In un mondo vitivinicolo che vede molti piccoli produttori, solitamente impegnati dalla vigna al calice, concentrare sforzi crescenti sulla protezione dei suoli e sull’adozione di pratiche poco interventiste in vigneto, sta prendendo piede anche tra i grandi gruppi internazionali del vino il modello di viticoltura rigenerativa.
Viticoltura rigenerativa, una nuova tendenza?
Il colosso Jackson Family Wines ha dichiarato di voler convertire tutti i suoi vigneti a tecniche di agricoltura rigenerativa entro il 2030, ma anche il gruppo spagnolo Torres e i francesi di Moët Hennessy sembrano siano orientati a sposare questo approccio, mentre Concha y Toro sta sperimentando approcci rigenerativi in Usa e in Cile.
Cosa rappresenta dunque questo nuovo mantra che i vignaioli - che lavorino con cavalli e aratro oppure con droni per i trattamenti da agricoltura 4.0 - sembrano orientati a professare come nuovo approccio? E soprattutto, è una moda passeggera ovvero si tratta di una nuova consapevolezza? La risposta è, di fatto, nella domanda. Perché se oggi il concetto di “agricoltura rigenerativa” è sulla bocca di tutti lo si deve ad una bizzarra congiunzione tra fautori della scienza e della tecnica da un lato e predicatori di un ritorno alla “naturalità” dall’altro.
Viticoltura rigenerativa, oltre il concetto di sostenibilità
Andando oltre il concetto di sostenibilità - tanto vago e fumoso da includere quasi ogni tipo di opzione (talvolta a rischio di greenwashing) - l’agricoltura rigenerativa «si basa su un approccio agricolo che mira a ripristinare e migliorare la salute del suolo e l'ecosistema - spiega Marco Poggianella, che con i progetti dell’azienda specializzata Resonant opera anche in questo ambito -. Questa pratica si concentra sulla rigenerazione della struttura del suolo, promuovendo la biodiversità microbiologica e la sua capacità di sequestrare carbonio. Le sue origini moderne affondano le radici nel movimento dell'agricoltura rigenerativa, che si sviluppa come risposta alle pratiche agricole intensive che impoveriscono il suolo”.
L’agricoltura rigenerativa viene introdotta da pionieri come Robert Rodale negli Stati Uniti, sottolineando la necessità di rigenerare il suolo e migliorare la biodiversità. Nella viticoltura, questo significa riduzione della lavorazione del terreno, eliminazione dei diserbanti chimici e dei prodotti di sintesi, utilizzo di colture di copertura per proteggere e arricchire il suolo. Vi ricorda qualcosa? Ebbene sì, per chi ricorda le celebri Conferenze di Koberwitz - quelle con cui Rudolf Steiner gettò le basi di quella che sarebbe diventato l’approccio biodinamico all’agricoltura - i punti di contatto sembrano davvero tanti. E se l’approccio dello studioso era teosofico (in odore di esoterismo), quegli spunti di tipo olistico tornano vivissimi con l’evoluzione degli studi sul bioma terrestre. E oggi toccano da vicino anche il mondo del vino.
Viticoltura rigenerativa, i microrganismi del suolo
Niente occultismo, niente pratiche strane - che poi nel 2024 cosa potrà mai esser considerato strano? - ma tanta ricerca dietro all’avvento di un processo di superamento del concetto di agricoltura come sfruttamento della terra. «Studi recenti dell'Università della California, coordinati dal professor Dario Cantù, hanno rivelato che i microrganismi del suolo giocano un ruolo cruciale nella definizione del gusto e dell'aroma del vino - spiega ancora Poggianella -. La ricerca ha dimostrato che la flora microbica presente nel suolo e sulle uve influisce direttamente sulla composizione chimica del vino, offrendo un contributo fondamentale alla complessità e alla qualità del prodotto». E allora quell’universo enorme di microrganismi va preservato, protetto, anzi pure stimolato perché proliferi e generi ricchezza.
