Le cucine dei ristoranti, luoghi spesso idealizzati per l’arte culinaria e il dinamismo creativo, nascondono in realtà aspetti meno affascinanti e più problematici. Tra i ritmi frenetici, le lunghe ore di lavoro e le aspettative elevate, emergono storie di tensione, stress e, non di rado, di ricorso a sostanze stupefacenti e situazioni di violenza. «Lo stress cronico - evidenzia - la Dietologa Rosalba Franco, presidentessa dell’Associazione culturale italiana Ciboliberatutti - può portare a disturbi mentali come depressione, ansia e burnout. Molti cuochi possono anche sviluppare dipendenze da alcol o farmaci come meccanismo di coping. Lo stress prolungato può influire negativamente sulla qualità della vita, riducendo il tempo e l’energia disponibili per le attività personali e le relazioni sociali».
Stress in cucina, dai problemi fisici all’uso di sostanze
«La letteratura scientifica - rimarca Mirco Confente, fisioterapista OMPT della Evidence Clinic di Soave (Vr) - riconosce lo stress come un fattore di rischio per disordini del sonno, problematiche e disordini psicosociali, quali ad esempio ansia, depressioni, disordini muscolo-scheletrici, tendenza alla cronicizzazione di questi, disordini funzionali gastrointestinali, quali sindrome dell’intestino irritabile, costipazione, alterazioni della funzionalità gastrica, solo per citarne alcuni. Recenti evidenze, inoltre, ne dimostrano un ruolo anche sulle difese immunitarie e sulle loro competenze specifiche, oltre che sulla percezione di stanchezza e vitalità.
Quindi aggiunge: «Gli stress fisici, difatti, che possano portare all’insorgenza di disordini muscolo-scheletrici in questa peculiare professione sono innumerevoli. Ore sostenute in piedi con scarpe infortunistiche, posizioni mantenute e gestiti ripetitivi con sbalzi di temperatura frequenti, specialmente a livello del viso, sono dei fattori di rischio per l’insorgenza di problematiche articolari e muscolo-tendinee, quali fascite plantari, talloniti, tendinopatie achillee, lombalgie, tendinopatie dell’arto superiore, cervicalgie e cefalee di origine muscolo-scheletrica».
Essenziale quindi è affrontare e gestire lo stress «per prevenire questi effetti a lungo termine», come illustra ancora Franco: «Alcune strategie possono aiutare a mitigare l’impatto dello stress e migliorare il benessere generale. Mantenere relazioni positive con colleghi, amici e familiari. Parlare con qualcuno di fidato se ci si sente sopraffatti e in procinto di cadere nella dipendenza da psicofarmaci».
Stress in cucina, l’esperienza degli chef
A condividere la propria esperienza sono stati Maria Rosaria Peluso, cuoca proprietaria del Ristorante Mamie a Monza, Enrico Mazzaroni, cuoco e proprietario del Ristorante Il Tiglio a Montemonaco, Flavio Cerioni con l’intera Famiglia Cerioni, proprietaria dell’Albergo Ristorante Alla Lanterna a Fano, Augusto Pasini, cuoco del Ristorante Hill Colle a Erbusco, Elis Marchetti cuoco e proprietario del Ristorante Villa Amalia e Falconara Marittima, l’executive Chef Ciro Scamardella e il sous Chef Vittorio Giannola del Ristorante Pipero a Roma.
Stress in cucina, l’uso di sostanze
Stress, ma non solo. Le cause che possono portare uno chef - piuttosto che un cuoco o chi ricopre anche altri ruoli all’interno delle cucine - sono molteplici. «Penso - dice Giannola - che molti chef o membri del personale di cucina facciano uso di sostanze per affrontare il carico lavoro per debolezza, perché solo una persona debole e insana può fare uso di sostanze stupefacenti per affrontare il carico di lavoro, oppure l’abuso di alcool sicuramente è un altro problema». Pasini poi evidenzia: «Non ho proprio idea, credo sia usata come pretesto per una debolezza e predisposizione già presente in certi soggetti. Ci son tanti lavori se uno non è adatto può cambiare non credo la soluzione sia drogarsi. Sono onesto in 23 anni di cucina anche io ho incontrato qualche caso - non più di 5 persone - e non appena ho avuto la certezza di cosa facessero lì ho allontanati. Ripeto non mi sento di incolpare nessuno in questo mestiere e secondo me i soggetti che ho incontrato avevano già il problema in precedenza. Ed io non ho mai fatto uso di droghe».
