È un fenomeno che si diffonde e che recentemente viene vissuto come “antagonista” da una parte del mondo del vino. Il pairing tra proposta gastronomica e mixology è ormai un dato di fatto consolidato non solo come nicchia per appassionati, ma in generale per allargare l’esperienza del cliente che ricerca abbinamenti intriganti.
Accade così che ristoranti stellati e pizzerie, bistrot e pure enoteche (nonostante il nome) non si facciano trovare impreparati di fronte alla richiesta di abbinare un piatto a un cocktail, un formaggio a una grappa, un gin & tonic a una pizza. E anzi, sono i menu stessi a contemplare l’ipotesi e pure a caldeggiarla.
Una presa d’atto viene dalla stessa guida agli spirits italiani Spirito Autoctono, che per il secondo anno ha premiato le migliori espressioni del “food pairing” in ben quattro categorie: Amo a Venezia per la cucina d’autore, Checchino Roma per la tradizione, La Bolla a Caserta come pizzeria e il Luminist di Napoli come bistrot.
Analogamente Alto Cocktail Festival a Cervia (Ra), dopo due edizioni centrate sulla miscelazione pura, per l’edizione 2024 ha esteso l’attenzione sulla mixology da ristorazione e sulla “Gastro Mixology”. «Dopo il successo delle prime due edizioni - spiega il bar manager di Alto Rooftop e ideatore del festival Niccolò Amadori - abbiamo voluto coinvolgere chef capaci in termini di filosofia di cucina ai più importanti esponenti del mondo della mixology. Il nostro obiettivo è di mettere in risalto la miscelazione contemporanea di qualità e farla dialogare con le più stimolanti proposte nelle cinque serate di pairing dinner».
Mixology e food pairing: dalla pizza al fine dining
Accade così che lo stimolo a sperimentare si allarghi a macchia d’olio. A Milano soprattutto, dove ad esempio il bar è il cuore pulsante della proposta drink alla pizzeria Dry Milano, con accostamenti che valorizzano la ricerca in materia di lievitati. Oppure al Gino12 sui Navigli, che abbina carni o piatti vegetali con drink ricercati, spesso utilizzando spirits italiani. Al Rita’s Tiki Room, poco lontano, i cocktail basati su una bottigliera da 350 etichette di rum sono affiancati ai piatti di tradizione sudamericana.
Al Local di Venezia (una stella Michelin) da poco il sommelier Manuel Trevisan ha scelto di offrire ai suoi ospiti l’intera selezione di distillati Capovilla, non limitandosi però al dopopasto bensì introducendo un menu degustazione in pairing con distillati e mixology. Per esaltare le creazioni dello chef Salvatore Sodano, l’abbinamento proposto affianca ai piatti 0,15 cc di distillato. Dal Martini al distillato di sake 2021 abbinato a cichetti veneziani fino ai distillati di ribes nero o di lamponi selvatici che giocano tra antipasti mare-monti e risotto al radicchio. Il gioco funziona, anche per i clienti.
«Il pairing è figo perché si possono sperimentare un sacco di cose nuove», osserva Gigi Barberis, che accanto ai cocktail bar Caffè degli Artisti e Caffè Post ad Alessandria, Caffè dei Mercanti ad Acqui Terme e Caffè Milano a Tortona, sperimenta maggiormente sugli accostamenti al ristorante Itaca di Alessandria. «Il drink ha comunque molte componenti che possono farti spaziare su tutte le sfumature del piatto - prosegue - e l’abbinamento è tanto delicato e complicato quanto affascinante. La cosa più intrigante è poter giocare ad armi pari con la cucina».
Mixology e food pairing: essenziali studio e ricerca
Per Francesco Pasquali, head sommelier all’Antica Osteria Cera di Campagna Lupia nel Veneziano, «l’abbinamento cocktail-cibo è decisamente una pratica interessante. Se nella brigata si ha un barman preparato si possono creare delle esperienze che potremmo quasi definire mistiche. Mentre il vino viene prodotto da un solo frutto, anche se di tante varietà diverse, i cocktail sono preparati con distillati e liquori che offrono aromaticità variegate».
L’abbinamento del cibo con gli spirits si fa materia un po' più complicata. «La gradazione alcolica sale notevolmente - spiega - e pensare di pasteggiare solo con bevande molto alcoliche diventa abbastanza pesante, anche se i prodotti non vanno utilizzati in purezza, ma leggermente diluiti con un’acqua a residuo fisso basso. Si può pensare però di costruire un qualcosa di interessante. La forza dei cocktail è che essendo un mondo molto vasto e potendo miscelare i distillati con altre bevande alcoliche, succhi, estrazioni e quant’altro possiamo andare a creare un amalgama di profumi, sapori, sensazioni al palato e si può andare a creare un abbinamento quasi perfetto ai piatti».
«Penso che in questo momento la realtà che ha creato un’esperienza a 360 gradi e di altissimo livello sia l’Eleven Madison Park di New York - chiosa - dove al menu degustazione dello chef Daniel Humm si vanno ad abbinare cocktail alcolici e non studiati nei minimi dettagli, andando a equilibrare o esaltare alcuni elementi dei piatti. Per attuare questo percorso bisogna sicuramente investire moltissimo nella ricerca e nella pratica».
Ciò detto, all’Osteria Cera solo in poche occasioni sono stati proposti abbinamenti ai cocktail, anche se con alcuni percorsi di pesce potrebbe essere interessante praticarlo, mentre il discorso cambia nell’altro ristorante di proprietà ovvero il daME Bistrò di Dolo. «Il format è più giovanile e la proposta esiste - conclude Pasquali - con principi di abbinamento tra cocktail e piatto sviluppati per similitudine o per contrasto».
Percorsi intriganti di pairing vengono proposti quotidianamente al Musa Hotel sul lago di Como, dove il cocktail bar Gaia. «L’opzione c’è sempre - riferisce l’assistant bar manager Luca Salvioli - dal pranzo all’aperitivo, dalla cena al brunch della domeninca oppure in occasione del nostro Monday Pizza. Ci siamo infatti resi conto del fatto che i clienti, soprattutto quelli internazionali, son sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e molti hanno abitudini di beva leggermente differenti rispetto agli italiani. Prediligono spesso uno stile Old Fashioned o Negroni, pur con variazioni».
Ecco che la risposta della clientela a una offerta variegata è ottima, anche perché il pairing viene studiato non solo sul piatto ma anche sul momento della giornata: «per il brunch ci sono drink più low alcohol e non impegnativi, come un Highball o dei Fizz fruttati o beverini, così come per le calde cene d’estate serviamo drink leggeri e piacevoli da accostare alla pizza. Con il ristorante andiamo più nel profondo, come quando abbiniamo il dessert cioccolato e olive a un drink in assonanza che riprende gli ingredienti, ottenendo un Negroni base cognac invece che gin con del burro di cacao, vermouth di olive taggiasche e bitter Campari». I progetti non mancano e con le nuove cocktail list al Gaia cercano sicuramente l’effetto wow uscendo dagli schemi.
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Alberto Lupini
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