Lavoro no, lavoro sì: considerazioni sulla mancanza di personale in Italia

A settembre '23, l'occupazione in Italia è cresciuta di 42mila unità grazie al turismo e alla ristorazione. Tuttavia, resta evidente la cronica mancanza di personale italiano in tutti i settori produttivi

12 gennaio 2024 | 09:30
di Rocco Pozzulo

L'occupazione in Italia, a settembre 2023 (in termini globali), è cresciuta di circa 42mila unità sul mese precedente di agosto, dato spinto anche dal settore turistico e ristorativo, che grazie a Dio, al bel tempo e alle sue piacevoli temperature (vi ricordate?), ha favorito il prolungamento vacanziero stagionale di fine estate, sia straniero che dei noi italiani (di chi se lo poteva permettere naturalmente).

Anche se la notizia è datata e passata nel dimenticatoio della storia, volevo fare una breve considerazione sulla oramai patologica mancanza di personale italiano in ogni settore produttivo del paese. Nonostante ciò, ci sono stati nei “servizi” ben 512mila nuovi “occupati” in più rispetto al 2021, livello più alto mai raggiunto dal 1977. Un dato confortante per la nostra Italia, emerso da un comunicato Istat, che ha ratificato, tra la popolazione del Bel Paese, un totale di 23 milioni e 656mila occupati, con un crescendo di dipendenti a tempo indeterminato, specie negli “under 35” (relativamente giovani quindi) e gli autonomi, mentre diminuiscono le donne lavoratrici e i contratti a termine.

Nel mio piccolo di conoscenze, e non certo di analista di “dinamiche” sociali, e di esperto nei suoi più disparati aspetti, ritengo che questo buon risultato sia frutto degli orientamenti legislativi intrapresi dal nuovo governo, non basati su sostegni e sussidi economici a chi potrebbe lavorare, bensì su politiche dedite alla reale ricerca di un posto di lavoro. Parlerei quindi di una forzata mobilità interna del mercato del lavoro, indotto dalle annunciate misure restrittive sul cosiddetto “Reddito di cittadinanza”. Molte persone, a giusta ragione, si sono prodigate a cercare da subito un lavoro, prima di trovarsi in seria difficoltà, magari poi, un impiego possibilmente più qualificante e nelle proprie capacità e competenze, ma tutti indistintamente, con grande attenzione alle aspettative e qualità della vita. Difatti, sempre in base a dati ministeriali certi, tra lo scorso anno ad oggi, si sono dimessi 1 milione e 47mila lavoratori e di questi circa 700mila si sono ricollocati subito nel giro di tre mesi. In passato ci si dimetteva per guadagnare di più, come per noi cuochi attratti dai soldi, oggi, contrariamente nonostante i tempi non felici, si cambia impiego e addirittura settore, non prettamente per un lavoro economicamente dignitoso, ma soprattutto che ti permetta di avere una vita socialmente normale, degli svaghi e tempo libero, a “ridosso” della famiglia, degli affetti dei propri cari ed amici.

Questo è il motivo primario della “defezione” da parte della gioventù verso il nostro intero settore lavorativo, contribuendo di suo ad ingigantire negativamente un conto molto salato. L'Italia paga, come oggetto di grande disallineamento tra domande e offerte di lavoro, ben 28 miliardi di euro “in soldi” persi (calcoli alla mano del Censis), che conteggiati sui 316mila, numero dei posti vacanti (mancanti all'intero mercato del lavoro), se occupati, avrebbero potuto spingere ad un indotto economico pari al 1,2% in più di Pil. Noi della Federazione italiana cuochi è molto tempo che spingiamo i nostri politici ed amministratori (di ogni orientamento e colore) a prodigarsi con politiche coraggiose che possano fare del nostro comparto un “faro” di grande interesse lavorativo, non solo di vanto per gli aspetti “intrinseci” del turismo e tutto l'indotto correlato (enogastronomia, cultura, arte, storia ecc. ecc.) di cui l'Italia ne è ricca, ma volano economico senza eguali al mondo, assolutamente e potenzialmente trainante per il nostro sistema produttivo e finanziario italiano.

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Alberto Lupini


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