofondo armonico e fruttato con note intonate di spezie: 15mila bottiglie prodotte da uva di Bussia per l'80%. A proposito di condivisione, ci piace sottolineare come con Claudio - e con gli altri produttori incontrati nel tour delle Langhe - le chiacchiere al tavolo della beva abbiano giocato un ruolo importante quasi (quasi!) quanto la qualità dei vini sorseggiati. Per chi si nutre di storie, le persone che le raccontano sono l'essenza delle proprie avventure. Stesse vinificazioni e filosofie per il Langhe Nebbiolo Doc e il Langhe Freisa Doc (100% uva di Bussia). La parola Freisa ha dato il "la" agli aneddoti di quando in Langa tutti facevano il vino Freisa (e il Grignolino), una grande uva simbolo dei produttori locali.
«Il papà di Silvano Bolmida produceva più di 200 quintali di Grignolino; ne possedeva interi vigneti quando da queste parti andava per la maggiore il Dolcetto - racconta Fenocchio -; parliamo di almeno 35 anni fa e c'era competizione tra Dolcetto e Grignolino, i due grandi vini “da tavola” locali». In Langa il Grignolino si è quasi perso; resiste molto bene quello di Cavallotto, ad esempio. 30-35 anni fa quasi tutte le cantine coltivavano Freisa. Ora solo 7-8 di quelle storiche la producono, solo Fenocchio a Bussia: «Mi guardano male - dice ridendo Claudio - quando lo racconto. Ho scoperto da poco una normativa sulle denominazioni che mi consente di scrivere “Bussia” sulle etichette di Freisa e Barbera». La quasi estinzione di Freisa e Grignolino è il prezzo pagato per il boom del Barolo, di cui abbiamo spesso scritto.
Il Barolo Giacomo Fenocchio
La degustazione di Barolo dei Cru/Mga Bussia, Cannubi, Villero e Castellero è stata un'orizzontale del 2020. Anche in questo caso - oltre al pregio dei vini e le differenze che i diversi nasi e palati possono cogliere - riportiamo con piacere il racconto di Claudio Fenocchio sul padre Giacomo, che negli anni '50-'60 del secolo scorso aveva la sfortuna (...) di possedere terreni “solo” a Bussia. In quell'epoca l'idea di un grande Barolo prevedeva l'assemblaggio di uve di diverse vigne e diversi suoli. Fu così che Mascarello (Bartolo), Rinaldi e gli altri suoi amici barolisti convinsero Fenocchio a comprare nel 1952 una vigna a Castellero e una ventina d'anni dopo a Cannubi.
Nel 1980 la grande intuizione di Giacomo di produrre i primi Cru da vigneti distinti e l'idea di svecchiare la propria etichetta, marchio che ancora oggi campeggia sulle bottiglie. Bussia e Cannubi furono i Cru, mentre nel Castellero - prima del 2011 - confluiva una parte di uva di Bussia nel rispetto dei canoni barolistici del passato. Nel 1989 Claudio prende in mano l'azienda di famiglia dopo la morte del padre. Da allora la parola d'ordine è “tradizione”, che viene rispettata sia sulle tempistiche di macerazione che sull'utilizzo esclusivo del legno grande, nonostante l'invasione italiana delle barriques negli anni '90. In quel tempo il nuovo mercato statunitense non apprezzò i vini di Fenocchio ma gli affezionati clienti di Svizzera e Germania garantirono il fatturato e gli consentirono di proseguire sulla propria strada senza compromessi.
Per chi ama i numeri, Claudio ritiene che il Nebbiolo - data la sensibilità del vitigno - si porti in bottiglia tra il 60 e il 70% delle caratteristiche del terreno che ospita le viti: dalla fine eleganza del Cannubi alla balsamicità del Bussia, passando per il tannino, la mineralità e il frutto di Castellero e Villero. Le esportazioni riguardano per il 30% gli Usa, il 25% l'Europa e nella stessa percentuale l'Asia. I clienti cinesi sono diventati molto preparati da qualche anno a questa parte; sono piccoli importatori che ordinano solo 600-1.000 bottiglie - non un container - ma sanno in anticipo a chi rivenderle tutte.
