Nel periodo estivo come ogni anno si sentono su forum e blog i vacanzieri lamentarsi dell’impossibilità di trovare il cibo senza glutine con una certa facilità. Quando adito si deve dare a queste lamentele? Ci sono persone celiache che viaggiano spesso per lavoro, eppure non scrivono ogni giorno che non trovano cibo adatto. Saranno alieni? O forse si sanno adattare meglio? Non c’è dubbio che l’anello debole ad oggi sia l’alimentazione fuori casa. Quando si è a casa non ci si deve “arrangiare” ma si possono fare veri e propri pranzi da re, grazie alla reperibilità dei prodotti nei supermercati. Ma come si può fare invece fuori dalle quattro mura domestiche?
Non è semplice ma ci si può sempre arrangiare. La differenza sta nelle aspettative: se si pretende in autostrada di trovare al bar la brioche fresca allora si parte già con il piede sbagliato; e la stessa cosa se si pretende che ogni bar d’Italia abbia anche solo una confezione di biscotti senza glutine. Non si può sapere quanta richiesta ha il bar da parte dei consumatori celiaci. Si deve pensare meno egoisticamente, perché “io voglio” o “io pretendo” non portano da nessuna parte.
Bisogna considerare che nei bar la merce va in scadenza facilmente e se non c’è una grande richiesta il gestore perde soldi e la voglia di tenere prodotti senza glutine. Facendo i conti, se l’1% della popolazione è diagnosticata celiaca, togliendo anziani, bambini e adolescenti che non vanno a fare colazione al bar, quante persone rimangono?
Le discussioni poi si ripetono per quanto riguarda le catene presenti sulle autostrade italiane. Quanti celiaci viaggiando si fermano in autostrada per fare colazione o un pranzo veloce? Che poi diciamocelo: forse la più problematica è proprio la colazione, non il pranzo. Anche se non si può avere un panino nel banco frigo si trovano salumi senza glutine, spesso in abbinamento con formaggi. E non diciamo che si viaggia senza un pacchetto di cracker nella in borsa perché la cosa risulta poco credibile. Sapendo questo, la colazione si può risolvere facilmente prendendo il classico cappuccino e tirando fuori dalla borsa la merendina, i biscotti o la barretta.
Per il ristoratore forse la situazione può essere più semplice del previsto. Un’insalata fresca con verdure miste, della carne o pesce ai ferri, facendo attenzione alla piastra, un risotto preparato come si deve (non allungato con l’acqua della pasta come molti fanno) sono piatti semplici che un ristoratore può gestire al momento della richiesta senza preparare una linea apposita con largo anticipo.
Però anche qui ci sono persone che insorgono per il fatto che non trovano il pane fresco a tavola o un cestino del pane, che non c’era a disposizione un dolce o un piatto di pasta. Anche in questo caso, un po’ di spirito di adattamento forse non sarebbe male. Dall’altra parte però bisognerebbe parlare al ristoratore e fargli capire che tenere un sacchetto da mezzo chilo di pasta senza glutine non è poi questo grande investimento (la pasta si paga 4 euro al kg, mentre un piatto può costare anche 8 o 9 euro).
Per quanto riguarda il pane, se non se la sente di farlo nella propria cucina, che può essere contaminata, potrebbe farselo fare dai laboratori specializzati una volta ogni 15 giorni per poi surgelarlo in monoporzioni in contenitori separati dal resto. Stessa faccenda per i dolci. Partendo dal presupposto che per fare una crostata o un tiramisù servono solo farine deboli, quindi quelle senza glutine sono perfette, se un ristoratore non se la sente di prepararli all’interno della propria cucina non si può condannare. Si deve preferire un ristoratore sincero e cosciente del problema delle contaminazioni ad uno che promette tutto e poi lascia le conseguenze all’intestino delle persone.