Oscar Mazzoleni, patron e maître sommelier classe 1979 di Al Carroponte a Bergamo dal 2014, è stato premiato dalla Michelin con il Sommelier Award durante la presentazione della Guida italiana 2025. Non un traguardo finale, ma certamente un riconoscimento importante per un professionista esperto che richiama i giovani al sacrificio, fondamentale per i suoi inizi, anche per ovviare ai problemi di carenza di personale e a Italia a Tavola spiega come il ruolo del sommelier sia sempre più centrale per raccontare un mondo del vino che deve andare oltre le mode e le etichette.
Mazzoleni, il sommelier premiato dalla Michelin
Cosa ha significato ricevere questo premio?
Tutti i sommelier e i responsabili di sala aspirano a un riconoscimento come questo, che rappresenta un premio altamente emozionante. Trovarsi davanti alla Michelin, una guida che oggi esercita una straordinaria influenza a livello globale, è un’esperienza unica. Quando un sommelier viene nominato come il migliore d’Italia dalla guida Michelin, non si tratta necessariamente di un traguardo finale, ma di un riconoscimento che ha un valore enorme, sia dal punto di vista morale che professionale. È un premio di grande significato, che riempie di orgoglio.
Come è cambiato il modo di presentare e raccontare un vino?
Oggi è fondamentale essere il più semplici e diretti possibile. Il sommelier non deve inventare storie, ma raccontare con sincerità la verità sulla bottiglia, sul clima e sull’annata. Ad esempio, consideriamo il Piemonte: il 2016 è stato un anno straordinario, celebrato dalla stampa, mentre il 2017 è stato caratterizzato da un clima caldo. Quando parliamo del 2018, è importante spiegare all’ospite che può aspettarsi un vino con un frutto più croccante e fresco, evitando descrizioni esagerate o complesse. Bisogna essere chiari e concreti, senza ricorrere a metafore confuse. Il sommelier di oggi deve studiare a fondo, perché le tecniche di vinificazione si sono evolute e non si limitano più alle immagini romantiche delle botti pigiature a piedi. Le tecnologie moderne richiedono una comprensione approfondita, e quando riesci a spiegare in modo semplice perché un vino è più “libero” o “aperto” in modo che sia comprensibile persino per un adolescente, hai vinto: il messaggio arriva dritto all’ospite.
Perché è ancora fondamentale la figura del sommelier?
Come detto, oggi bisogna raccontare il vino con autenticità richiede esperienza diretta, non solo teoria. Se ti limiti a leggere note di degustazione o informazioni online senza aver mai assaggiato quel vino, sarà difficile trasmettere una vera comprensione. Oggi, nonostante l’accesso immediato alle informazioni, queste rimangono spesso superficiali, e il ruolo del sommelier rimane insostituibile. L’apporto umano è ancora essenziale: un sommelier può condividere storie ed esperienze uniche, come quelle legate a produttori straordinari. Per esempio, se ti parlo di Domenico Clerico, non è solo il produttore che ha creato vini eccezionali, ma una persona con cui potevi condividere momenti speciali, magari sorseggiando champagne insieme, per poi ricevere a casa alcune bottiglie dei suoi vini da scoprire. Raccontare queste storie, vissute in prima persona, permette di far innamorare le persone del mondo del vino in modo autentico e coinvolgente.
Mazzoleni, il vino oltre le mode e le etichette
E il mondo del vino come si è evoluto?
Negli ultimi anni il mondo del vino ha subito una trasformazione significativa, con un notevole innalzamento del livello qualitativo. Oggi l’attenzione ai dettagli è fondamentale: ad esempio, se un produttore riesce a conferire al vino una leggera nota olfattiva di paté di olive, il cliente è in grado di percepirla e ne rimane entusiasta. La scelta del vino giusto per un abbinamento è diventata un'arte, come nel caso di una carne particolarmente untuosa, che richiederebbe un vino con un tannino più ruvido, magari proveniente da un’annata complessa. Lo studio approfondito delle annate e delle diverse aree di produzione è oggi essenziale per comunicare correttamente le caratteristiche del vino.
C’è il rischio oggi di bere un vino per la sua etichetta e non per le sue reali qualità?
Bere un vino giudicandolo solo dall’etichetta è un grande problema. Spesso celebriamo vini rinomati senza soffermarci sulle loro reali caratteristiche e peculiarità. Al contrario, se ci liberiamo dai condizionamenti delle etichette blasonate, possiamo concentrarci meglio sull’esperienza di degustazione, apprezzando il territorio e lo stile unico del produttore. Quando ci limitiamo a seguire i grandi nomi, capita che alcune di queste etichette, pur tanto acclamate, possano deludere le aspettative. Oggi molte persone seguono le mode, a volte senza una vera conoscenza, e ciò ha portato a un fenomeno preoccupante. Inseguire tendenze come quella del "vino naturale" senza un’adeguata comprensione può essere fuorviante. Il più grande esempio di biodinamica nel mondo del vino è Romanée-Conti, che produce vini impeccabili, integri e puliti, senza mai sbandierare il proprio approccio biodinamico. Questo produttore dimostra che un vino biodinamico può essere eccellente senza compromessi sulla qualità. D’altro canto, c’è chi oggi propone vini definiti “naturali” che presentano difetti evidenti, come volatili troppo alte o una mancanza di pulizia. Questi non devono essere considerati pregi, ma problemi tecnici. È un errore giustificare difetti come una presunta caratteristica distintiva del vino naturale. Se un vino "puzza" in modo evidente, è segno di un travaso mal eseguito o di altri problemi nella vinificazione, e non possiamo accettare che questo venga considerato un valore aggiunto.
