Il doppio volto del Sauvignon Blanc: tra mercato e autenticità territoriale

Il Sauvignon Blanc mostra un “doppio volto” che riflette terroir e preferenze di mercato: le note vegetali rispondono alla domanda commerciale, i sentori fruttati e agrumati esaltano l'autenticità del terroir altoatesino, come emerso al 6º Concorso Nazionale del Sauvignon, dove i giudici hanno premiato la capacità dei vini dell'Alto Adige di equilibrare carattere ed eleganza

09 novembre 2024 | 05:00
di Giambattista Marchetto

C'è uno spirito bifronte che si aggira per l'Europa. È il Sauvignon, una delle varietà che cresce sui mercati internazionali, che però nel calice può avere un doppio volto: quello fortemente pirazinico, con sentori vegetali spinti fino a ricordare (come dice la vulgata) la pipì di gatto, e quello più spinto verso l'agrumato e talvolta il tropicale, più moderato nell'esplosività soprattutto al naso. È su questa dicotomia che si è concentrata la riflessione della tavola rotonda intitolata “Le espressioni del Sauvignon Blanc: confronto e dialogo tra terroir e stilistiche”, svoltasi presso il Centro di Sperimentazione Laimburg in Alto Adige e promossa dall'Associazione Sauvignon Alto Adige. E va detto che le voci del vitigno in terra sudtirolese hanno lanciato messaggi che mostrano una divaricazione tra mercato e palati esperti.Una sorpresa? Probabilmente no e sicuramente non si tratta di un binomio oppositivo che riguarda solo il vitigno bianco di origine francese. Si tratta di capire, allora, se i produttori debbano inseguire il mercato o cercare una propria linea identitaria, ma quasi sicuramente la risposta è semplice: ognuno segue la linea in cui crede.

Il Concorso Nazionale del Sauvignon

Nel frattempo, al Centro di Sperimentazione Laimburg, sono stati proclamati e premiati i vincitori del 6° Concorso Nazionale del Sauvignon. Sul podio si sono piazzati in vetta il Sauvignon Lafòa Alto Adige Doc della Cantina Colterenzio, seguito dal Sauvignon Aristos Alto Adige Doc della Cantina Valle Isarco, mentre il terzo posto a pari merito è stato conquistato dal Sauvignon Ombrasenzombra Colli Piacentini Doc di La Tosa e dal De Silva Sauvignon Blanc Alto Adige Doc della Cantina Peter Sölva. La competizione rappresenta una piattaforma di assoluto rilievo per uno dei vitigni bianchi più apprezzati in Alto Adige e a livello internazionale. «I risultati del Concorso e le riflessioni emerse durante la tavola rotonda confermano il ruolo centrale che il Sauvignon Blanc ricopre nel panorama enologico italiano. Al contempo, mettono in luce la straordinaria capacità di questo vitigno di riflettere le diverse stilistiche produttive e le peculiari espressioni dei terroir di origine», dice con la consueta moderazione Andreas Kofler, presidente dell'Associazione (e del Consorzio vini Alto Adige).

È la stilistica il perno della discussione in corso. E va detto che gli eccellenti Sauvignon che si sono piazzati nella top 10 del Concorso riescono, quasi sempre, a contemperare profumi intensi ma non debordanti e slancio elegante. «L'immagine complessiva che emerge da questa edizione - sottolinea Peter Dipoli, vicepresidente dell'Associazione Sauvignon Alto Adige - riflette l'abilità del Concorso di costituire una vetrina significativa e di alto profilo anche per le realtà vitivinicole meno conosciute, capaci in questa cornice di distinguersi e ottenere riconoscimenti di prestigio. Questo dato conferma non solo l'eccellenza dei vini presentati, ma testimonia anche la competenza della giuria coinvolta e l'importanza di iniziative che sappiano premiare i vini esclusivamente sulla base della qualità, liberi da pregiudizi spesso prestabiliti». Ecco il punto che, pur diplomaticamente, Dipoli va a toccare con garbo. I Sauvignon Blanc assaggiati e scelti da giudici qualificati è spesso molto “equilibrato”, meno spinto sulle pirazine e sull'aromaticità rispetto a quelli scelti dal grande pubblico. I numeri parlano chiaro: in uno scenario enoico certo non facile, nei primi nove mesi del 2023 l'export di vini neozelandesi (dove i Sauvignon sono conosciuti per essere riconoscibili a distanza per i sentori pirazinici) era uno dei pochi dati positivi con un +14% trainato dal vitigno e anche guardando i dati del 2024 la produzione continua a crescere (report New Zealand Winegrowers).

