Il bio seduce il Merano WineFestival

Helmut Köcher, deus ex machina del Merano WineFestival, ha festeggiato la 27ª edizione della sua creatura con l’8,5% in più di presenze rispetto al 2017 per un numero di visitatori che ha superato le 11mila persone

26 novembre 2018 | 15:20
di Giuseppe De Biasi
A parziale (e incompleta) analogia con le sue classificazioni di merito, cerchiamo di fare una sorta di carrellata dei vini (e non solo) degustati nelle prime giornate, nella sezione del festival dedicata alle realtà biologiche, biodinamiche e naturali oltre ai cosiddetti Piwi (varietà di vite resistenti alle crittogame), con qualche segnalazione anche per la parte gastronomica, e dell’innovativa sezione dedicata ai distillati e alla mixology d’autore.

Con una selezione ovviamente soggettiva, ci concentreremo solo su qualche calice intrigante, minore o di nicchia (anche come vitigno), lasciando da parte i blasonati Barolo, Brunello, Amarone che hanno tanti altri spazi per farsi notare.



Partiamo dai bianchi fermi, dove abbiamo apprezzato una new entry di casa, l’altoatesino “16 Souvigner Gris Mittenberg 2017”, di Thomas Niedermayr, pioniere dei vitigni Piwi, con studi alla corte di potatura di Simonit & Sirch. Solo duemila bottiglie per questa nuova etichetta di Souvigner Gris in purezza che profuma di pompelmo e fiori gialli e che, come quasi tutti i vini di Thomas, utilizza fermentazione spontanea, contatto con fecce fini, lieviti indigeni e solforosa ai minimi.



Dal Nord al Sud, scendiamo in Puglia per il “Clara 2016 Fiano Igp” di Giancarlo Ceci, vitale realtà biologica dell’agro andriese che propone questa seconda vendemmia di un Fiano in versione Tavoliere, intenso e di bella struttura, con lunga macerazione e curato affinamento che gli donano un color dorato brillante e una beva intrigante.



Passando alle bollicine, anche qui due segnalazioni, molto diverse fra loro: il Franciacorta Pas Dosé 2013 de La Santissima - Castello di Gussago, 36 mesi sui lieviti, 90% Chardonnay e 10% Pinot Noir, dal perlage fitto e persistente, con note floreali e minerali che in bocca esprimono un fruttato-sapido che lo rendono perfetto da abbinare a crostacei e crudi di mare.



La seconda è originale come il proprietario. Dietro il marchio OT si celano le iniziali di Oliviero Toscani e della sua tenuta maremmana di Casale Marittimo. Il Lolì 2017 - che al Festival aveva nel figlio Rocco il testimonial diretto della nuova avventura enologica -agricola di famiglia - è un rosé dal bel color salmone, metodo ancestrale da sole uve syrah, rifermentato in bottiglia senza sboccatura. Una sorta di Lambrusco alla toscana, perfetto per pane “sciocco” e salame di cinghiale.


Rocco Toscani

Quanto ai rossi, sulle colline di Vinci la Fattoria Dianella di Francesco e Veronica Passerin d’Entrèves, in attesa di presentare una nuova referenza in occasione delle celebrazioni del cinquecentenario della morte di Leonardo, al salone hanno portato il nuovo millesimo del “Il Matto delle Giuncaie”, cavallo di razza ottenuto da selezionati grappoli di Sangiovese, con sorso pieno caratterizzato da tannini setosi e vigorosa spalla acida che gli permetterà di guardare agli anni che passano con serafico distacco.


Veronica Passerin d'Entreves

Restando in Toscana, ma sempre fuori dai confini delle zone più battute ci piace segnalare l’“Aetos” Orcia Doc Sangiovese Bio 2016” della Tenuta Sanoner, dove da qualche anno si sta facendo notare una firma dell’hôtellerie di charme dell’Alto Adige come i Sanoner, proprietari dell’Adler Dolomiti di Lana e dell’Adler Thermae Resort di Bagno Vignoni, situato a pochi chilometri dalle vigne.



Con la loro recente avventura enologica hanno dato vita ad una bella espressione territoriale dei suoli argillosi della Val d’Orcia con un rosso che al naso presenta viola appassita, ciliegia e spezie dolci e al palato una bilanciata rotondità con finale sapido e piacevolmente fruttato.

Nei vini dolci o da dessert (anche se la definizione appare limitativa delle varietà e/o degli abbinamenti che rientrano in tale categoria), la palma del più originale va sicuramente al Canto - Cannellino di Frascati di Merumalia, giovane realtà laziale con idee chiare su ecosostenibilità e rivisitazione dell’antica tradizione vinicola dell’area. Il professor Fusco con grande passione e dedizione ha ristrutturato la proprietà di famiglia (abbinandole un curato agriturismo, dove godersi al meglio i panorami offerti dai Castelli romani) e ha vinificato l’autoctona Malvasia Puntinata sia in versione secca (Punto) che in versione passita (con piccola percentuale di Bombino Bianco) che al palato si presenta morbido ma per nulla stucchevole e con una nota acidula che la rende perfetta anche per uno pecorino romano stagionato.



