Tra tradizione e nuovi trend: i segreti per una pizzeria di successo

Il 17 gennaio si celebra la giornata mondiale della pizza napoletana e l’arte dei pizzaioli napoletani, quest’ultima dichiarata dall’Unesco Patrimonio immateriale dell’umanità. Ma cosa è giusto conservare delle vecchie pizzerie e su quali tendenze puntare? E cosa deve fare oggi un pizzaiolo per restare al passo con i tempi?

16 gennaio 2023 | 05:00
di Vincenzo D’Antonio

In occasione della festa di Sant’Antonio Abate, protettore dei pizzaioli e dei fornai, il 17 gennaio si celebra la giornata mondiale della pizza napoletana e l’arte dei pizzaioli napoletani, quest’ultima dichiarata dall’Unesco Patrimonio immateriale dell’umanità. È il momento propizio per innescare spunti di riflessione sulla pizza e, in stretta correlazione a essa, sulle pizzerie (e pizzaioli).

Pizza: tanto facile, quanto difficile

Il manufatto pizza, così poeticamente e con termini che svelano mediterraneità, definito “il sole nel piatto” è un evergreen che trae la sua forza in quella semplicità che è difficile a farsi. Una semplicità talmente difficile a farsi che molti addetti ai lavori, onde semplificare il loro ruolo o meglio ancora darsene uno in palcoscenico affollato, provano a rendere complicato (e quindi facile per loro) lo scenario. Criptici e confusionari? No, ci spieghiamo bene. Perché la pizza è semplice e tale dovrebbe restare? Perché gli ingredienti di base sono sempre e solo quattro: acqua, farina, lievito e sale. Elementi sovrastrutturali bene accetti, con coraggiosi e visionari pionieri nell'ultimo decennio dello scorso secolo, sono l'esplicitazione dei tempi e dei metodi di impasto, di lievitazione, di cottura. Va proprio bene. Va proprio bene che si faccia ricerca, che si sperimenti e che i frutti della ricerca e gli esiti positivi degli esperimenti portino ad una base di prodotto certamente migliore rispetto al passato, sia dal punto di vista nutrizionale che da quello organolettico. Che facciamo adesso? Il panetto diventa disco (e la tecnica dell'ammaccare, ne parliamo ?!) lo mettiamo sulla pala e inforniamo e dopo tot secondi sforniamo?! E cosa ne sortirebbe? Ovvio che questo disco vuole, pretende, topping. Ahi, ancora quella semplicità difficile a farsi.

Da pochi gusti, a centinaia di ingredienti fantasiosi

L'offering a voce di una volta: napoletana, marinara, margherita. Ovvero, l'onnipresenza del filino d'olio e della salsa di pomodoro e poi quando basilico e quando origano e poi quando acciughe e quando fiordilatte. E basta! Sì, va bene, anche la capricciosa e anche la quattro stagioni. Ma poi basta davvero. Semplice predisporre gli ingredienti per i topping, semplice prendere la comanda. Semplice non generare disguidi tra il manufatto atteso (anche da asporto) e il manufatto che il cliente si accinge a mangiare. E adesso quel disco di sole è diventato il depositario, nel senso che su di esso si depositano, di centinaia di possibili ingredienti costituenti fantasiosi, talvolta malaccorti, topping. È la difficoltà facile a farsi.

Tutto ruota intorno agli ingredienti: l'olio

Torniamo agli ingredienti di una volta e analizziamoli uno ad uno. L'olio. Sì, ma quale olio? Una volta, una commodity da tenere nascosta e l'oliera in rame serviva anche a questo. Olio mediocre. Oggi, quando si dice progredire e tendere al miglioramento continuo, non solo olio extravergine di oliva, ma con suo “nome e cognome” e anche più di uno in funzione della pizza che si sta facendo. A (quasi) ogni pizza il suo olio extravergine di oliva. Se poi questi oli Evo (acronimo al quale malvolentieri dobbiamo adeguarci) sono Dop (anche Igp), siamo messi proprio bene (pizza, pizzaioli e dop economy, ne parliamo ?!).

Pomodoro, sì ma quale?

Il pomodoro. Sì, ma quale pomodoro. In genere salsa di pomodoro. Una commodity sul ripiano del banco in ciotola di plastica in cui era immerso il cucchiaio di legno in duplice modalità d'uso: mettere la salsa sulla pizza e spargerla più o meno omogeneamente sul disco. Oggi sovente sono pomodori riconoscibili all'occhio e al palato e anch'essi hanno nome e cognome. Quando il San Marzano, il Pachino, il Piennolo e altri ancora. Anche qui, se fossero Dop (anche Igp) andremmo proprio bene.

E per quanto riguarda la scelta del fiordilatte?

Il fiordilatte. Ma quale fiordilatte, proveniente da dove, fatto con quale latte vaccino? Per tacere dell'abuso nel passato del termine "mozzarella" palesemente fuorviante e irrispettoso circa la provenienza del latte e la tecnica di lavorazione. Oggi si dichiara a menu (non solo a voce) se trattasi di fiordilatte oppure di Mozzarella di Bufala (Campana Dop).

Alla ricerca di sempre maggior qualità

La disanima di questi tre ingredienti che hanno connotato l'origine della pizza, la loro virtuosa evoluzione da commodity a prodotto identificabile, tracciabile e di provenienza certa indica nei fatti l'auspicabile posizionamento prossimo venturo del manufatto pizza. Stop agli offering sterminati con proposte improbabili e grande lavoro sull'individuazione di prodotti di alta qualità comunque afferenti agli oli Evo, ai nostri pomodori, ai nostri formaggi, alle nostre erbe aromatiche, al nostro pesce azzurro e ai nostri salumi. Si faccia focus sui formaggi. In Italia abbiamo più formaggi Dop che settimane dell'anno. Quanti topping hanno questi formaggi? A parte la mozzarella, ovviamente. Ecco, è questa l'evoluzione. Partendo dalla specificità del territorio, ma non da vivere come vincolo autoimpostosi, sperimentare e poi offrire pizze il cui topping contenga un formaggio Dop. Uno sguardo anche ai salumi. Farcia di calzone ripieno senza salumi? Non sia mai! Ma quali salumi? E i prosciutti? E il ciauscolo? E la ’nduja? Abbiamo più di trenta salumi Dop in Italia. Discorso analogo a quello appena fatto per i formaggi.