Sauvignon Blanc, pirazine o non pirazine? Questo è il dilemma

L'incontro al Centro di Sperimentazione Laimburg ha offerto un confronto approfondito sul Sauvignon Blanc (oltre 500 ettari in Alto Adige), evidenziando come terroir e gestione agronomica siano fondamentali per valorizzare l'autenticità di questo vitigno, oltre a fornire interessanti elementi in relazione alle sfide poste dai cambiamenti climatici e alle evoluzioni stilistiche che lo caratterizzano. La discussione ha messo in luce una volontà condivisa tra esperti ed enologi: fare del Sauvignon un'espressione autentica del territorio, puntando su sentori più maturi, come quelli tiolici e di frutta gialla, con un profilo complesso, piuttosto che privilegiare le note piraziniche, spesso richieste dal mercato ma prive di un'identità territoriale. Secondo Hans Terzer, pioniere dell'eccellenza vinicola dell'Alto Adige e per una vita Kellermeister di San Michele Appiano, «tra i Sauvignon più ammoniacali di una tempo e quelli più eleganti e freschi di oggi quel che è cambiato è soprattutto il lavoro in vigna». E se ci sono aree (come la Stiria) che stanno decisamente virando verso Sauvignon più tiolici e meno pirazinici - meno pipì di gatto e sentori verdi, più snellezza e longevità, per i non addetti ai lavori - in Alto Adige secondo l'enologo si può valorizzare la varietà lavorando con il legno, per dare maggiore profondità ai vini.

Più drastico Peter Dipoli, secondo il quale «oggi il clima favorisce la maturazione senza marcescenza delle nostre vigne in quote e ci permette di lavorare sull'eleganza del vitigno». Secondo Dipoli il futuro del Sauvignon risiede nella sua capacità di riflettere il terroir d'origine e nella scelta di coltivarlo esclusivamente in aree vocate, dove il vitigno può trovare la sua espressione più autentica, invece di adattarsi a produzioni standardizzate. «Purtroppo sul mercato arrivano ancora Sauvignon fortemente pirazinici, fino al limite del difetto - spiega - e questo perché sono facilmente riconoscibili. Un collega che aveva lavorato molto bene sulla pulizia e sull'eleganza dei vini mi ha raccontato di esser poi tornato indietro, perché senza i sentori più “normali” il Sauvignon non vendeva. Eppure io rimango convinto che il terroir sia più importante: se forziamo i vini verso quei sentori, magari favoriti dalle giurie dei concorsi, rischiamo di perdere la sfida con aree che lo fanno più di noi e ad un prezzo inferiore. Invece serve una identità nuova, che metta in evidenza la differenza».

Sauvignon Blanc, la sfida del mercato

Le obiezioni alla visione marcata da Dipoli non mancano, perché in fondo le cantine sono aziende e il loro compito è vendere - anche se il vignaiolo si ostina a dichiarare che «la scelta dei vitigni dovrebbe esser dettata dal terreno e non dai commerciali». Eppure forse si tratta di trovare un punto mediano: ci saranno produttori che sentono di dover inseguire il mercato con le pirazine (che ormai tutti conosciamo per nome e cognome) e altri produttori che scelgono di coltivare un rapporto con bevitori più consapevoli. Finché (e se) il mercato tiene, c'è spazio per entrambi e ci sono target diversi. E nonostante gli operatori non vedano nel Sauvignon il vitigno del futuro in Alto Adige (rappresenta meno del 10% delle varietà coltivate), «i vini funzionano per il nostro territorio. Sono esportati molto bene e la varietà viene piantato ancora, nonostante qualche difficoltà con le patologie. E sta evolvendo allontanandosi da peperone e pirazine, spostandosi verso l'espressione agrumata alla francese. Poi va detto che le grandi aziende hanno due linee: un'entrata più semplice e verdicciola, nella quale metti il naso e dici “Sauvignon”, e poi hai il cru dove l'enologo può lavorare di raffinatezza e trovando un mercato mondiale che li apprezza».

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Alberto Lupini


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