Mazzaroni poi aggiunge: «L’abuso di sostanze credo che sia generalizzato ormai. Fin da quando si inizia questo lavoro bisogna aver ben chiaro che non è un mondo facile e che ricorrere a qualunque scorciatoia porta sicuramente ad una strada senza ritorno. Per ciò che mi riguarda sono ben chiaro a tal proposito con chi inizia con me il suo percorso e in passato non ho esitato ad allontanare immediatamente, non senza un supporto di carattere psicologico, chi faceva uso di stupefacenti». Il fenomeno, però, appare piuttosto diffuso. Marchetti, ad esempio, ammette: «Tanti colleghi abusano in maniera grave di stupefacenti e di alcool. Chi da tanti anni, chi l’ha fatto per un periodo. Sono contro l’utilizzo delle sostanze stupefacenti. È già abbastanza l’adrenalina che si crea nella giornata. Credo che il motivo principale sia la debolezza. Alcuni vengono presi dallo strazio veramente sfiniti e si attaccano alla cocaina per rilassarsi. Sono 28 anni che faccio questo lavoro e non ho mai fatto uso di nulla».
Scamardella mette in luce un aspetto non secondario come il crollo nella qualità del lavoro: «Credo che sia assolutamente fuori contesto. Mi spiego, ho sempre pensato che qualora avessi avuto bisogno di un “supporto” come sostanze stupefacenti per affrontare la giornata di lavoro, avrei cambiato lavoro. È assurdo pensare che un’alterazione di se stesso possa metterti in condizione di concentrazione e equilibrio». Mentre Giannola suggerisce: «Noi come squadra - sia di cucina che di sala conduciamo una vita molto sana, tra chi va in palestra e chi a correre. Poi l’alimentazione è super equilibrata, dividiamo la settimana con due volte solo la carne, una volta solo pesce, una volta uova e i restanti giorni solo verdure, ci teniamo molto a mangiare bene».
Abuso di sostanze, non solo nella ristorazione
Sarebbe illusorio, però, pensare che droga, alcol e più in generale le sostanze alteranti, siano prerogativa solo delle cucine, come evidenzia Scamardella: «Se pensiamo che solo nella ristorazione sia diffuso l’uso degli stupefacenti, allora saremo dei gran sognatori. Ho visto ambienti molto più blasonati e di categorie di lavoro diverse essere completamente assorbiti da vizi. Chi fa uso di sostanze non è mai consapevole dei rischi che corre ed è per questo che dobbiamo fare sempre tanta e profonda informazione».
Marchetti quindi evideniza: «Sappiamo che c’è un abuso di alcool e cocaina non possiamo negarlo, non solo in cucina ma anche in altri settori. Non è la soluzione giusta. Ci sono dei supporti? Sono pochi. Nel momento in cui uno si rende conto e crea il danno, un incidente, un comportamento grave nei confronti di un collega è ora di fare basta. Quando c’è abuso di queste sostanze c’è una brutta atmosfera in cucina». Anche Giannola riconosce: «Sebbene l’abuso di sostanze sia indubbiamente presente, non è esclusivo del nostro settore, ma accomuna molte professioni. L’aspetto mediatico, tuttavia, ha enfatizzato particolarmente questo fenomeno nell’ambito della ristorazione, a volte in maniera eccessiva. Oggi c’è una crescente consapevolezza del problema e, soprattutto, una forte solidarietà tra colleghi. Nel nostro mestiere trascorriamo più tempo con i compagni di brigata che con le nostre stesse famiglie e questo crea legami profondi. Di conseguenza, prestare aiuto a un collega in difficoltà non è solo un gesto naturale, ma un vero e proprio dovere morale. Chiunque si troverebbe a fare altrettanto per qualcuno che considera parte della propria “famiglia”».
Se per Peluso «l’uso di sostanze non dipende dal lavoro in sé ma dall’attitudine della persona all’abuso», Pompili fa anche un discorso generazionale: «Parlando di droghe e stupefacenti in genere non credo sia legato al settore ristorazione ma è un fenomeno che riguarda soprattutto i giovani e i disagi comuni a qualsiasi situazione vitale legata alla personalità. Si fa uso di droghe a prescindere da che lavoro si fa. È una trappola nella quale bisogna evitare di cadere. Come ho già affermato una vita sana, equilibrata, rispettosa di sé e degli altri e un reale affiatamento della brigata aiutano a non cadere in tentazione. Anche lo stress da cibo può essere pericoloso».
Anche Cerioni introduce il tema della solidarietà: «Per quel che riguarda droghe e abuso di sostanze non sempre, direi quasi mai, è colpa della mole di lavoro e dello stress che ne deriva ma è o la mancanza di integrazione nell’ambito lavorativo o il fatto di farlo solo per uno stipendio».
Sostanze in cucina, un panorama eterogeneo
Peluso ammette di non avere avuto esperienze dirette di uso di sostanze in cucina, né a titolo personale né di colleghi di brigata: «Ho sempre lavorato nella mia cucina e non ho mai dovuto affrontare la problematica. Non ho mai avuto problemi in tal senso». Anche Scamardella è sulla stessa linea: «Non mi è mai successo, anche perché per mia natura e rispetto della vita allontanarmi tempestivamente da situazioni del genere. La vita è un dono prezioso è dobbiamo preservarlo». Giannola aggiunge: «Ad essere sincero, non mi è mai capitato di vedere colleghi o persone del settore fare uso di sostanze stupefacenti. Come già detto, non è una situazione che, almeno per quanto mi riguarda, si riscontra spesso nella realtà. A dire il vero, l’ho vista solo in alcuni film che trattano il mondo della cucina, dove queste dinamiche vengono probabilmente enfatizzate per esigenze narrative».
