Ristorazione collettiva, a rischio 30mila posti di lavoro

A lanciare il grido di allarme è il presidente di Anir Confindustria Massimiliano Fabbro: «Il nostro è forse l’unico settore che risentirà in maniera permanente della crisi pandemica»

21 febbraio 2022 | 08:30
di Luca Bassi

La pandemia ci ha travolti come se fosse un uragano. Ci ha spiazzati e stesi. Qualcuno è rimasto in piedi, ha saputo resistere, mentre qualcun altro ha potuto rialzarsi per primo, quando la prima tempesta se n’è andata. Altri, invece, si sono ripresi con più calma, ma ce l’hanno fatta. E poi c’è stato chi, come la ristorazione collettiva, ancora oggi paga a carissimo prezzo i disastri che il Covid-19 s’è portato appresso. «Il nostro è forse l’unico settore che risentirà in maniera permanente della crisi pandemica», spiega Massimiliano Fabbro, presidente Anir Confindustria (Associazione nazionale delle imprese della ristorazione collettiva). «L’avvento dello smartworking strutturale cambierà per sempre il bacino di utenza, che si ridurrà nel tempo, diminuendo i servizi erogati e di conseguenza il personale necessario alle imprese che si occupano dei servizi mensa in ambito sia pubblico sia privato. L’assenza di aggregazione porta ad un inevitabile crollo dei volumi: nel 2021, come ha ricordato l’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), un lavoratore su tre è stato in smartworking. Parliamo di oltre 7 milioni di persone, una cifra certamente si dovrà assestare una volta usciti dall’emergenza».

Nel 2023 il 20% in meno di posti di lavoro

A preoccupare più di tutto Fabbro è la perdita dei posti di lavoro, che presto sarà realtà se le cose continueranno così: «La nostra stima - sottolinea il presidente di Anir Confindustria - è che dei 150mila addetti oggi presenti si arriverà ad una riduzione del 20% alla fine della pandemia. Significa che 30mila persone (di cui l’85% donne) sono destinate a perdere il lavoro se non troviamo, da subito, un’intesa che coinvolga governo e parti sociali per la loro ricollocazione. Crediamo che la riduzione del personale avverrà entro due anni al massimo, quindi non oltre il 2023. Stimiamo, ad esempio, una riduzione dei volumi del 40% nelle mense aziendali, e molto in ambito universitario. Probabilmente le mense scolastiche non avranno scossoni, considerando anzi che saranno potenziate con i fondi del Pnrr».

La sofferenza durante il lockdown e non solo

«Durante la pandemia il settore ha sofferto enormemente - continua Fabbro - azzerando le prestazioni nei mesi di lockdown. Il mondo scolastico è un esempio, al pari della pubblica amministrazione e di tante aziende private, senza dimenticare il grande calo anche nel sanitario. Siamo stati sottoposti a richieste pressanti da parte dei committenti, vista la necessità di rimodulare i servizi, in assenza di un quadro normativo che regolasse il cambio di modalità di erogazione degli appalti in essere. Abbiamo subito l’incremento dei costi, soprattutto per le materie prime. Basti pensare alla pasta aumentata del 40%».

I ristori a pandemia inoltrata

Sul tavolo ci sono i 100 milioni di euro stanziati dal Mise: «Nel momento più difficile della pandemia non abbiamo ricevuto ristori - spiega Fabbro - ma grazie al costante pressing associativo e ad un dialogo avviato con le istituzioni da parte di Anir Confindustria, si è arrivati ad ottenere un fondo da 100 milioni di euro. È stato complicato comprendere la specificità del settore e farlo distinguere dalla ristorazione classica, dai pubblici esercizi che in Italia sono numericamente maggiori, ma i cui margini e volumi sono nettamente inferiori. Una grande azienda della ristorazione collettiva può fatturare 50 milioni di euro, cifra ben lontana dai fatturati di un ristorante medio».

 

Mancano i decreti attuativi

Ma i 100 milioni stanziati dal ministero dello Sviluppo economico non sono ancora disponibili: «Ad oggi il fondo ristori non è ancora operativo - conferma il presidente di Anir Confindustria - mancano i decreti attuativi che auspichiamo vengano varati al più presto. Ulteriori ritardi non sono più ammissibili».

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Alberto Lupini


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