In Italia l'associazionismo funziona Ma le realtà che nascono sono troppe
15 aprile 2017 | 17:19
di Enrico Derflingher
foto: Nicola Impallomeni
Un concetto di associazionismo che funziona molto bene in un settore che negli ultimi tempi è salito alla ribalta e finito sotto la luce dei riflettori, che regala soddisfazioni ma espone anche ad alcuni rischi, e dunque più ancora di prima necessita di attenzioni particolari all’interno della categoria. Parallelamente questo modo di lavorare consolida anche quel concetto di squadra e di collaborazione che nel corso del Premio è stato più volte ribadito e osannato come ormai metodo migliore, se non unico, per promuovere la ristorazione italiana e con lei anche l’accoglienza e il turismo.
In Italia però le associazioni di cuochi stanno diventando troppe, ce ne sono almeno 15 quando in un Paese come la Francia non ne esistono più di 2. Seppur lodevoli per i principi sui quali si fondano spesso non riescono a mantenere alto il livello dei servizi oppure rischiano di entrare in conflitto con quelle storiche che esistono da decenni, proprio come quelle premiate a Firenze ad esempio.
Forse sarebbe più utile che chi ha l’idea di dar vita ad un’associazione riveda in parte il suo progetto pensando, ad esempio, di legarsi ad un’associazione già esistente portando nuovi progetti e forze fresche. Purtroppo però esistono ancora delle “gelosie”, delle “invidie” e delle voglie, poco utili, di essere protagonisti e allora i buoni propositi cadono. Ci sono ancora associazioni che “tirano la giacchetta” ai big della cucina italiana, conosciuti in tutto il mondo, per farli associare alla propria realtà facendo a gara a chi può vantare il nome più di spicco. Tecniche che non fanno bene alla cucina italiana la quale, al contrario, deve pensare a muoversi sempre di più come un unico sistema, in un blocco solido e consapevole che abbia principi, obiettivi e mezzi comuni.
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Alberto Lupini