Proseguendo il filone dei vitigni autoctoni cosidetti “minori” (ma solo nella conoscenza diffusa), accendiamo una spia sulla “vespaiola” che in versione passita dà luogo al Torcolato di Breganze, un nobilissimo vino dell’area bassanese di cui abbiamo degustato uno dei protagonisti come Villa Angarano, stupenda villa palladiana, attualmente di proprietà della casata comitale Bianchi Michiel.



Con una squadra tutta la femminile (le cinque sorelle Bianchi Michiel) negli 8 ettari la tenuta produce sei etichette fra cui il Torcolato San Biagio Riserva 2014 che con i suoi sentori di albicocca, agrumi, miele di eucalipto e frutta secca in bocca si presenta con una morbidezza sostenuta da bella freschezza e da un finale ammandorlato e persistente.

A volo d’uccello sulle degustazioni fuori confine, sempre seguendo le particolarità (di stile, nazione o vitigno) segnaliamo la Mosella, targata Martin Foradori, di Weingut Fischer con un superbo “Riesling Saarburger Trocken 2016” di grande equilibrio fra acidità e morbidezza insieme a quella di una firma come Prüm e del suo opulento “Devon Riesling Kabinet Trocken 2009”, capace di rimanere almeno un paio di decenni in bottiglia senza fare una piega; e l’Austria di Lenz Moser Wienkekkerei, che con il suo “Carpe Diem Mariage 2015”, Grüner Veltliner che esprime al meglio la pungente aromaticità del vitigno da cui deriva.

E, ancora, la Romania con Crama Basilescu e la loro Feteasca, forse il vitigno più noto del paese nelle due versioni a bacca bianca e bacca rossa, Alba (millesimo 2017) e Negra (millesimo 2013), due espressioni dignitose di una viticoltura che dopo decenni bui va ritrovando le sue antiche radici di terra vocata per approdare alla Georgia, l’area da cui ha forse origine la vitis vinifera, l’unica al mondo con più vitigni autoctoni dell’Italia (circa 600 contro gli italici 400) di Lipartiani Wine House con il Lipartiani Qvevri 2015, affinato in anfora, (60% Krakhuan e 40% Mtsvane, entrambi autoctoni), un bianco complesso, dagli aromi terziari e dal retrogusto macerato, che colpisce per persistenza.

Chiudiamo con le segnalazioni “off-wine” con tre citazioni di delikatessen da gustare oltre il vino (o accompagnandolo). La prima è La Golosa Officina di Fano, della signora Susanna Chiappa, dove officina dà proprio il senso non solo artigianale, ma di fucina di sapori applicati ad una biscotteria creativa fra dolce, salato e insoliti accostamenti che spaziano dalla palettina alla lavanda e limone alla mini sbrisolona al pecorino di fossa, nocciole e curcuma. Perfetti, anche nelle confezioni, per un originale regalo di Natale.



La seconda parla di pistacchi, naturalmente di Bronte con ‘A Ricchigia, una storia di famiglia che fa perno su Laura Lupo che, con caparbietà etnea e femminile, insieme al marito sta facendo conoscere i propri prodotti sui mercati internazionali, puntando sull’artigianalità dei processi di lavorazione e materie prime di altissima qualità, come pistacchi e mandorle locali. Da provare la crema di pistacchi, con l’unica avvertenza che può dare dipendenza patologica.

Laura Lupo

E per digerire perché non affidarsi ad un liquore artigianale come quello prodotto da quattro generazioni dalla famiglia Leardini, che fra l’originaria San Leo (Pu) e il piccolo borgo in provincia di Roma, Affile (famoso per il suo vigoroso vitigno autoctono il Cesanese d’Affile), produce piccoli capolavori di liquoristica.

A Merano il giovane Mauro, accompagnato dall’emozionato genitore, è stato premiato con il sigillo Platinum per Ariminum, dal nome antico di Rimini, omaggio al luogo di origine del fondatore Domenico Leardini. Una delle prime elaborazioni di Domenico, in produzione fin dal 1958, l’Ariminum è un digestivo dallo stile che riecheggia l’italica tradizione monastica. Ovviamente la ricetta è segreta, ma fra le erbe mediterranee che compongono il mix si colgono tiglio, maggiorana e timo.



Infine, una menzione speciale per l’hotel che ha ospitato la cerimonia di attribuzione delle eccellenze gastronomiche premiate con il Platinum, il Vigilius Mountain Resort, rifugio di pace a 1.500 metri sopra la montagne di Lana, raggiungibile solo in funivia. Un progetto visionario che ha festeggiato da poco i 15 anni di attività, voluto dall’imprenditore altoatesino Ulrich Laduner, titolare di un importante marchio internazionale nel settore nutrizionale come la Dr. Schär.



Una chicca ecosostenibile, di legno, vetro e materiali naturali, disegnata da un archistar autoctono come Matteo Thun. Luogo dove fermarsi, fra una passeggiata e una sciata, anche solo a mangiare un boccone nell’accogliente stube tirolese oppure al raffinato “Ristorante 1.500”, dalle cui vetrate panoramiche e gli arredi lignei sembra di essere immersi nella foresta circostante.

Un’autentica oasi (con tanto di spa, con piscina con acqua di sorgente e vista valle) dove staccare la spina e godersi il silenzio della montagna e la vista su Merano e sul suo festival, ormai famoso in tutto il mondo.

Per informazioni: www.meranowinefestival.com

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Alberto Lupini


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