Marchetti, invece, riconosce: «Ho dei colleghi nel vortice delle dipendenza. Un mio amico carissimo non è mai riuscito ad allontanarsi dall’alcool anche se, più di una volta è finito in ospedale. Farlo venire fuori da parte mia è impossibile e da parte sua non c’è questa voglia di reagire. Vedo che l’allontanamento lo porta ad essere ancora più da solo: lui e il suo vizio. Ho degli amici che hanno smesso quando hanno esagerato. Un incidente grave e tutto si ferma». Cerioni mette poi un evidenza un aspetto delicato: «Quando ci è capitato di incontrare colleghi vittime della dipendenza ci siamo accorti che ciò era dovuto più ad uno stress post lavorativo che a problematiche sul lavoro. Problemi di coppia, il non sapersi relazionare con il prossimo».
Dallo stress alla violenza, un passo breve
Il forte stress può degenerare anche in episodi di violenza, verbale o fisica. Lo sa bene Mazzaroni che confessa: «Ho iniziato questo lavoro molti anni fa anche all’estero e ho un vivido ricordo di come violenze fisiche e mentali fossero la prassi. Ricordo di essere stato picchiato più volte. Non posso dire che la cosa non mi abbia forgiato e fatto comprendere che in questo lavoro non ci sono compromessi e capire con precisione quando essere un cuoco sia duro. Io da parte mia ho adottato un approccio morbido e sempre rispettoso, mettendo la compresione al primo posto, ma d’altro canto fermezza e severità per certi altri atteggiamenti mi fanno preferire l’immediato allontanamento del soggetto dalla mia cucina senza inutile grida che fanno (o hanno fatto male) più a me che al soggetto indisciplinato». Marchetti poi aggiunge: «I momenti di violenza esistono da sempre. Immaginate persone in tensione a mille, in velocità incredibili, nervi saldi a cui basta poco per saltare. Partono le urla se c’è mancanza di gerarchia in cucina. Mi è capitato personalmente di avere degli atteggiamenti duri nei confronti di un collega o di un dipendente. Ho un mental coach con cui parlo. Mi aiuta a regolarmi e mi fa bene».
«Le cucine sono violente?», si chiede Pasini che spiega: «Sicuramente le condizioni dei lavoratori in certe strutture di ristorazione sono pessime. Bisogna fare una gavetta pesante senza risparmiarsi. Da giovane il fisico sopporta bene e poi arrivi verso i 35 anni assumi una posizione importante che ti permette meno stress fisico. Ognuno sceglie in che campionato vuole giocare». Cerioni poi specifica: «Uno strillaccio durante il servizio non si può chiamare violenza, ma personalmente preferiamo chiamarla “sveglia”. Tra persone intelligenti chiedere scusa pensiamo sia sufficiente, magari berci un bel calice di vino. Per fortuna non abbiamo mai assistito a maltrattamenti o situazioni di mobbing. È capitato, invece, che alcune volte il responsabile di cucina alzi un pochino il tono». Peluso, però avverte: «Per quanto riguarda la violenza in cucina l’ho vista tra dipendenti. Fortunatamente è stato un caso isolato e non ritengo che il comportamento sia comune». E così Marchetti: «Non mi è mai capitato di subire violenze fisiche, maltrattamenti. Non ci sono mai stati negli ultimi 18 anni nella mia cucina».
Stress, la leadership dello chef per contrastare il fenomeno
Uno degli antidoti all’insorgere di situazioni di stress che possono degenerare in episodi di violenza o nell’uso di sostanze è la qualità della leadership dello chef. Ne è convinta Peluso: «Credo che la leadership dello chef abbia un’influenza ma che il clima generale del luogo di lavoro dipenda anche dal temperamento e dall’attitudine di ogni componente». «L’ordine, la disciplina, la gerarchia - evidenzia Marchetti - sono parole che non piacciono molto ma tutto è basato sul ritmo che crea lo chef. La prima donna è lo chef che deve essere in grado di rendere l’ambiente sano, piacevole ed equilibrato. La leadership di uno chef può sembrare pesante ma diventa un lavoro aggiunto così la brigata non è tossica».
Pasini quindi conclude: «In cucina è fondamentale che lo chef con una forte leadership sicuro di sé e calmo trasmetta un clima sereno. Lo chef deve far tutto veloce ma deve aver la capacità di vedere tutto a rallentatore. Dove ho lavorato io solitamente gli stagisti erano visti come risorsa e la maggior parte, a fine scuola, venivano a lavorare con noi. Penso che il mondo contenga di tutto anche cose che non vorremmo neppure immaginare».
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Alberto Lupini
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