Come? Con l’attenzione, l’astinenza dall’uso di sostanze che violino quell’equilibrio fragile e cruciale. E pure con la tecnologia. «Esistono tecnologie avanzate, come quelle della linea Resonant di Save Our Planet, con le quali è possibile un grande miglioramento del terroir nella sua componente microbiologica - chiosa Poggianella - contribuendo alla salute e l’efficienza dei microrganismi già presenti, favorendo la biodiversità del suolo, riducendo o eliminando la necessità di fertilizzanti e incrementando la qualità delle uve e quindi del vino».
Viticoltura rigenerativa, gli antesignani biodinamici
Secondo dati 2023 di Re-Soil Foundation, il 25% dei terreni in Europa si trova al di sotto della soglia minima di nutrienti essenziali per le piante e in Italia il 28% dei terreni coltivabili è andato perso, mentre il 68% ha subito una riduzione superiore al 60% della sua presenza organica naturale. «L'agricoltura biodinamica dovrebbe essere accessibile a tutti, nonostante a volte i suoi testi risultino complessi», rimarca il biologo Michele Lorenzetti.
In effetti l’approccio olistico richiama in causa alcune delle evoluzioni negli studi scientifici. «La biodinamica è un antesignano rispetto ad altri approcci sostenibili all’agricoltura - dice il direttore di Demeter Italia Giovanni Buccheri - ma anche rispetto a un certo modo di vedere l'agenda agricola in modo sostenibile. La stessa organic agriculture, ovvero il biologico, si afferma seguendo alcune linee già tracciate da Stainer nelle conferenze del 1924. In realtà oggi siamo in un laboratorio a cielo aperto. Quello che però manca in questi modelli è la circolarità che è propria della biodinamica: non si parla solo di fertilità del terreno, ma anche di natura e di animali».
Viticoltura rigenerativa, le buone pratiche
Con uno spettro variegato di intensità, non sono poche le aziende vitivinicole che applicano processi rigenerativi. I risultati - secondo Francesco Monari, agronomo della tenuta Argiano a Montalcino - sono evidenti: «Per me è il futuro, l’agricoltura deve essere "buona" - dichiarava in una intervista a Vinonews24 - perché deve arricchire il terreno, fortificarlo, renderlo autonomo, autoprotettivo. Dobbiamo capire che è necessario superare la visione vitigno-centrica del vigneto per proteggere e valorizzare la biodiversità dell’insieme dell’ecosistema viticolo, integrando e facendo convergere le discipline e le conoscenze agronomiche con quelle ecologiche, per sviluppare un nuovo concetto di agro-biodiversità che inglobi le popolazioni dei vitigni coltivati con tutte le specie viventi nel vigneto, siano esse animali o vegetali o microbiche, aggressive o utili, telluriche o aeree. Riuscire ad avere un vigneto in equilibrio significa migliorarne l’omogeneità, che è un importantissimo fattore di qualità».
L’agronomo Mauro Lajo rivela ulteriori aspetti applicativi delle tecniche rigenerative. «Il metodo simbiotico - prosegue Lajo - dà ottimi risultati: grazie all’inoculo di zeoliti, di consorzi microbici, di induttori di resistenza, si ripristina negli anni l’equilibrio della biodiversità del sottosuolo che garantisce la vita e la salute di piante e animali. Le piante così sono in grado di resistere a stress di diverso tipo e danno prodotti più sani e di qualità superiore, che il consumatore riconosce immediatamente».
Anche uno specialista di coltura organica e rigenerativa come l’agronomo Gherardo Biancofiore sottolinea i risultati positivi. «Ci sono numerosissime evidenze empiriche e scientifiche - dice - a partire dalla riduzione dei fenomeni erosivi, visto che la viticoltura è la prima coltura per perdita di suolo per erosione, per andare alla nutrizione delle piante e alla resistenza a stress biotici e abiotici, arrivando a migliorare la qualità delle uve e dei vini. L’aumento della microbiologia dei suoli enfatizza il fenomeno terroir, infatti sono i microrganismi del suolo i veri protagonisti dell’espressione del territorio, sia nel suolo sia al di fuori di questo. I microrganismi aiutano e migliorano l’estrazione della componente minerale dalla matrice originaria. Inoltre l’aumento della biodiversità e l’inserimento della componente arborea migliora la quantità e qualità di lieviti indigeni all’interno del vigneto».
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Alberto Lupini
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