Agricoltura idroponica, una speranza per gli intolleranti al nichel
01 ottobre 2017 | 15:39
di Tiziana Colombo
Contrariamente a quanto possiamo immaginare, questa pratica ha origini molto antiche. Babilonesi, Indios delle Americhe e popolazioni della cosiddetta Indocina realizzavano coltivazioni su superfici d’acqua. Già Marco Polo testimoniava la presenza di giardini galleggianti in Cina, mentre gli Aztechi erano soliti costruire delle aree coltivabili sopra delle zattere denominate “chinampas”. Dovettero passare secoli perché anche il mondo occidentale riconoscesse l’efficacia di questa tecnica. E solo dagli anni ‘70 in poi l’idroponica ha incontrato un minimo di diffusione e riconoscimento scientifico.
I sistemi di coltivazione in quest’ambito sono essenzialmente due. Uno prevede che si immergano le radici della pianta in una soluzione contente sostanze nutritive. L’altro prevede l’utilizzo di uno strato di materiale inerte, senza ovviamente ricorrere alla terra. Spesso le piante non si adattano a un contesto in cui è prevista la mancanza di ossigeno. Quindi le condizioni in cui praticare l’idroponica devono essere ben studiate. In pratica l’acqua deve essere densa di ossigeno e cibo e il ricambio delle sostanze deve essere effettuato nei tempi previsti. Le quantità di acqua, ossigeno e di sali minerali vanno dunque sempre tenute sotto controllo e bilanciate, in modo da ottenere una crescita regolare del vegetale. Si devono monitorate attentamente anche temperatura, luminosità, livello di anidride carbonica, umidità, areazione. Occorre inoltre mantenere il livello di Ph tra 5,5 e 6,5.
Va precisato che i prodotti derivanti da piante coltivate con queste tecniche non presentano differenze rispetto a quelli coltivati con i sistemi tradizionali. Anzi, la differenza sta nel fatto che in questo caso i livelli di tossicità sono minori. Questo accade anche perché con l’idroponica è possibile controllare in maniera totale la somministrazione di fertilizzanti. Inoltre le piante non vengono intaccate da possibili virus o batteri presenti nel terreno. Dunque il controllo pressoché onnicomprensivo del processo di crescita e maturazione garantisce una qualità del prodotto superiore.
Per gli intolleranti al nichel si aprono prospettive davvero confortanti. Se col passare del tempo aumentasse la quota di coltivazioni realizzate in idroponica, si riuscirebbe ad abbassare in maniera esponenziale la contaminazione da metalli pesanti e sostanze nocive. Con grandi benefici non solo per gli intolleranti, ma per tutti i consumatori! Gli intolleranti al metallo pesante potrebbero davvero arricchire la dieta con cibi che avevano escluso dal proprio orizzonte. Quindi potrebbero seguire una dieta più varia e soddisfacente. Tra i vantaggi, anche il fatto di ridurre gli sprechi d’acqua e ottimizzare la produzione in virtù di un maggiore controllo “genetico” sullo sviluppo delle piante. Insomma più gusto, più salute e impatti positivi anche sull’ambiente. Ma il discorso va ancorato al presente. Perché esistono già delle imprese che producono e commercializzano cibi derivanti dalla coltivazione idroponica. Basta fare un rapido giro su internet per rendersi conto che il fenomeno sta prendendo piede. Poi c’è chi si avventura nell’agricoltura idroponica casalinga, ma in questi casi occorrono gli strumenti e soprattutto le conoscenze tecnico-scientifiche giuste.
© Riproduzione riservata
• Leggi CHECK-IN: Ristoranti, Hotel e Viaggi
• Iscriviti alle newsletter settimanali via mail |
• Abbonati alla rivista cartacea Italia a Tavola |
• Iscriviti alla newsletter su WhatsApp |
• Ricevi le principali news su Telegram |
“Italia a Tavola è da sempre in prima linea per garantire un’informazione libera e aggiornamenti puntuali sul mondo dell’enogastronomia e del turismo, promuovendo la conoscenza di tutti i suoi protagonisti attraverso l’utilizzo dei diversi media disponibili”
Alberto Lupini