Antonella Clerici celebra il tappo a vite: dalla Rai una scossa al comparto

I professionisti del mondo del vino conoscono ormai da tempo la validità dello Stelvin, metodo di tappatura che consente, tra l'altro, di ridurre i solfiti e limitare i rischi di cattivi odori e scarsa tenuta del sughero . Eppure, molte aziende, in Italia, non utilizzano questa tecnologia per via della sua "brutta fama". Il celebre programma “È sempre Mezzogiorno” prova a fare chiarezza

20 gennaio 2024 | 07:30
di Davide Bortone

Il tappo a vite sbarca sulla Rai, all'interno di uno dei programmi più popolari della televisione pubblica: quell'È sempre Mezzogiorno, condotto da Antonella Clerici, che è ormai appuntamento fisso per le massaie - e non solo - del Bel paese. Davanti allo schermo, a quell'ora, c'è una buona fetta della stragrande maggioranza di chi compra vino - soprattutto al supermercato - senza farsi troppe domande, affidandosi alle poche nozioni in possesso sulla bevanda. Non è un dettaglio di secondo piano per la dimensione attuale dello Stelvin, nome col quale è noto il "tappo a vite" a livello internazionale.

Quello "generalista" è il collocamento perfetto per compiere un passo decisivo sulla conoscenza di uno strumento di tappatura del vino ancora poco diffuso in Italia e su cui, i consumatori, hanno informazioni confuse. Per esempio, secondo gran parte degli italiani, è un tappo riservato ai vini di bassa qualità. Nulla di più sbagliato.

Lo Stelvin? Perfetto per i grandi vini

«Oggi vi ho portato un grandissimo vino bianco che viene dal Friuli Venezia Giulia - esordisce il sommelier del programma, Andrea Amadei, entrando in studio con un braccio fasciato - e posso aprire questa bottiglia anch'io che ho la mano ingessata, perché ha il tappo a vite». «Ma il tappo a vite è meno, come dire, "meno di valore" rispetto al sughero?», chiede subito Antonella Clerici, quasi a sintetizzare il pensiero di centinaia di migliaia di italiani all'ascolto. «Purtroppo questa è la percezione che abbiamo tutti - replica il sommelier - ma in realtà è esattamente il contrario. E infatti oggi sono contento di essere qui a raccontarti perché è importante avere un tappo a vite, soprattutto sui vini pregiati».

«Il vino si conserva meglio - continua Amadei - e più a lungo. In più è riciclabile al 100%. È facilissimo da aprire e da richiudere. E poi, Anto, si può mettere dal 30 al 50% in meno di solfiti nel vino (i solfiti sono i "conservanti" del vino, ndr) perché si conferma meglio». Il vino in questione è il Friuli Venezia Giulia Igt "Vintage Tunina", uvaggio di Sauvignon blanc, Chardonnay, Malvasia Istriana, Ribolla Gialla e Picolit prodotto da Jermann. Si tratta di una delle cantine aderenti al gruppo "Gli Svitati", che promuove la cultura e la diffusione del tappo a vite in Italia.

Un'iniziativa condivisa da Silvio Jerman con Franz Haas, Graziano Prà, Pojer e Sandri e Walter Massa, altri quattro grandi nomi del vino italiano. La “comparsata” del tappo a vite sulla Rai vuol dire molto per “Gli Svitati”, che finalmente riescono a smuovere le coscienze degli italiani sul tappo a vite fuori dal campo privilegiato della stampa e della critica enologica, coinvolta sino ad ora nelle prove tecniche di degustazione comparativa tra Stelvin e tappo di sughero. Il passo successivo per la consacrazione definitiva del tappo a vite in Italia è la sua diffusione sugli scaffali della grande distribuzione organizzata.

Non lasciamo soli "Gli Svitati"

A differenza di altre battaglie, quella sullo Stelvin (a proposito: questo è il nome del brand più noto a livello internazionale, divenuto ormai sinonimo di “tappo a vite”), non è una battaglia che i vignaioli possono combattere senza l'appoggio dei grandi gruppi del mondo del vino, come le cooperative. Il “canale” per cambiare i connotati dei consumatori italiani e dare l'auspicata dignità al tappo a vite non è l'Horeca, ma la Gdo: il mondo dei supermercati. Per capirlo, basta entrare in uno dei punti vendita delle tante insegne presenti in Paesi come l'Inghilterra (Tesco, Lidl, Aldi e Waitrose).

Qui le corsie sono invase da decine di vini tappati con lo Stelvin che i clienti acquistano senza alcun timore. Si tratta principalmente di etichette provenienti dalla Nuova Zelanda e dall'Australia, base Sauvignon Blanc e Syrah/Shiraz, segnale di quanto i due Paesi oceanici abbiano iniziato ormai da decenni a dare importanza al tappo a vite. Vini prodotti principalmente da grandi gruppi e adatti a tutte le tasche, in molti casi addirittura con un rapporto qualità prezzo invidiabilissimo (il che non significa costino necessariamente poco). Tutto tranne che “vini spazzatura”, insomma.

I costi dei macchinari per la tappatura a vite

L'investimento sui macchinari per la tappatura Stelvin, di fatto, non è (al momento) alla portata dei vignaioli e delle piccole cantine. A confermare come siano pochi i colleghi de “Gli Svitati” Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa a potersi permettere un tale investimento sono le aziende produttrici di questi macchinari, interpellate proprio su suggerimento di alcuni vignaioli italiani. Esemplificativo l'intervento di Mirella Simonati, business growth manager di PMR System Group di Bovisio Masciago (MB).

