Georgia, Paese ricco di risorse Si produceva vino già nel 6mila a.C.

Nel profondo nord-est, di vini bianchi macerati e di vini prodotti utilizzando le anfore ne siamo provvisti. Personalmente sono anni che li degusto e ne scrivo. Abbiamo poi il maestro Josko Gravner che è stato il faro

01 marzo 2018 | 18:49
di Liliana Savioli
Oggi molti guardano a lui e lo seguono nell’idea di enologia “ancestrale”, del “non fare” lavorando tantissimo, di “coltivare il vino”, dell’utilizzo dei kvevri georgiani e di molto altro.

Sentir parlare della culla del vino, la Georgia, dalle mie parti è normale e in molti dicono “la devo andare a visitare, devo conoscere i suoi vini, devo capire la loro filosofia”. Con i vini georgiani poi, noi addetti ai lavori, abbiamo avuto modo di aver degli incontri ravvicinati come al Merano Wine Festival, Vini Veri e altre a cui io non ho avuto modo di partecipare. Ma da questo a capirli e entrarne nell’anima di strada da fare ce n’è molta. E allora continuavo a ripetere: «Devo andare in Georgia», finché un bel giorno la mia amica carissima, grande comunicatrice, sommelier, Donna del Vino e tanto altro ancora, Aurora Endrici non mi propose di andarci veramente. Ma non è proprio semplicissimo. La cosa fondamentale è che ci vuole qualcuno che sappia tradurre quella lingua musicale che è il georgiano.



Ecco allora il coinvolgimento dell’amica di Aurora, Maia Sikharulize, cuoca, musicista e profonda conoscitrice delle tradizioni georgiane. Non basta e la logistica? Arriva in soccorso Maia con i suoi amici dell’agenzia georgiana Reach Point Georgia di Tbilisi di Shalva Asatiani e con l’aiuto di Natalia Sorokina. Detto fatto, per modo di dire (ci son voluti mesi), Aurora chiama a raccolta le sue amiche trentine, alto atesine, friulane e giuliane. Alla proposta abbiamo risposto in parecchie donzelle e un solo donzello, ma è andata bene così.

Tante imprenditrici del mondo del vino, tante Donne del vino, sommelier, degustatrici sia di vino che di caffè che di birra, tra le quali Ornella Venica di Venica & Venica, Hilde Petrussa di Vigna Petrussa, Adriana Antonutti di Antonutti Vini, Fernanda Cappello dell’omonima azienda, Consolata Morasutti, Mario Chiaradia e Rita Zago del birrificio Zago, Marina Piccinato, Luisa Longo, Ilva Pertoldi, Antonietta Burino,Chiara De Nipoti di Oro Caffe Roberta Stelzer di Maso Martis, Elena Walch e Lucia Letrari delle omonime aziende e io.



Un gruppo motivato, coeso, enologicamente preparato e desideroso di immergersi in quel magico mondo e di rubare a piene mani i loro segreti. I georgiani sono un popolo gentile, per davvero. Per loro l’ospite è un dono di Dio, per davvero, e lo dimostrano in mille modi. Ti aprono le loro case, ti accolgono come un parente, ti donano tutto quello che hanno, ma arrivare alle loro case non è né semplice, né facile. Il grosso problema dell’enoturismo in Georgia è la viabilità. Essendo un Paese che solo dal 1991 è uscito dall’egemonia della Russia e che, dopo la proclamazione dell’indipendenza,ha subito l’embargo totale, rialzarsi non è semplice.

Molto è stato fatto, specialmente nella capitale, la splendida Tbilisi, ma ancora molte sono le strade dissestate, anche strade a scorrimento veloce a due corsie. Non parliamo poi delle strada di montagna dove, tra paesaggi incantati da togliere il fiato e borghi con mucche e maiali e pecore che passeggiano tranquillamente per l’abitato, solo i pick up hanno la meglio. Ci sono bambini che per raggiungere la scuola e adulti il lavoro, ogni giorno devono affrontare decine di chilometri di sentieri e strade decisamente, per noi, impraticabili.



