I ristori servono, ma non bastano. L'importante è pensare al futuro

È fondamentale immaginare nuove formule di gestione e scoprire come potersi "adattare" ai nuovi scenari imposti dalla pandemia. La centralità della cucina va utilizzata meglio puntando anche su delivery, asporto e ampliamento di orari e servizi. L'importanza di essere digitali e e della green economy

12 febbraio 2021 | 12:02
di Vincenzo D’Antonio
Proviamo un giochino borderline, tra infanzia ed adolescenza, role play per saggiare la credibilità propria o l’ingenuità altrui: spararla grossa! Suvvia, chi non l’ha sparata mai grossa … e poi ancora più grossa? Ecco, non vi c’è nostalgia di quel gioco, ma ad esso si ricorre per... spararla grossa: “I ristori non servono, sono inutili“. L’abbiamo sparata grossa! Ma al cimento non ci si sottrare e... la spariamo più grossa: “I ristori sono nocivi!!”.

Ora basta, oltre non sapremmo andare con un gioco-provocazione!

 

Confusione sui ristori, così diventano negativi
L’aspetto “negativo” dei ristori risiede nella fatale confusione che di essi è stata fatta e si continua a fare. Ragioniamo insieme. Che ristorare l’impresa vittima di danni dovuti a temporanee cessazioni di attività cagionate da decisioni “di autorità” (a loro volta cagionate da cause forti ed evidenti) sia un atto dovuto, è cosa che alberga nel buon senso di noi tutti, ancor prima che nel “libro delle leggi”.

Ristori, atti dovuti. Senza se e senza ma. Modalità e tempi dei ristori, loro “quantum” e criterio di valutazione di questo “quantum” divengono però materia di opinabili contese. Opinabili e quindi non si entra qui nel merito, altrimenti opineremmo anche noi! Non divaghiamo. Il ristoro è un aiuto, è un atto inusuale al quale si arriva per “soccorrere” l’imprenditore nel frangente imprevisto del danno di esercizio causato dalla temporanea cessazione di attività ex lege (qui diremmo, ex Dpcm). Tutto qui: è un aiuto. Lenisce, non cura.

Non ha valenza terapeutica. Ed invece, per pigrizia mentale, per effimera convenienza dell’oggi, per sopravvenuta stanchezza, a sua volta correlata a montante e comprensibile demoralizzazione, gran parte degli aventi diritto ai ristori (diritto sacrosanto) hanno confuso la pillola lenitiva con il magico farmaco salvavita. Il ristoro allevia, concorre a scongiurare la cessazione definitiva dell’attività. Ma non fa altro, non può fare altro.

Altro, ben altro, lo può fare e per sua mission lo “deve” fare il ristoratore imprenditore: Certo, se poi l’idea non la si prende neppure in considerazione perché ... “ma cosa avrei io da imparare che già non so” e … “chi mai sarebbe in grado di insegnare qualcosa a me, quando sono io che posso insegnare agli altri”, allora è notte, notte fonda di novilunio.

E se la pandemia fosse un'occasione?
Magari basterebbe considerare questi drammatici momenti come periodi sabbatici involontari, né cercati, né desiderati, ma che a volerli guardare con questa lente (interpretando cioè il lockdown e le zone policrome come momento inaspettato ma non necessariamente tragico e letale) possono diventare momenti di “ozio creativo”. Occasioni cioè in cui mettersi in discussione, riflettendo su cosa stia per diventare la ristorazione nel post pandemia. È un’azione saggia e necessaria che in molti stanno sfruttando, scoprendo che alla fine può persino essere piacevole, o quanto meno utile, studiare ed apprendere per trovare soluzioni nuove.

E magari, finalmente, si apprende e si metabolizza che nel post pandemia sopravviveranno le organizzazioni adattive, quelle che sanno modificarsi, evolvendo, in un ambiente che cambia continuamente. Certo, vuoi mettere il comfort nella bambagia, ma quelli sono ormai tempi passati per tutti, non certo quelli attuali e men che meno quelli venturi. I ristoratori, insieme con i loro collaboratori ed i loro stakeholders sono chiamati ad adattarsi continuamente a nuove realtà. L’obiettivo è cogliere e adattarsi alle novità. Ma quali sono gli elementi di novità?

Adattarsi alle novità
La cucina è ad esempio un centro di produzione che non è più finalizzato ad una sola piattaforma di vendita quale era e resta la sala, ma che ora si può aprire ad altre due: la delivery e l’asporto. Se si affronta questa problematica, si capisce che si possono aprire grandi opportunità di business incrementale, secondo un approccio che abbia rigore metodologico e che scandisca tempi di analisi e tempi e modalità di attuazione. Aao (Almost Always Open) sta diventando irrimandabile ed ineludibile.Gli slot canonici di “ora di pranzo” e “ora di cena” appartengono al passato e sono lo specchio di una scansione dei tempi caratteristica della società industriale. Non si può più pensare ad orari di apertura in funzione esclusiva di pranzo e cena. Si tratta di ampliare le fasce di apertura con nuove offerte e immaginare possibili praterie di incassi incrementali.

