Il caso del ristorante Giglio di Lucca, in pieno centro storico, che dice addio alla stella Michelin è un caso che ti costringe a fermarsi un attimo e porsi una domanda: Perché 3 giovani chef - Benedetto Rullo, Lorenzo Stefanini e Stefano Terigi - hanno deciso di rinunciare alla famosa stella Michelin e lo comunicano proprio sotto data rispetto alla presentazione della guida rossa? È come se un teenager buttasse via l'iPhone 16 appena uscito perché di valore troppo alto.
La motivazione dei 3 cuochi è che vogliono essere un «ristorante per tutti». Il che, tradotto per tutti, potrebbe significare che loro pensano ad un locale dove l'aristocrazia delle recensioni non fa da intermediario tra il cibo e i clienti. «Vogliamo che chiunque possa venire da noi, senza l’ansia da prestazione» - hanno detto in varie interviste - lasciando con ciò chiaramente intendere che la stella per loro era diventata una palla al piede. Stefanini ha aggiunto, con un certo lirismo, che desiderano un'esperienza più autentica e meno patinata. Una posizione che si inserisce in un filone crescente di cuochi che si sentono stretti nei panni di una cucina fine dining che richiederebbe continue ricerche, spesso fini a sé stesse, col rischio di perdere la propria identità.
La percezione della Michelin
Fin qui la loro legittima posizione che sottace un pensiero ormai prevalente, anche se non sempre reale, che la Michelin “costringerebbe” ad avere ambienti algidi, solo un certo tipo di cucina e prezzi alti. Ma è veramente così?
Senza rifarci al caso di Gualtiero Marchesi, che in una parabola forse un po’ discendente della sua grande creatività, aveva contestato la Michelin chiedendo di non essere più messo in guida, il caso del Giglio si avvicina a quello di Casa Mazzucchelli. Pochi anni fa la chef Aurora aveva deciso di cambiare cucina passando dal fine dining ad una rivisitazione dell’esperienza di famiglia legata alla panificazione. Una cosa che si avvicinava forse a un concetto di “quasi” pizza gourmet e la Michelin aveva tolto la stella, salvo poi restituirla dopo un ritorno sui suoi passi della cuoca …
La scelta del Giglio per la Michelin è in ogni cas un disturbo
Il caso non è lo stesso, ma nel momento in cui il Giglio vuole proporre una cucina “più autentica” e meno legata a schemi che tendono a ripetersi in tutta Italia, Benedetto, Lorenzo e Stefano hanno magari preferito giocare d’anticipo ed essere chiari: con meno fine dining la stella potrebbe non essere più compatibile e quindi meglio dire subito che non interessa, piuttosto che rischiare di perderla.
In ogni caso il messaggio che hanno lanciato e forte e, come abbiamo anticipato nei giorni scorsi, la decisione potrebbe creare problemi alla Michelin che presenterà la Guida italiana 2025 il prossimo 5 novembre e che dunque potrebbe trovarsi nell'imbarazzante situazione di avere sulle proprie pagine un ristorante che non vuole esserci. O peggio, costringerla a correre ai ripari per emendare la Guida, sempre a patto che anche per quest'anno fosse prevista la conferma del Giglio…
Mossa promozionale o scelta autentica di libertà in cucina
Certo c’è chi azzarda una versione “promozionale”. Ci sono infatti quelli che hanno interpretato la mossa come una strategia di marketing furba: dopo tutto, non c’è pubblicità migliore che fare notizia per una scelta radicale, come ha fatto notare qualcuno su Scatti di Gusto. Alcuni potrebbero addirittura pensare che questa decisione sia stata presa con una certa dose di calcolo: rinunciare a una stella può attirare altri valori, come clienti curiosi e mediaticamente affamati.
Vanity Fair ha colto il lato romantico della faccenda: la voglia di tornare all’essenza della cucina, al rapporto diretto con i clienti, senza il peso delle aspettative imposte dalle guide. Sembra quasi un atto rivoluzionario, un richiamo alla semplicità e al piacere del cibo condiviso senza pretenziosità.