I punti fondamentali per un pizza e un’offerta peretta

A concludere il discorso pizza, i (pochi) punti forti sono:

  • consolidamento delle tecniche fondamentali di impasto, lievitazione, cottura, scongiurando il ritorno ai decenni bui dell'improvvisazione ed al contempo continuando (senza esasperazione) a fare ricerca, studiare, esperimentare;
  • stop a topping tanto fantasiosi quanto improbabili (e di scarso successo dopo il boom della novità dei primi giorni) che rendono sterminato l'offering;
  • via libera all'individuazione di oli, pomodori, formaggi, salumi (le quattro categorie di base) con i quali rinfrescare l'offering senza incrementare la numerica bensì facendo ruotare periodicamente le proposte;
  • correlato al punto precedente, promuovere partendo da momenti di formazione interna fino ad arrivare a convivale edutainment l'utilizzo dei prodotti Dop e Igp (la pizza verace napoletana è Stg!) onde contribuire, per il bene collettivo e per il Paese allo sviluppo della Dop economy.

 

Come devono evolvere le pizzerie?

Non c'è pizza se non c'è pizzeria. Non c'è pizzeria se non c'è pizzaiolo. Quanta evoluzione.
Tovaglia di plastica a quadretti, sedie improbabili, se va bene bicchieri di vetro, e altrimenti di carta, come di carta i tovaglioli, un paio di formati di birre, servizi igienici ai limiti della praticabilità, menu a voce, comanda a voce e… conto a voce. Scontrino? Non pervenuto. Prezzi? modici, ma davvero modici. Tranne che a Napoli e dintorni, e al netto di eccezioni nelle affollate mete turistiche, in genere apertura solo serale. In sintonia con l'incremento del manufatto pizza c'è stata una netta e ben visibile evoluzione del locale pizzeria. Sale linde, arredi graziosi, mise en place corretta, menu scritto con indicazione chiara degli ingredienti e dei prezzi. Tante birre, ma anche tanti vini e tantissime, troppe, pizze! Troppe pizze tutte insieme, si intende.

Gli scenari possibili per le pizzerie del futuro

Ma a dover rispondere con risposta netta e chiara a questa domanda: meglio le pizzerie di 30 anni fa o meglio le pizzerie di adesso? Ma sono domande da porsi? Ovviamente (ma davvero, sono domande da farsi!) molto meglio le pizzerie di adesso. E i prezzi? Non più modici, ma quasi sempre congrui. Come può evolvere la pizzeria in modo tale che, in approccio win win, i benefici siano del patron e del cliente? Semplicemente seguendo il trend, se non addirittura di esso divenendo vettore trainante, della ristorazione esaustivamente intesa.

Proviamo ad articolare lo scenario:

  • all day long oppure, come più piace aao (Almost Always Open). Oramai quasi ovunque un retaggio del passato l'apertura solo serale, la pizzeria deve ampliare gli orari di apertura adeguando nel contempo, in funzione degli slot orari, la specificità delle proposte sino ad arrivare a contemplare proposte in cui la pizza sia assente. Un esempio per tutti: i fritti chissà perché concepiti solo in funzione di entrée diventano il food di accompagnamento a una bollicina (ma anche vino fermo, ma anche birra) in orario di aperitivo. Ma altre occasioni ancora;
  • ampliamento dei servizi extra sala quali take away e delivery, ottimizzati mediante utilizzo sapiente di app e social;
  • personale ben formato e ben motivato.

Le regole per i pizzaioli

E i pizzaioli? Una raccomandazione: sentirsi sia formatori nei confronti dei proprio collaboratori, sia costantemente discenti onde tenersi aggiornati sulle evoluzioni di prodotto, di processo e manageriali. Una seconda raccomandazione: smetterla di accondiscendere a essere comparse (lusingate da ruoli di protagonista ogni tanto, secondo tecnica di bastone e carota) nelle compagnie di giro, negli avanspettacoli, nei concorsi di bellezza dove ci sono in palio ricchi premi e cotillon. Detta senza giri di parole, nel permanere e accrescere la serietà, che mai venga confusa con la seriosità, quindi mantenendo sempre la solarità del sorriso (non per nulla si è facitori del sole nel piatto), nel permanere ed accrescere l'etica comportamentale e il rigore deontologico che il rispetto verso i clienti e gli altri stakeholders esige, chiamarsi fuori e quindi nei fatti contribuire a far cessare le pantomime dei campionati mondiali, europei, nazionali, regionali, provinciali, comunali, di quartiere, di condominio, di pianerottolo. Felici per il secondo posto, hai visto quello lì, tante arie ed è solo settimo. Ecco, senza il fenomeno patologico del campionato continuo, immettendo energie preziose nell'adoperarsi ad un contenimento dei costi che passi attraverso l'abbattimento degli sprechi, perseguendo un incremento di competenza con conseguente abbattimento di barriere di soggezione verso le nuove tecnologie e sempre ben consapevoli che il giudice ultimo che decreta il successo dell'attività è il cliente pagante, mai come oggi, esercitare la professione del pizzaiolo può dare meritate soddisfazioni.

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Alberto Lupini


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