Fivi, l'identikit: i vignaioli indipendenti sono custodi del territorio

Lo studio di Nomisma evidenzia come il modello Fivi, basato su viticoltura sostenibile e qualità, offre un contributo essenziale all'enoturismo e alla tutela del territorio. Ora le sfide di costi e sostenibilità

13 novembre 2024 | 18:23
di Mariella Morosi

“Il modello socio-economico dei Vignaioli Indipendenti per la sostenibilità della filiera vitivinicola italiana”, è il titolo dell'indagine Nomisma Wine Monitor, realizzata per conto della Fivi, la Federazione italiana vignaioli indipendenti. Di fatto il report è un identikit del vignaiolo che nella complessa realtà  del vino italiano vanta la sua specificità con i principi  fondanti della qualità, dell'artigianalità e delle trasparenza.  A illustrarlo a Roma a Palazzo Ripetta è stato Denis Pantini della Nomisma, alla presenza di una larga  rappresentanza degli associati, del presidente Fivi Lorenzo Cesconi e di Matilde Poggi, presidente della Confederazione europea vignaioli indipendenti (Cevi). «Abbiamo voluto dare un volto - ha detto Pantini-  al vignaiolo Fivi e al suo realativo posizionamento competitivo». 

La Fivi in numeri

La Fivi, nata nel 2018,  conta 1.700 soci e tutela il mestiere del vignaiolo, rappresentandolo di fronte alle istituzioni e promuovendone la specificità. Poco più di 10 ettari di vigneto è la superficie media coltivata  con una produzione di cica 38 mila bottiglie vendute ogni anno, in una filiera totalmente integrata, dalla vigna alla cantina, fino alla commercializzazione dei propri vini.  Tra le principali esternalità positive collegate al modello socioeconomico Fivi - è emerso dall'indagine - il fatto che l’81% dei vigneti coltivati da questi produttori si trova in collina e in montagna, rispetto al 60% della media italiana,  in quelle aree interne sempre più soggette a spopolamento e a rischio idrogeologico. Si tratta di zone dove l’uva da vino rappresenta una delle poche produzioni agricole ancora in grado di dare reddito. Inoltre va rilevato che, a livello sociale,  il 30% dei lavoratori è impiegato a tempo indeterminato (contro il 10% della media italiana in agricoltura), il 28% è di origine straniera (rispetto al 19% della media italiana) e il 33% è donna, sempre a fronte del 26% della media del settore nazionale. 

È emerso dalla ricerca anche un modello economico Fivi perché il prezzo medio a bottiglia del vino venduto direttamene dai produttori è più che doppio rispetto alla media italiana (7,7 euro contro 3,6).  Per quanto l'Horeca sia il maggiore canale, il 71% esporta mentre un altro 23% ha intenzione di farlo, sia negli States, il principale mercato, che in quelli emergenti asiatici. 297.000 è il fatturato medio annuo: un notevole contributo nella valorizzazione del nostro vino. 

Fivi, l’impegno per la sostenibilità

Forte l'impegno alla sostenibità ambientale: un'impresa su due, produce vini in modo biologico e un 20% ha certificazione sostenibile. Negli ultimi due anni il 71% delle aziende intervistate ha realizzato azioni come l’utilizzo di packaging sostenibile, il contenimento dei consumi di acqua e delle emissioni,  nonostante i costi e le difficoltà burocratiche,  mentre un altro 24% lo farà nei prossimi due. Soprattutto,  i vignaioli sentono questa responsabilità come un dovere.  

