Il Made in Italy non è per tutti, se abusato perde di valore
Negli ultimi anni in troppi hanno utilizzato il termine in maniera non adeguata al suo reale valore. Dal laboratorio alla vendita invece serve sempre la massima espressione di un valore aggiunto di inestimabile valore
15 gennaio 2021 | 07:09
di Roberto Lestani
Made in Italy non per tutti
Un marchio, un orgoglio, un’etichetta che senza dubbio serve a certificare la validità di un prodotto e tutta la cultura e sapienza che ci sta dietro, ma che proprio per la sua eccezionalità non può essere sempre sbandierato. Applicare ad un dolce l’etichetta “made in Italy” significa prendersi la responsabilità di fornire al cliente un prodotto davvero diverso dagli altri che metta nella ricetta materie prime solo italiane e che, forse ancor di più, risenta dell’artigianalità tricolore di cui i nostri professionisti sono dotati. Non basta tuttavia applicare questa etichetta alle proprie creazioni perché il marketing, come ormai ripetiamo costantemente in questi nostri appuntamenti mensili, necessita di un racconto. Il pasticcere o il gelatiere, ma in generale l’artigiano del gusto, deve essere in grado di spiegare al cliente che cosa si appresta ad assaggiare.
Anche l’arte oratoria (che oggi, a proposito di made in Italy, viene chiamata storytelling) è “italianità” e i consumatori hanno sempre più fame di conoscere a fondo quello che entra nel loro piatto per un pranzo, una cena, una merenda o una colazione. E allora uscire dal laboratorio dove il made in Italy lo si lavora con le mani e il cervello è doveroso per mettersi di fronte al cliente e utilizzare quel made in Italy “di cuore” che da sempre ci contraddistingue. Farà convivialità, farà socialità, farà confronto ed esperienza e allora lì si farà il salto di qualità che differenzierà il vero made in Italy da quello solo proclamato, ma non previsto nelle proprie creazioni culinarie.
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Alberto Lupini