Mazzoleni, un lungo percorso fino alla premio della Michelin
Come si è avvicinato a questa professione?
Sono trent'anni che svolgo questo mestiere. Ho scelto di frequentare la scuola alberghiera e, sin dall'inizio, ho deciso di dedicarmi al lavoro di cameriere e poi di specializzarmi come sommelier. Non è stato un avvicinamento fortuito: da sempre mi piace questa professione e trovo grande soddisfazione nel fare ospitalità per i nostri ospiti. Il premio ricevuto dalla Michelin rappresenta il coronamento di grandi sogni e ambizioni che accomunano tutti noi che lavoriamo in questo settore.
Quali sono state le figure chiave del suo percorso?
La mia passione per il vino risale ai miei 15 anni, quando frequentavo la scuola alberghiera. Fu allora che incontrai due sommelier professionisti, Fanzaga e Pezzotta. Grazie a loro, imparai ad apprezzare il vino non solo per l’etichetta, ma per tutto ciò che riguarda la sua parte agronomica e l’enologia. Mi fecero conoscere sette diversi tipi di Chianti, spiegandomi le caratteristiche di ciascuno: un Chianti dei colli senesi, una Riserva, uno affinato in botte grande. Non sapevo esattamente chi o quale produttore stavo assaggiando, ma cercavo di comprendere il territorio e l’identità del vino. Avere l'opportunità di imparare da persone come loro è stata una grande fortuna. Se hai la possibilità di apprendere da figure di tale spessore e ti impegni a fondo, non puoi fare altro che distinguerti. Un'altra figura che ha segnato profondamente il mio percorso è stata Claudio Molinari, maître del Suvretta House di St. Moritz, uno degli hotel più prestigiosi al mondo. La sua perfezione stilistica, la sua eleganza e la sua insaziabile sete di conoscenza erano davvero contagiose.
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Cosa crede che cambierà ora per il suo locale dopo il riconoscimento della Michelin?
Non ci saranno grandi stravolgimenti: già la mattina dopo ci siamo svegliati con i piedi ben saldi a terra, mantenendo il nostro focus sul lavoro. Continueremo a fare ospitalità, a far sentire bene le persone, coccolandole, parlando di vino, di servizio, e di tutto ciò che rende speciale la nostra accoglienza. Tuttavia, potrebbero aprirsi nuove prospettive. Il premio della Michelin genera sicuramente curiosità, e con una carta dei vini che vanta 3.500 etichette, potremmo attirare collezionisti e appassionati alla ricerca di rarità che difficilmente si trovano in altre carte.
Mazzoleni, non c'è personale perché non c'è passione
Anche voi soffrite per la carenza di personale di sala?
Oggi il ruolo del cameriere non è più quello di un semplice servitore, ma di un professionista che contribuisce a creare un’esperienza memorabile in un ristorante. È innegabile che molte sale in Italia stiano attraversando momenti di difficoltà. Tuttavia, fortunatamente, possiamo contare su solide basi e su un team di giovani che si impegnano costantemente, migliorando giorno dopo giorno. Il problema, a mio avviso, non riguarda solo il servizio di sala, ma si estende anche alla cucina. Al momento, le maggiori difficoltà che riscontriamo qui al Carroponte con il personale si concentrano proprio nel reparto cucina, non tanto in sala, dove invece continuiamo a fare progressi e a essere soddisfatti.
Perché a suo giudizio?
È sempre più raro trovare persone che abbiano il desiderio di mettersi in gioco, di lavorare con passione, di abbracciare un progetto e di divertirsi facendo il mestiere di cuoco. La ristorazione, sia collettiva che in generale, sta affrontando sfide importanti in entrambi i reparti. Ciò che serve è riscoprire valori fondamentali, come l’entusiasmo per un progetto, la gioia di farne parte e la soddisfazione nel contribuire con impegno. Troppo spesso si parla di sacrificio, ma il nostro lavoro non deve essere visto in questo modo. Deve esserci passione, dedizione e la volontà di affrontare la giornata lavorativa con entusiasmo, senza il peso del "devo andare a lavorare". Il mestiere della ristorazione dovrebbe essere un’opportunità per divertirsi e crescere, ed è sempre più difficile trovare persone che si appassionino veramente a questa professione.
Cosa è cambiato in questi anni?
Credo che il problema non riguardi solo il settore della ristorazione, ma sia più ampio e collegato agli effetti del periodo post-Covid. La pandemia ci ha fatto capire che, in qualche modo, si poteva andare avanti anche senza lavorare. Tuttavia, oggi stiamo vedendo le conseguenze di questa mentalità: è chiaro che tutti dobbiamo lavorare e produrre, poiché senza lavoro non possiamo generare il reddito necessario per sostenere le nostre vite. Tra le nuove generazioni noto una certa arrendevolezza e una minore determinazione rispetto al passato. Il mestiere in sé non è cambiato: ciò che facevo trent'anni fa come cameriere lo faccio ancora oggi. La differenza sta nello spirito con cui lo si affronta. Trent'anni fa, ad esempio, ero disposto a lavorare gratuitamente in Svizzera, nel sesto albergo più prestigioso al mondo, solo per avere l'opportunità di apprendere da un grande maestro come il signor Molinari. Mi spostavo a mille chilometri di distanza per fare le stagioni a 16 anni, animato dal desiderio di imparare e crescere in questo settore. Oggi, invece, il mestiere della ristorazione è a rischio perché manca la volontà di affrontare le sfide che esso comporta. È facile suggerire di ridurre le ore di lavoro o di fare turni unici, ma queste soluzioni non sono realistiche né applicabili nella realtà della ristorazione. La nostra professione richiede sacrificio, impegno e una vera passione per l’ospitalità.
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Alberto Lupini
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