Che sapore ha la sostenibilità? Il nuovo mantra della ristorazione è proprio questo: sostenibilità. Per stare sulla mappa della gastronomia italiana - a qualsiasi livello - non bisogna che sbandierare questo concetto. Nobile e giusto, senza dubbio. Ma il rischio è di perdere la via di una sostenibilità vera e genuina inseguendo una sostenibilità di marketing. E in questo contesto, si inserisce una cucina circolare che non sempre e non solo è cucina del recupero.
Sostenibilità, una cucina circolare per alimenti e uomini
La cucina circolare punta a ridurre gli sprechi alimentari, valorizzando ogni ingrediente fino al suo massimo potenziale. Questo approccio, parte integrante dell'economia circolare, si concentra sul riutilizzo intelligente delle materie prime, trasformando scarti e avanzi in risorse preziose per nuove preparazioni culinarie. Che è molto simile alla cucina del recupero, ma anche un modo di entrare in connessione con un territorio: dare e ricevere qualcosa, come spiega Arcangelo Tinari, chef a Villa Maiella a Guardiagrele (Ch) premiato con la Stella Verde dalla Michelin: «Coltivare un territorio, creare legami con chi produce, è qualcosa in cui credere autenticamente, senza inseguire riconoscimenti».
Per Norbert Niederkofler, un aspetto importante è anche quello di valorizzare il territorio non solo scegliendo le materie prime, ma anche premiando le persone: «Alimentiamo un'economia circolare: avendo eliminato del tutto gli intermediari, ogni anno compriamo circa 600mila euro di prodotti locali. Ed è fondamentale sperimentare con quello che si ha. Questo apre infinite strade e in cucina allarga le visioni».
Sostenibilità, una visione profonda
Serve una visione che guarda lontano per implementare una cucina che sia davvero del recupero, che vada oltre una verniciata di marketing. Anche perché a volte diventa complicato comunicare una cucina del recupero, come spiega Daniele Caccia, maitre della Trattoria Visconti di Ambivere (Bg): «Il concetto di "cucina di recupero" può risultare percepito in modo negativo dagli occhi e dalle orecchie del cliente. È vero, quindi, che il termine "cucina di recupero" può avere una connotazione sfavorevole, però dal nostro punto di vista il recupero fa parte della nostra tradizione».
«Il concetto alla base della nostra cucina - aggiunge Maurizio Serva del ristorante La Trota di Rivodutri (Ri) - è sempre stato quello di partire da materie prime semplici, spesso considerate "povere". L'Italia, con la sua straordinaria ricchezza territoriale, offre in ogni angolo migliaia di opportunità. Basta avere la volontà e l'impegno di scoprire queste risorse per creare un'economia locale e circolare, in armonia con l'ambiente circostante. La nostra idea di cucina di recupero si fonda sulla tradizione: sviluppiamo piatti che recuperano ingredienti spesso trascurati. Seguiamo la regola dello "spreco zero": ogni parte del prodotto viene utilizzata per esaltare i sapori, creando un legame autentico con la nostra terra. Ridurre gli sprechi significa trasformare ciò che altrimenti andrebbe scartato - come bucce di verdura o parti di pesce - valorizzandone ogni elemento».
Sostenibilità, non solo una questione semantica
Igles Corelli mette però in chiaro che cucina circolare e del recupero sono cose differenti: «Nella cucina circolare non ci sono scarti, altrimenti parliamo di cucina di recupero. La cucina circolare nobilita ogni parte del prodotto». Proprio la cucina del recupero, però, rimane un punto di partenza importante: non si tratta di un concetto nuovo, però. Anzi, le tradizioni culinarie italiane sono ricche di ricette nate dall'esigenza di non sprecare nulla, come la ribollita toscana o il pane raffermo trasformato in panzanella. «Il ripieno dei Casoncelli - dice Caccia - include avanzi di carne, come arrosto, bollito e salame. Oppure le polpette estive di verdure, fatte con pane raffermo e ortaggi in eccedenza. Molti dei nostri piatti nascono così».
Oggi, però, questa filosofia si evolve in una pratica gourmet, grazie a chef e ristoranti che reinterpretano gli avanzi in chiave innovativa e sostenibile. Tuttavia, Serva sottolinea: «Anche se i due concetti si sovrappongono, non sono la stessa cosa: la cucina di recupero si concentra sulla riduzione degli sprechi, mentre quella circolare coinvolge l'intera filiera produttiva. Oggi, grazie a tecnologie avanzate, nella ristorazione lo spreco è già minimizzato. Ogni ingrediente viene utilizzato al massimo, dalle bucce delle verdure fino alle lische di pesce e alle ossa degli animali».
Una cucina del recupero può però trasformarsi in un circolo virtuoso fino a diventare circolare, ma l'una non presuppone necessariamente l'altra. A La Trota, il menu “Acqua” segue questa logica: «È un viaggio attraverso il mondo lacustre che si snoda in 15 piatti stagionali. Utilizziamo tutto ciò che il lago offre, dai fiori eduli alle erbe spontanee, come il crescione lavorato con ghiaccio per creare una marinatura d'anguilla che ricorda il wasabi giapponese. Questo approccio si basa su una rete di collaborazioni con piccoli produttori locali, creando un'economia circolare reale e tangibile».
La sostenibilità arriva da lontano
Si tratta di due esempi nel vasto panorama di buone pratiche in chiave sostenibilità che connotano il panorama enogastronomico italiano e che, molto spesso, affonda le proprie radici nelle abitudini ereditate dalla tradizione di famiglia e non in una bandierina da apporre a beneficio della propria comunicazione di sé. «Sono cresciuto - dice ancora Tinari - in un'azienda con più di 50 anni di storia, che inizialmente era gestita in modo casalingo da mia nonna e poi si è sempre più professionalizzata. Quando nel 1968 aprirono la trattoria, non si scartava nulla: ogni parte dell'ortaggio veniva utilizzata, senza sprechi».
«La nostra missione di riduzione degli sprechi alimentari - conferma Caccia - non è una novità: è sempre stata parte del nostro dna. Non lo facciamo per renderci sostenibili agli occhi degli altri, ma perché è ciò che abbiamo sempre fatto. Utilizziamo gli avanzi della cucina anche per nutrire i polli del nostro giardino». E Serva ammonisce: «Purtroppo, la sostenibilità è diventata spesso solo un'etichetta di marketing, con pratiche che aumentano i costi senza un reale impatto positivo. Noi, invece, seguiamo questo approccio da sempre: fin dal 1963, quando i nostri genitori usavano il fiume come frigorifero naturale per conservare i pesci freschi. Non lo facciamo per moda, ma perché è il modo giusto e autentico di cucinare, in armonia con la natura e la nostra storia».
Fino ad arrivare a situazioni paradossali, come racconta Corelli: «Oggi si tende a usare gli scarti in cucina, ma spesso in modo inefficace. Trasformare una lisca di pesce in polvere croccante richiede 12 ore di essiccazione, consumando molta energia. Nella cucina circolare, le banane vanno utilizzate prima che diventino nere; altrimenti si tratta uno scarto, contraddicendo l'idea di sostenibilità. Questo approccio può rendere i prodotti più costosi. Nelle cucine stellate, la ricerca del “green” sembra spesso una strategia per ridurre i costi. Valorizzare un ingrediente significa trattarlo con cura: una semplice patata va proposta croccante e completata con preparazioni che ne sfruttano ogni parte. Questo lavoro giustifica davvero il prezzo del piatto».
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Alberto Lupini
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