Fivi, tra criticità e opportunità

Ma dal rapporto on potevano non emergere anche criticità: prima tra tutti i costi di produzione che rendono difficile mantenere la redditività. Un supporto importante potrebbe derivare dai fondi Ocm ma a causa delle restrizioni e dei vincoli burocratici che disincentivano l’accesso da parte delle piccole aziende, solo il 14% dei soci Fivi ha potuto beneficiarne negli ultimi due anni. Una leva di sviluppo e integrazione economica dei produttori Fivi è quella dell’enoturismo: oltre l’80% delle aziende associate punta a questo segmento turistico, con la fornitura di servizi e le visite guidate, con degustazioni. Un beneficio importante che si riversa anche a beneficio delle aree rurali. Il 46% dei turisti  sono di origine straniera e se questa offerta fosse valorizzata - secondo quanto emerso dalla ricerca- potrebbe contribuire alla riduzione di quell’overtourism che negli ultimi anni sta portando effetti negativi negli equilibri sociali delle nostre grandi città.  Un altro problema che si aggiunge alla gestione dei costi e all'organizzazione aziendale, messa a dura prova dai cambiamenti climatici e dalla di difficoltà di reperire manodopera, è rappresentato da sfide complesse come  l’evoluzione dei consumi e l’inasprimento della concorrenza, in particolare di quei vini più economici (spesso anche di minor livello qualitativo) che in momenti di congiuntura negativa, come quella attuale, rischiano di penalizzare i prodotti di qualità.

Fivi, una ricerca indispensabile

 «Era da tempo che sentivamo il bisogno di un identikit della nostra base associativa e di come all'esterno venisse percepita - ha detto il presidente Fivi Lorenzo Cesconi - e grazie all'analisi di Nomisma, abbiamo colto delle importanti conferme, delle interessanti novità e dei preoccupanti segnali di allarme. La conferma riguarda il ruolo dei nostri vignaioli nella filiera vitivinicola italiana: aziende di medio-piccole dimensioni, spesso a conduzione familiare, radicate sul territorio e capaci di creare valore ed esternalità positive lì dove operano; impegnate non solo nella produzione di vino di qualità, ma nella tutela del territorio e nella conservazione del paesaggio rurale italiano. La novità è legata alla percentuale di lavoratori a tempo indeterminato presente nelle aziende associate: in un settore caratterizzato dalla stagionalità, è interessante sapere che il 30% dei lavoratori ha contratti stabili, con legami professionali profondi, che valorizzano le competenze e si basano su fiducia e rispetto. Tuttavia non mancano le preoccupazioni, perché la ricerca coglie elementi critici e tensioni».

Quindi ha aggiunto: «Non possiamo chiudere gli occhi di fronte all’alta percentuale di vignaioli che ha posto come prima sfida per il futuro quella della redditività, a fronte di un continuo aumento dei costi. È un campanello di allarme: significa che la resilienza delle aziende vitivinicole verticali non si può dare per scontata e non è infinita, ma ha bisogno di condizioni interne ed esterne che non sempre si riscontrano. Modelli di finanziamento della produzione, transizione ecologica, passaggi generazionali, sono sfide enormi che anche come Federazione abbiamo il dovere di studiare a fondo. Alla politica, in Europa e in Italia, chiediamo semplificazione, snellimento burocratico, innovazione normativa a favore della micro, piccola e media impresa, e soprattutto una strategia chiara nella politica vitivinicola, che deve sempre di più essere orientata alla sostenibilità di produzione, alla qualità e non alla quantità, alla creazione di valore. Speriamo che ora, anche di fronte a questi numeri, aumenti l’attenzione nei confronti di questo fondamentale segmento della filiera vitivinicola italiana». 

«In questa ricerca - ha detto Matilde Poggi - colgo tanti spunti utili a formulare istanze da portare alle istituzioni europee, in primis la necessità di rendere accessibili a tutti i vignaioli, anche i più piccoli, ogni misura di sostegno, come ad esempio gli aiuti alla promozione Paesi Terzi. Questo studio ci conferma che non possano accederci pur avendo propensione all’export. Abbiamo colto dal Commissario designato Hansen la necessità per il settore di un impegno verso la sostenibilità: i vignaioli indipendenti sono in linea con le richieste ma occorre una semplificazione anche nel sistema delle certificazioni, spesso troppo onerose per aziende di queste dimensioni». 

Fivi, un modello positivo

La Fivi quindi viene confermata come un modello positivo nell'Italia del vino che conta nel suo complesso 240 mila aziende coltivatrici, 30 mila vinificatrici, più di 500 vini a denominazione Dop e Igp. Senza tralasciare la biodiversità dei vitigni: i 10 più coltivati pesano per meno del 40% sulla superficie nazionale a vite, contro il 70% della Francia e l’80% dell’Australia. Con un fatturato complessivamente pari a 16 miliardi di euro, il comparto rappresenta un indiscutibile punto di forza per il Sistema Paese.

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Alberto Lupini


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