Creme solari, sai cosa ti spalmi addosso? Conoscerle per prevenire melanomi
29 luglio 2015 | 17:10
Molte persone credono di proteggere la propria pelle dagli effetti dannosi dei raggi solari, ma non hanno bene idea di cosa indichino le “misteriose” diciture sulle confezioni delle creme solari. Spesso alcune indicazioni sono inutili e una conoscenza imperfetta può provocare danni, anche gravi. A questo proposito, sarà utile leggere il commento a cura del professor Marcello Monti, responsabile di dermatologia in Humanitas e docente di dermatologia all’Università di Milano, nell’intervento che riportiamo di seguito, tratto da Humanitasalute.it.
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L’etichetta delle creme solari è un insieme di sigle e nomi che a molti possono sembrare misteriosi. Secondo un sondaggio della Royal Pharmaceutical Society, il 15% dei consumatori inglesi non ha mai controllato il fattore protettivo della crema solare che usa abitualmente per i suoi bambini. Sapersi districare tra gli acronimi e leggere bene l’etichetta è importante per decidere se usare le creme e scegliere il prodotto più adatto.
«È un problema comune, anche da noi molte persone non sono in grado di leggere l’etichetta delle creme solari», dice il professor Marcello Monti, responsabile di Dermatologia dell’Ospedale di Ricerca Humanitas.
«Il numero dell’Spf, ovvero il fattore di protezione solare, è un indice poco chiaro che può confondere. È un numero variabile da meno di 10 a 50 e indica la capacità della pelle di “resistere” all’esposizione solare: più è alto più riesce a schermare i raggi. Ma il numero dell’Spf è stabilito in laboratorio e non sulla pelle umana per cui in pratica serve a poco. Una volta applicata la crema - aggiunge l’esperto - ci sono molti altri fattori che possono incidere sull’efficacia della crema solare: dal tipo di pelle, se più o meno secca, alla quantità applicata, alla parte del corpo su cui viene spalmata. Sarebbe preferibile la semplice indicazione “protezione bassa/media/alta”».
Dall’etichetta si può capire quante volte mettere la crema solare per avere un effetto duraturo?
«Le creme solari non sono dotate di un indicatore di durata dell’effetto protettivo per cui molti pensano di essere protetti quando non lo sono affatto. Anche la resistenza all’acqua, le cosiddette creme “water proof”, è una dicitura poco chiara. Indica infatti che non si dissolvono in acqua, però questo trae in inganno perché con la doccia e l’asciugatura è inevitabile che la crema si dissipi e che diventi necessario riapplicarla», risponde il professore.
Dal sondaggio è emerso che solo un inglese su 5 sa che le creme solari proteggono bene dai raggi Uvb, che provocano scottature, ma non altrettanto bene dai raggi Uva che invece accelerano l’invecchiamento della pelle e sono un maggior fattore di rischio dei melanomi, un tumore della pelle.
Cosa indicano queste sigle che si leggono sulle etichette delle creme solari?
«I raggi Uva e Uvb sono le radiazioni solari che penetrano nella pelle. Le creme solari sono efficienti nel respingere i raggi Uvb, che causano le scottature, ma meno gli Uva, i più pericolosi. Da qui deriva il grosso equivoco delle creme solari: spingono le persone a stare più tempo al sole perché non si scottano, ma così si espongono di più al rischio melanoma, oltre che a un invecchiamento accelerato della pelle», conclude il professore.
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L’etichetta delle creme solari è un insieme di sigle e nomi che a molti possono sembrare misteriosi. Secondo un sondaggio della Royal Pharmaceutical Society, il 15% dei consumatori inglesi non ha mai controllato il fattore protettivo della crema solare che usa abitualmente per i suoi bambini. Sapersi districare tra gli acronimi e leggere bene l’etichetta è importante per decidere se usare le creme e scegliere il prodotto più adatto.
«È un problema comune, anche da noi molte persone non sono in grado di leggere l’etichetta delle creme solari», dice il professor Marcello Monti, responsabile di Dermatologia dell’Ospedale di Ricerca Humanitas.
«Il numero dell’Spf, ovvero il fattore di protezione solare, è un indice poco chiaro che può confondere. È un numero variabile da meno di 10 a 50 e indica la capacità della pelle di “resistere” all’esposizione solare: più è alto più riesce a schermare i raggi. Ma il numero dell’Spf è stabilito in laboratorio e non sulla pelle umana per cui in pratica serve a poco. Una volta applicata la crema - aggiunge l’esperto - ci sono molti altri fattori che possono incidere sull’efficacia della crema solare: dal tipo di pelle, se più o meno secca, alla quantità applicata, alla parte del corpo su cui viene spalmata. Sarebbe preferibile la semplice indicazione “protezione bassa/media/alta”».
Dall’etichetta si può capire quante volte mettere la crema solare per avere un effetto duraturo?
«Le creme solari non sono dotate di un indicatore di durata dell’effetto protettivo per cui molti pensano di essere protetti quando non lo sono affatto. Anche la resistenza all’acqua, le cosiddette creme “water proof”, è una dicitura poco chiara. Indica infatti che non si dissolvono in acqua, però questo trae in inganno perché con la doccia e l’asciugatura è inevitabile che la crema si dissipi e che diventi necessario riapplicarla», risponde il professore.
Dal sondaggio è emerso che solo un inglese su 5 sa che le creme solari proteggono bene dai raggi Uvb, che provocano scottature, ma non altrettanto bene dai raggi Uva che invece accelerano l’invecchiamento della pelle e sono un maggior fattore di rischio dei melanomi, un tumore della pelle.
Cosa indicano queste sigle che si leggono sulle etichette delle creme solari?
«I raggi Uva e Uvb sono le radiazioni solari che penetrano nella pelle. Le creme solari sono efficienti nel respingere i raggi Uvb, che causano le scottature, ma meno gli Uva, i più pericolosi. Da qui deriva il grosso equivoco delle creme solari: spingono le persone a stare più tempo al sole perché non si scottano, ma così si espongono di più al rischio melanoma, oltre che a un invecchiamento accelerato della pelle», conclude il professore.
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