Giacomo Fenocchio e il fascino delle vecchie annate
Parlando dei vini del passato, le chiacchiere si sono fatte intriganti. Il ricordo di guerra dei tedeschi che saccheggiarono molto vino; gli aneddoti sui produttori che nel tempo ritappavano le bottiglie con sughero nuovo; infine l'invito rivolto a Claudio - neanche troppo velato - di dare un'occhiata in cantina per scovare una vecchia etichetta da condividere. L'invito è stato accolto così caldamente che le bottiglie emerse dal buio sono state ben tre, per onorare tre decenni di Barolo Giacomo Fenocchio: 1994, 2004, 2014. Che belle sensazioni e quanti insegnamenti ricavati dalla degustazione. La bottiglia del 2014 aveva sughero e sentori anomali e Claudio ha subito provveduto ad aprirne un'altra. Dopo un'ora anche il bouquet della prima bottiglia si è aperto, anche se la seconda col tappo in ordine è risultata migliore nel complesso.
La 2004 ha subito confermato l'ottima annata e la validità della maturazione in bottiglia: un assaggio da ricordare. Se vi state chiedendo se un buon Barolo può durare trent'anni (1994, vinificato in cemento nella vecchia cantina usando attrezzature ormai superate fronteggiando rischi di ossidazione, mentre oggi la tecnologia garantisce enormi vantaggi), la risposta è assolutamente sì. Chissà come saranno tra trent'anni i Baroli col tappo a vite. La risposta l'avremo anche grazie a Claudio Fenocchio che con l'annata 2019 ha iniziato a tappare a vite un centinaio di bottiglie da comparare nei prossimi anni con quelle chiuse col sughero. Servono i test pratici, le parole e le teorie non bastano.
In generale, l'interessante considerazione di Claudio ha riguardato i profondi cambiamenti climatici negli ultimi vent'anni. Mentre nel secolo scorso si alternavano annate “normali” ad annate piovose, ora queste ultime sono state sostituite da quelle molto calde. Un'altalena diversa che produce risultati simili: Baroli che evolvono nel tempo nelle annate “classiche” ed altri che sfioriscono prima a causa delle bizze del tempo. Secondo il nostro esperto vignaiolo, l'annata 2024 ricalcherà la 1994 ad esempio: «La freschezza che hai (o non hai) all'inizio della vinificazione è la stessa che ritrovi in bottiglia nel tempo».
Il Rosé dell'azienda agricola Giacomo Fenocchio
Fortunatamente abbiamo avuto il tempo di degustare anche una delle ultime bottiglie di Rosato di Nebbiolo in purezza, solo acciaio. Non cercatelo nei listini di Giacomo Fenocchio perché è stato prodotto solo nel 2021 e 2022 dai vigneti del Roero. Quando Claudio ci ha detto che ha smesso di vinificarlo causa invendibilità («I clienti preferiscono pagare 25 euro una bottiglia di bianco piuttosto che 15 per un rosato; ho faticato a venderlo anche se le bottiglie non erano tante») mi sono venute le lacrime agli occhi: per la bontà del vino e per la pessima notizia. La buona nuova, però, è che ci sono ancora un po' di bottiglie in vendita in cantina. Un motivo in più per fare un salto da Giacomo Fenocchio a Monforte d'Alba, magari dimorando in uno dei due bilocali della Fenocchio's House.
[cartiglio_pers]1[/cartiglio_pers]
© Riproduzione riservata
• Iscriviti alle newsletter settimanali via mail |
• Abbonati alla rivista cartacea Italia a Tavola |
• Iscriviti alla newsletter su WhatsApp |
• Ricevi le principali news su Telegram |
“Italia a Tavola è da sempre in prima linea per garantire un’informazione libera e aggiornamenti puntuali sul mondo dell’enogastronomia e del turismo, promuovendo la conoscenza di tutti i suoi protagonisti attraverso l’utilizzo dei diversi media disponibili”
Alberto Lupini