Stabilimento di produzione in etichetta L’Ue boccia l’obbligo voluto dall’Italia
L’Italia, lo scorso 5 aprile, aveva emanato una legge che prevedeva l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione in etichetta per incrementare la tracciabilità e la promozione del Made in Italy . Ma la Commissione europea ha bloccato tutto e all’orizzonte ci sono problemi, anche per le aziende
07 maggio 2018 | 11:24
Stando ad una lettera della Commissione, firmata dal commissario Vytenis Andriukaitis, si evince che il Governo sapeva di questo impedimento dal 30 gennaio 2018.
“La notifica - si legge nel testo - è irricevibile e la Commissione non ne analizzerà quindi il contenuto”. Purtroppo, non bisogna parlare di una sola bocciatura, ma di altre bocciature, come quella relativa ai decreti che obbligano l’indicazione di origine, destinati a diventare un’idea e non una legge.
L’inghippo, ovvero il “no” della Commissione, nasce dal Regolamento europeo 1169/2011, entrato in vigore il 13 dicembre del 2014. Una specie di “testo unico” comunitario che stabilisce una serie di regole sul confezionamento e l’etichettatura del cibo. Tra le norme, tuttavia, la 1169 non contempla l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione e, allo stesso tempo, ha abrogato il decreto 109/92 con il quale l’Italia l’aveva introdotto. L’Italia ha quindi deciso di approvare una legge ad hoc per tornare allo status precedente, ma trattandosi di una norma che si inserisce in un mercato unico, per farlo aveva l’obbligo di notificare la decisione alla Commissione Ue, affinché ne analizzasse il contenuto.
Il problema adesso è anche delle imprese, le quali si erano già attrezzate per rispettare la norma nazionale, ovviamente investendo non poco denaro, ma che ora devono fare dietrofront. Con il portafogli un po’ più leggero e il bagaglio di amarezze un po’ più pesante per un altro pasticcio all’italiana.
“La notifica - si legge nel testo - è irricevibile e la Commissione non ne analizzerà quindi il contenuto”. Purtroppo, non bisogna parlare di una sola bocciatura, ma di altre bocciature, come quella relativa ai decreti che obbligano l’indicazione di origine, destinati a diventare un’idea e non una legge.
L’inghippo, ovvero il “no” della Commissione, nasce dal Regolamento europeo 1169/2011, entrato in vigore il 13 dicembre del 2014. Una specie di “testo unico” comunitario che stabilisce una serie di regole sul confezionamento e l’etichettatura del cibo. Tra le norme, tuttavia, la 1169 non contempla l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione e, allo stesso tempo, ha abrogato il decreto 109/92 con il quale l’Italia l’aveva introdotto. L’Italia ha quindi deciso di approvare una legge ad hoc per tornare allo status precedente, ma trattandosi di una norma che si inserisce in un mercato unico, per farlo aveva l’obbligo di notificare la decisione alla Commissione Ue, affinché ne analizzasse il contenuto.
Il problema adesso è anche delle imprese, le quali si erano già attrezzate per rispettare la norma nazionale, ovviamente investendo non poco denaro, ma che ora devono fare dietrofront. Con il portafogli un po’ più leggero e il bagaglio di amarezze un po’ più pesante per un altro pasticcio all’italiana.
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Alberto Lupini
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