L'accusa delle scuole: ragazzi sfruttati dai ristoranti, così fuggono all'estero

Gli istituti alberghieri spiegano che i ragazzi di oggi hanno ancora voglia di intraprendere un percorso formativo nel mondo dell'accoglienza. Il problema però sono gli sbocchi professionali poco allettanti. Da qui nasce la mancanza di personale nei ristoranti italiani e la fuga di professionalità all'estero

02 settembre 2021 | 12:41
di F. Biffignandi e N. Grolla

Sta scattando il semaforo verde per le scuole di tutta Italia e per gli istituti alberghieri questo è un anno particolare. La crisi della ristorazione ha tolto fiducia agli studenti? La mancanza di personale denunciata quest’estate affonda le radici nelle aule? Il Covid infetta anche la formazione oltre che il lavoro? Le risposte sono “negative” a giudicare dalle parole dei dirigenti scolastici, dove per negative si intende che alle tre domande hanno risposto: no. Con qualche asterisco, ma legato più a tendenze fisiologiche della scuola che a questo periodo di contingenza.

 

Ai ragazzi non manca la passione per la cucina

I ragazzi insomma hanno ancora voglia di iscriversi agli istituti alberghieri, se i ristoranti sono senza personale non è certo colpa degli istituti, i quali hanno continuato a lavorare al massimo nonostante le restrizioni imposte dalla pandemia. Ascoltando le parole dei dirigenti scolastici, gli iscritti quest’anno sono in linea con quelli degli altri anni, al netto di mode che, ciclicamente, riguardano un percorso piuttosto che un altro.

Una cosa è certa: il primo obiettivo di ogni istituto è far capire ai futuri allievi che lavorare in cucina non vuol dire essere dei vip che spopolano sugli schermi televisivi, ma fare fatica, sacrifici e dedicarsi anima e corpo al mestiere, che è una vocazione, una missione. Gli studenti sembrano aver compreso, ma il problema da affrontare è un altro: attendere che i ristoranti puntino sulle giovani leve, curandone la formazione sul campo ed evitando forme di sfruttamento. Perché dalle scuole filtra questa accusa, velata ma neanche tanto, relativa alla poca predisposizione del settore ad accogliere dignitosamente i neodiplomati.

 

Nei ristoranti dinamiche poco etiche

«Il mercato della ristorazione risente della mancanza di nuove professionalità perché mette in atto dinamiche lavorative poco etiche - spiega Barbara Antenucci, vicepreside dell’Istituto alberghiero Ruffini di Arma di Taggia (Im) - volte allo sfruttamento dei giovani e poco propense a partecipare alla formazione. Questo porta gli studenti ad allontanarsi e a scegliere l’estero, che non può essere una scelta da colpevolizzare, anzi, ma che non può nemmeno essere dovuta ad un mercato italiano poco interessante per i nostri giovani. Noi crediamo che la loro passione esista ancora e lo vediamo dai nuovi iscritti: 130 circa, quest’anno. Una lieve flessione c’è stata, ma è stata dovuta essenzialmente all’impossibilità di lavorare sull’orientamento come facciamo solitamente, ovvero in presenza invece che virtualmente come il Covid ha imposto».

 

Nelle aule la formazione è stata garantita in modalità mista. Le lezioni teoriche si sono svolte in Dad, mentre i laboratori in presenza, alternando le classi e scaglionando gli orari in modo da non unire più nuclei in uno stesso ambiente. Anche questa modalità non ha tolto la volontà ai ragazzi di andare avanti con serietà.

«Quest’anno - spiega Rudi Mamino, collaboratore del dirigente scolastico dell’istituto alberghiero Giolitti di Mondovì (Cn) - abbiamo registrato un centinaio di iscritti. Numeri più bassi rispetto agli anni scorsi, ma questo è legato alle mode che negli anni si susseguono e al fatto che il calo demografico nazionale è evidente. Questo non significa che si venuta meno la passione dei ragazzi per questo settore, o meglio: il discorso è molto più complesso. Oggi il vero problema sono gli sbocchi professionali, i ristoranti propongono ai nostri diplomati stipendi miseri e pretendono di avere in cucina piuttosto che in sala personale già formato. È chiaro che si genera un cortocircuito dannoso. E così i ragazzi fuggono all’estero: quest’estate abbiamo avuto un contatto con una catena alberghiera tedesca che proponeva stipendi da 1.800 euro al mese, per cinque giorni a settimana, 8 ore al giorno scenario che in Italia è impensabile da trovare. A questi ragazzi non manca la passione, ma una prospettiva di crescita».

