Mense aziendali: «I ristori sono importanti, ma non bastano»

I 100 milioni di euro messi sul tavolo dal Mise non bastano. Carlo Scarsciotti (OriCon): «Servono a ripagare la sofferenza dei due anni passati ma non ci aiutano a guardare al futuro». A rischio 8mila posti di lavoro

29 gennaio 2022 | 08:30
di Luca Bassi

«Inutile girarci attorno, la situazione è molto preoccupante». Non usa mezzi termini Carlo Scarsciotti, portavoce di OriCon (Osservatorio ristorazione collettiva e nutrizione), quando parla della situazione che da mesi sta vivendo il mondo della ristorazione collettiva. La pandemia ha messo in ginocchio diversi settori, ma quello che comprende le mense aziendali sembra essere quello che fatica più di tutti a vedere la luce in fondo al tunnel. Ammesso che vi sia davvero una luce...

«Se di tunnel possiamo parlare - spiega Scarsciotti - dobbiamo necessariamente dire che è un tunnel molto lungo. La nostra speranza è che la luce ci sia davvero alla fine, ma in questo momento è tanto difficile trovare un po’ di ottimismo. Personalmente sono molto preoccupato: ogni giorno, ormai, ricevo chiamate dai toni drammatici di aziende del settore che non vogliono perdere i propri dipendenti, ma che sono in una situazione di totale sofferenza. Così non possiamo proprio continuare».

 

I 100 milioni del Mise non bastano

Eppure i 100 milioni di euro di contributi a fondo perduto annunciati alla fine di dicembre dal ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti sembravano poter essere una boccata d’ossigeno per le tante realtà in difficoltà. Non ne è così sicuro il portavoce di OriCon: «Quella è una cifra che servirà a tamponare le perdite dei 24 mesi passati - commenta - ma non possiamo pensare di guardare al futuro con quei soldi. Negli ultimi due anni ci siamo mossi per avere dei ristori, oltre alla cassa Covid, che tenessero in considerazione tutti i danni che la pandemia ha portato alle nostre aziende. Questi 100 milioni servono, ma non bastano».

 

Sostegni a chi ha perso almeno il 15% del fatturato

Il decreto “Sostegni bis” del Mise dice che «potranno richiedere il contributo le imprese che nell’anno 2020 hanno subito una riduzione del fatturato non inferiore al 15% rispetto al fatturato del 2019 e che svolgono servizi di ristorazione definiti da un contratto con un committente, pubblico o privato, per la ristorazione non occasionale di una comunità delimitata e definita, quale - a titolo esemplificativo - ristorazione per scuole, uffici, università, caserme, strutture ospedaliere, assistenziali, socio-sanitarie e detentive. Le risorse saranno ripartite in uguale misura tra tutte le imprese richiedenti e ammissibili fino al raggiungimento di un importo del contributo di 10mila euro».

 

Le previsioni restano negative

Per l’Osservatorio ristorazione collettiva e nutrizione tutto questo non può bastare: «Le previsioni - sottolinea Scarsciotti - restano negative. I soldi insufficienti stanziati in quel decreto, la cassa Covid non confermata, la Dad nelle scuole e lo smartworking in tanti uffici sono tutte situazioni che non possono farci pensare che la ripresa del nostro settore sia dietro l’angolo. Così è difficile vedere la fine del tunnel».

A preoccupare più di ogni altra cosa Scarsciotti c’è la possibilità (sempre più concreta) che molte aziende decidano di adottare in maniera permanente lo smartworking anche a pandemia finita: «La ristorazione aziendale è quella che preoccupa di più - spiega - perché l’assenza di personale negli uffici ha fatto perdere al settore il 40% del fatturato nel 2020, mentre nel 2021 abbiamo visto una piccola ripresa nel secondo semestre che ha abbassato la perdita al 15%. Speravamo in un 2022 in crescita ma così non sarà, si parla del 25% di fatturato in meno. Se per tanti altri settori il peggio sembra essere passato, per le aziende della ristorazione collettiva la sofferenza non è affatto finita».

 

Almeno 8mila dipendenti a rischio

«Lo smartworking - sottolinea il portavoce OriCon - è un problema di sistema, porta sofferenza a diversi settori e non solo al nostro: ristoranti che non hanno più clienti a pranzo, alberghi con la metà degli ospiti, trasporti con meno corse. Ci aspettiamo che il governo gestisca per bene questa situazione delicata, che riguarda almeno 8mila dipendenti del settore ancora fermi, a casa, in cassa integrazione. Lo smartworking ce lo siamo trovati in un momento di estrema necessità, il rischio è che diventi normalità. Ma è un problema sociologico che deve essere gestito. Al governo chiediamo che intervenga ora, perché questa situazione sta cambiando la società senza che ci sia una regia».

 

 

I rincari rendono la situazione ancora peggiore

A tutto questo va poi aggiunto un altro problema, quello dei rincari di energia e materia prima: «Rincari che noi, a differenza di bar e ristoranti, non possiamo “dividere” con i clienti aumentando i prezzi, perché rappresentiamo dei costi fissi. Sono davvero preoccupato. Non vogliamo perdere i nostri dipendenti - conclude Scarsciotti - la nostra non è una professione così banale come qualcuno può pensare».

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Alberto Lupini


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