Fanpage invece ha riportato un'altra prospettiva, evidenziando quello che Italia a Tavola sostiene da tempo: il peso che la stella Michelin porta: sì, è un simbolo di eccellenza, ma anche una costante pressione a essere sempre all'altezza di standard elevatissimi. Questi giovani chef, forse stanchi di camminare sul filo del rasoio, hanno scelto di seguire la propria visione senza compromessi.
Conta anche la questione economica
E su questo ci piace riportare anche la posizione più pragmatica de La Nazione che si chiede, come fa anche Italia a Tavola da tempo, se questa mossa non sia un tentativo di sottrarsi alla pressione costante e agli alti costi che il mantenimento di una stella comporta. Per il quotidiano toscano non si tratta solo di filosofia culinaria o voglia di libertà creativa, ma anche di un modo per alleggerire la gestione economica del ristorante e attrarre una clientela più ampia e meno elitaria.
E ciò archiviando una volta per tutte la pretesa della Michelin di contribuire al successo dei locali (che in realtà ottengono la stella perché sono già di loro di successo) e di generare con la sua guida un giro d’affari di almeno 500 milioni di euro. Una vera barzelletta che non tiene conto che la cucina italiana vale comunque di suo e i turisti vengono in Italia non certo perché leggono la guida rossa. Che poi alcuni, una grande minoranza, scelga anche di andare nei ristoranti stellati è un dato di fatto. Ma ci andrebbero comunque se offrono una cucina di qualità. Che è poi il ragionamento che hanno fatto al Giglio sapendo che la loro fama attira comunque i gourmand, anche se da novembre non avranno più un macherons esposta fuori dalla porta (perché non lo vogliono più).
Ma, alla fine, si può “restituire” o rifiutare una stella Michelin?
Ma ecco il punto: puoi davvero "restituire" una stella? Non è come un paio di pantaloni che riporti in negozio perché la taglia è sbagliata. La Michelin non è un abbonamento a Sly che puoi disdire con un click. Come ha osservato ironicamente Dissapore, la stella te la tolgono, non la consegni come se fosse il telecomando della TV.
Ed è qui che la faccenda si complica: questi chef volevano andare controcorrente, ma forse non hanno tenuto conto di alcune variabili. Da un lato c’è la libertà di stampa delle guide e dei critici. Se non si è riusciti finora a controllare le recensioni spesso tarocche o prezzolate di TripAdvisor o Google (anonime e non controllate) non è che si può impedire facilmente di esprimere opinioni su chi svolge un’attività aperta al pubblico. Non a caso un ristorante è un esercizio pubblico.
Una sfida al sistema
Per tornare alle motivazioni dei tre chef, forse vale la pena di farne una sintesi. Per Benedetto Rullo «Non si tratta di un rifiuto della qualità o dell'eccellenza, ma della volontà di creare un’esperienza più inclusiva. Vogliamo che le persone vengano a cena senza il timore di non essere ‘all’altezza’ di una stella Michelin». Secondo Lorenzo Stefanini «La stella ti impone un certo tipo di ristorazione, sempre sotto pressione. Noi vogliamo tornare a divertirci, a godere della cucina in modo più spontaneo». Infine, Stefano Terigi ha concluso con una nota più filosofica: «La cucina è condivisione, e crediamo che il nostro lavoro possa esprimere meglio questo spirito senza i vincoli di una stella che condiziona ogni piatto». Parole che ci piacciono e che condividiamo. Il tutto senza esagerare, perchè alla fine non si tratta della rinuncia al papato come per Benedetto XVI.
Alla fine, comunque la si pensi, il Giglio ha creato un piccolo terremoto nel mondo della ristorazione. Che sia un gesto di libertà o un astuto colpo di scena, sta di fatto che questi tre ragazzi hanno sfidato un sistema che sembrava intoccabile. E anche se qualcuno riderà dietro le quinte, c'è qualcosa di affascinante nel loro desiderio di essere un ristorante "per tutti", anche se quel "tutti" magari significa una nicchia di buongustai curiosi di scoprire cosa si nasconde dietro il sipario di un'ex stella. Allo stesso tempo va però ribadito anche il principio che, sia pure contestabile in molti giudizi e con un pregiudizio inaccettabile verso le pizzerie, la Michelin non è il male assoluto della ristorazione e, soprattutto, non è detto che un ristorante stellato sia noioso, ingessato e costoso. Dipende...
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Alberto Lupini
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