 

In cucina con la mascherina, che fatica

Lo scenario esterno ha comunque influenzato la scelta dei nuovi studenti. I ristoranti chiusi e obbligati a rispettare protocolli che da nessuna altra parte sono così rigidi rischiano di far appassire il fascino del mestiere. Lo sottolinea Mariacristina Schirosi, vicepreside dell’istituto alberghiero Vespucci di Milano: «Noi abbiamo avuto anche quest’anno tante richieste - osserva - e chi era davvero motivato a lavorare lo ha fatto nel migliore dei modi, frequentando stage e studiando. Altri invece si sono fatti, comprensibilmente, intimorire dalla situazione esterna, dalla poca affidabilità che la pandemia causa: non è facile pensare di rimanere in cucina a lavorare per 8 ore con la mascherina…».

 

Stage, magra consolazione

Se il mondo del lavoro, quello vero, non regala soddisfazioni le scuole e gli studenti stessi si consolano comunque con gli stage. «Siamo riusciti a mandare ragazzi in stage in strutture come bar, ristoranti e pasticcerie vicine alla residenza dello studente - ha spiegato Monica Napoli, dirigente scolastico dell'Isis Bonaldo Stringher di Udine - ci sono stati anche studenti che hanno lavorato a Lignano ma senza pernottare. Da quello che posso vedere e sento però, purtroppo il problema è che i ragazzi o chi ha già mosso i primi passi nel mondo del lavoro lamentano condizioni contrattuali poco eque: molte ore, turni faticosi, paghe basse. Poi dipende da dove si lavora. Ma la voce è che è un lavoro che rende poco e che chiede sacrifici, molti».

 

A rischio la qualità del lavoro

I problemi che scaturiscono, a cascata, da queste condizioni sono molteplici. Tra questi il rischio reale che in bar, ristoranti, pasticcerie ed hotel arrivi personale non qualificato. Perchè? «Perchè la domanda di lavoro supera l’offerta - spiega Ettorina Tribò, dirigente scolastico dell'Istituto professionale per l’enogastronia e l’ospitalità alberghiera “Enrico Mattei” di Vieste - e il rischio è che ci si rivolga a personale non qualificato. Per questo abbiamo attivato corsi serali per riqualificare anche chi già lavoro. Questo è lavoro che dà grandi soddisfazioni, ma richiede grossi sacrifici di tempo e impegno. Non è per tutti, un po’ faticoso ma lo consiglio sempre. Oltre al super lavoro c’è anche grande possibilità di organizzarsi».

 

 

A discolpa dei ristoranti: troppa incertezza, un rischio assumere

Ai ristoranti comunque non può andare tutta la colpa. In primis, non sono certo l'unico settore che viene additato di "sfruttare" i giovani diplomati o laureati; in secondo luogo la situazione di estrema crisi in cui sono precipitati impedisce agli imprenditori di farsi carico di assunzioni nuove che richiedono investimenti ingenti a fronte di chiusure che sono sempre dietro l'angolo.

«L'impatto pandemico - ha commentato Giuseppe Manolo Bontempo, dirigente scolastico dell'Istituto Statale Istruzione Secondaria Superiore Magnaghi Solari di Salsomaggiore Terme - ha sicuramente stravolto la ristorazione e anche parte dell’agroalimentare. C’è ancora molta incertezza da parte dei ristoratori e questa crea maggiore richiesta di stagisti. Non potendo assumere personale fisso, ci si è rivolto al personale scolastico. Ma purtroppo questo ha tempi ben definiti, non siamo a disposizione alla bisogna. La mancanza di personale è dovuta anche al fatto che molti del settore, di fronte all’incertezza, hanno dato avvio a uno scoraggiamento generale che ha portato diversi operatori a cambiare settore perdendo personale qualificato. Poi ovviamente si tratta di un lavoro molto dispendioso a livello di tempo impiegato e fatica cui, in alcune occasioni, non corrispondono investimenti sul personale. Si cerca di tamponare, insomma, in attesa delle certezze. E questo si riverbera sui compensi».

 

Gavetta e diritto a un lavoro equo

Dove finisce il principio della "gavetta" e dove inizia il diritto ad un lavoro che venga remunerato in proporzione alla qualifica e allo sforzo è difficile da definire. Chiaro però che un intervento almeno culturale vada fatto; un'attività che vuole progredire e lavorare al meglio non può permettersi di non disporre di personale qualificato e, oggi più che mai, dare fiducia ai giovani può essere essenziale per intercettare le tendenze del momento. D'altro canto non si può negare che esiste una fetta di nuova generazione che muore di fronte ad uno schermi illuminato invece che vivere di sacrificio e voglia di lavorare al meglio in un mestiere "artigianale". Un po' bastone e un po' carota, dagli educatori prima di tutto e dai ristoratori poi, potrebbe essere un'antica ma sempre efficace soluzione.

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