«Gli impianti che progettiamo e realizziamo - spiega - partono da soluzioni semi-automatiche da banco per basse produzioni (500/600 pz./h.) ad un costo intorno ai 4 mila euro, fino ad arrivare a soluzioni completamente automatiche, installate in linea, con caricatore automatico dei tappi e una produttività anche superiore ai 4000 pz/h. Si tratta di sistemi che vanno oltre i 100 mila euro». Walter D'Ippolito di Alfatek Bottling Plants Srl, azienda di Albano Laziale (RM) precisa come esistano «varie tipologie di tappo a vite per il vino, dal tappo vite basso, al tappo Stelvin, fino ad arrivare al tappo Stelvin Lux, soluzione più elegante e moderna. Le macchine automatiche raggiungono una produttività di 2500/2800 bottiglie per ora e il loro costo può variare dai 30 ai 45 mila euro».

Conferme sui costi ingenti dei macchinari per la tappatura a vite arrivano anche da Paolo Lucchetti, tra i massimi sostenitori dello Stelvin tra i vignaioli italiani. «Una macchina semplice, con tappo raso, 12 rubinetti, è introvabile al giorno d'oggi a meno di 60, 70 mila euro. Con la doppia chiusura si arriva ad almeno 80 mila euro. Un investimento che non è alla portata di tutti, ma nel prossimo futuro, se questa chiusura prenderà sempre più piede sul mercato nazionale, i costi potrebbero abbattersi».

Le cooperative del vino e il futuro dello "Stelvin"

E il conto terzi? Anche questa soluzione, secondo diversi vignaioli interpellati, non è praticabile dalle piccole cantine. Le aziende che offrono il servizio di imbottigliamento “a domicilio” offrono questo servizio a partire da 20 mila bottiglie, quantità che inizia ad essere impegnativa per una singola cantina artigianale. «Per quantità inferiori alle 20 mila bottiglie, ma superiori alle 10 mila - riferisce un piccolo produttore del Sud Italia - chiedono il doppio del prezzo. Sarebbe utile, come è stato fatto in Piemonte, prendere un macchinario in condivisione, ma mettere d'accordo le varie anime di un territorio non è semplice, così come portare avanti politiche di marketing comuni».

Diventa così ancora più fondamentale l'apertura al tappo Stelvin da parte dei grandi gruppi del settore vitivinicolo italiano. «Siamo favorevoli - commenta Luca Rigotti, Coordinatore Settore Vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari - alla possibilità di differenziare e adeguare l'offerta con chiusure e materiali alternativi come il tappo a vite. Un'opzione, quest'ultima, che consente alle imprese vitivinicole di dare risposta alle crescenti richieste del mercato che, in particolare all'estero, come nei paesi del Nord Europa, compresa la Germania e il Regno Unito, è particolarmente apprezzata dai consumatori».

«Si tratta di un approccio che deve tenere conto delle esigenze dei mercati e, specie nell'attuale congiuntura - continua Rigotti - delle voci di costo delle materie prime e degli imballaggi. E che, quindi, dovrebbe riguardare, oltre alle chiusure, anche i contenitori di capacità inferiore ai 2 litri, per i quali attendiamo un'apertura rispetto all'utilizzabilità, anche per i vini Doc, di materiali alternativi al vetro. Un'apertura comunque ragionata, tenendo conto che, come per altri requisiti, spetterebbe ai disciplinari l'ultima parola e la possibilità di poter prevedere, rispetto alla regola generale, regole più restrittive».

Il tappo a vite sui vini al supermercato

Della stessa idea Benedetto Marescotti, direttore Marketing di Caviro: «Il tappo a vite o “Stelvin” registra consensi sempre maggiori tra i consumatori dei mercati che frequentiamo, specie in quelli internazionali. Siamo una filiera, impegnata la massimo nel preservare la qualità del prodotto, dalla vite all'imbottigliamento, per cui non abbiamo certo remore nei confronti di qualsivoglia contenitore o sistema di chiusura, purché di garanzia per mantenere la qualità dei nostri vini, che siano bottiglie classiche nella forma e chiusura col sughero, o con chiusure a vite, sebbene considerate da alcuni meno “tradizionali”».

«Ne imbottigliamo già decine di milioni con questa chiusura, pratica e qualitativa al contempo, molto richiesta, se non necessaria, nei mercati anglosassoni in primis. Del resto, se non fossimo “laici” sul confezionamento noi, che abbiamo inventato il vino in brick (Tavernello, ndr), ci sarebbe da stupirsi. Il must è valorizzare i vini delle nostre cantine socie e garantirli fino alla tavola, una sorta di filiera lunga, per la quale anche il tappo in questione ha le carte in regola».

Eppure, la strada è ancora in salita. Dai dati riportati da Stelvin e Guala Closures, oggi quattro bottiglie su dieci sono imbottigliate con tappo a vite, con una percentuale che in Europa Occidentale, storicamente più tradizionalista, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021. L'Italia, ferma al 22%, può contare solo su cooperative - e buyer Gdo - per crescere in maniera sostanziale. E sfatare uno dei miti più odiosi del settore, legato alla scarsa qualità dei vini tappati con lo Stelvin. Sotto al prossimo, dunque: Antonella (Clerici) ha già fatto più che il suo dovere.

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Alberto Lupini


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