Per quel popolo gentile è un problema relativo, vanno e vengono tranquillamente ma si stanno rendendo conto che se desiderano far conoscere le loro bellezze al mondo devono investire sui trasporti e viabilità. Di questo, a seguito del nostro viaggio, ne ha parlato, al ministero dell’Agricoltura Georgiana, Levani Khmelidze. Un giovane vignaiolo e apicoltore georgiano che, laureatosi in Russia in economia e con una brillante carriera spianata, ha lasciato tutto ed è ritornato nel suo piccolo paese nella regione montuosa del Racka, per aiutare i piccoli imprenditori creando delle cooperative e portando la loro voce al governo.

La viticoltura in Georgia è la più antica del mondo. Lo testimonia il fatto che nel 2017 è stato trovato un kvevri datato 6mila a.C. L'autore della scoperta archeologica è il professore dell'Università di Antropologia e Archeologia della Pennsylvania Patrick McGovern. Per quattro anni, i ricercatori di Georgia, Francia, Italia, Israele, Canada, Danimarca e Stati Uniti hanno studiato attentamente i reperti archeologici nei pressi della Marneuli (Kvemo regione Kartli), vicino a Tbilisi e Bolsini, e hanno certificato che l’acido tartarico all’interno del manufatto conferma c’era del vino. Pertanto dal punto di vista scientifico, la Georgia è il paese più antico in cui un uomo ha "coltivato e addomesticato" uva selvatica e prodotto del vino.



Ma cosa sono i kvevri? Partiamo da come si scrive. In georgiano kvevri in inglese qvevri. Io continuerò a scriverlo in georgiano. Sono dei manufatti in argilla, simili a anfore, con una capienza variabile dai 50 litri ai 2mila litri che, ricoperti da uno strato di cera d’api, vengono normalmente interrate nelle cantine (chiamate marani) e vengono utilizzati sia per la fermentazione che maturazione e stabilizzazione del vino. Dopo la vendemmia l’uva, in parte diraspata, viene introdotta nei kvevri. Durante la fermentazione il cappello viene rotto, manualmente con strumenti atavici, più volte al giorno. Per i vini rossi il contatto con le bucce di solito non eccede le 2 settimane, per 6 mesi invece per quelli bianchi. Non si usano lieviti selezionati. Dopo la svinatura, che avviene a mano con dei cesti, il vino viene travasato e lasciato a riposare sulle fecce per periodi variabili.

I kvevri non rilasciano alcun sentore ma permettono una micro ossigenazione utile a rendere unico il vino prodotto. L’essere interrati permette di mantenere stabile la temperatura tra i 12 e 15 gradi. Nessun rumore nelle cantine, nessuna luce. I vasi dopo la svinatura vengono chiusi ermeticamente e l’apertura di un kvevri è una festa. Di solito avviene in marzo ma ben due aziende ne hanno aperto, anticipatamente, uno solo per noi con canti e balli e pranzi. Vere feste. Due sono le zone della Georgia in cui vengono prodotti. Nel Kaketi e nell’Imereti. Si favoleggia che ci siano solo 5 famiglie che producono questi contenitori, solo e unicamente a mano, e che il tempo impiegato per crearlo sia superiore a 6 mesi. Il valore è decisamente importante, dai 3 ai 5 lari per litro (oggi 1 lari vale 0,33 euro) pertanto per un kvevri da mille litri il prezzo varia dai 3mila ai 5mila lari cioè da mille a 1.700 euro.

Un costo molto alto se pensiamo che un uomo di campagna guadagna 1 euro all’ora, pari a neanche 200 euro al mese. Un investimento però che dura in eterno, se ben gestito, come dimostrano le scoperte archeologiche sopra citate. Ma in Georgia la vita costa veramente poco. Un buon pasto in un buon ristorante non supera i 20 lari (7 euro) e una camera in un albergo a 3 stelle più che decorso in Tbilisi non supera i 90 lari (30 euro) e che con 10 lari (circa 3 euro) ho acquistato 1 kg di fichi secchi e 1 di cachi essiccati al mercato.

Ma il vino così prodotto è solo una nicchia, meno del 10%. E tutto il resto? Questo è solo l’inizio di quello che desidero raccontarvi. A breve vi darò notizie sulla viticoltura in Georgia, sulle fabbriche del vino, sui monasteri, sui cibi, sulle spezie, sui sommelier, sulla legislazione, sulle cantine che abbiamo visitato, sulla grappa e sulle emozioni che questo Paese meraviglioso ha regalato a me e alle mie fotoniche compagne di viaggio.

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