Semplice? Assolutamente no! Aao è di difficile attuazione, se solo si vuole pensare alle diverse turnazioni dei collaboratori e all’ampliamento dell’offerta e al ridisegno degli spazi interni e all’allestimento dei dehors. Possiamo mai prescindere dal fenomeno dello smart working? Un mare di problemi. Problemi praticamente irrisolvibili senza l’abilità del problem setting (individuare e rendere noti i problemi) e del problem solving (individuare le soluzioni e renderle attuabili). Lo scenario prossimo venturo, come ci stiamo accorgendo, si caratterizza per la forte turbolenza. Ma le turbolenze non si superano né restando immobili né ad esse cocciutamente opponendosi, bensì rendendo adattiva l’organizzazione. Adattiva e sostenibile.

Siamo, e sempre più ci saremo, man mano che andiamo avanti, nella green economy. Facciamo solo finta di crederci perché è “di moda” e sembra “brutto” non esserci? Facciamo “greenwashing”?Peggio per noi. Peggio per noi tre motivi:

Primo motivo, crediamo di ingannare i clienti ed anche gli altri stakeholder, ma è bugia con le gambe corte e l’inganno sarà presto scoperto;

Secondo motivo, rinunciamo ad un notevole business: l’applicazione consapevole dei dettami della green economy divarica la forbice costi/ricavi. Detta diversamente, con la green economy si guadagna di più.

Terzomotivo: concorriamo ad una peggiore qualità della vita, la nostra e quella delle generazioni a venire.


La crisi dei cuochi non si placa

E allora che si fa?
Da domani mattina “green economy” e adesione al progetto New Green Deal e, per esso, al from Farm to Fork (F2F)? Da domani mattina? Senza formazione, senza essersi documentati, senza aver partecipato a seminari, senza ascolto di consulenti? Ci stai in rete? “Eccome se ci sto! Pensa che pubblico e faccio pubblicare da un ragazzo sveglio che queste cose le sa fare bene, più di dieci foto al giorno. Se non sono social io?”. Ma abbiamo idea di cosa significhi svolgere ruolo attivo ed efficace nella business community? Siamo digitali in tutto? Come ci pagano i clienti, come paghiamo i fornitori? Come emettiamo ordini ai fornitori e, come li individuiamo, li approcciamo e ad essi ci rapportiamo?

Conosciamo i nostri clienti? Ma sappiamo, sopra a tutto e prima di tutto, cosa significa veramente “essere digitali”? E come lo sappiamo Avendolo imparato dove e come? La tecnologia su cui si fonda la trasformazione digitale non è solo lo smartphone, che “aspetta mo’ ci mettiamo su Instagram, e neanche solo un software gestionale per quanto ben fatto ed efficiente”.

 

Quanta IoT (Internet delle Cose) funziona in cucina?
La trasformazione digitale o è pervasiva e irrora tutti i gangli del ristorante, o semplicemente non è trasformazione ma solo aggeggino per dire ... ci sto pure io”. Ci adoperiamo a ché i nostri collaboratori sviluppino nuove competenze e da manodopera si commutino finalmente in mentedopera? Quanta roba! E se ci fosse imposta sintesi? Una sola parola in grado di esprimere in un unico concetto tutta “questa roba”? OK, la parola è: adattività.

Adattività intesa come l’abilità a crescere, ad evolvere, a svilupparsi, onde rispondere correttamente e tempestivamente ai cambiamenti che insorgono nell’ambiente complesso, rimodellando continuamente la propria struttura gerarchica, la performance ed i criteri per valutarla, e i ruoli. L’azienda ristorante deve necessariamente diventare adattiva, ovvero disponibile e ben propensa ad accogliere quelle abilità emergenti che le permettano di vivere come organismo e non come oggetto inanimato. Non è semplice trasferire questo concetto e applicarlo all’interno del ristorante se non ci si forma opportunamente. Siamo mica nati … “imparati”.

Cinque fattori per la ripartenza
Vorremmo avviarci a concludere affermando che i ristoranti per poter diventare adattivi devono tendere all’acquisizione di cinque fattori che in acronimo originale chiameremo Assai. D’altronde, non ci piace dire “ieri sera a cena c’era assai gente”? Assai, quindi!

Aperto: connesso in rete e partecipe della community always on, ben consapevole del ruolo da svolgere;

Simbiotico: crea relazioni reciprocamente vantaggiose nel medio e lungo termine con gli stakeholders; tutta la vita del ristorante sarà intesa come simbiotica;

Sostenibile: consapevolmente organico alla Green Economy, al New Green Deal e, in esso, al progetto from Farm to Fork (F2F); va costruito il ristorante sostenibile;

Astrattivo: abile a leggere lo scenario, facendo appunto astrazione, di esso captando gli “early warnings” (segnali precoci) onde riflettere ed agire di conseguenza in tempi veloci.

Intelligente: sa apprendere le lezioni quotidianamente impartite dal mercato e dai clienti, per poi saper adottare nuovi comportamenti, fino ad arrivare all’intelligenza connettiva atta a rigenerare costantemente il tessuto organizzativo del ristorante.

Effettivamente l’avevamo sparata proprio grossa quando in apertura abbiamo affermato che i ristori sono nocivi! Affermazione mendace.

Ozio forzato che diventa ozio creativo, quel poco di cash proveniente dal ristoro investito per aggiornarsi e formarsi onde essere pronti a condurre l’impresa ristorante del futuro, e dove starebbe la nocività?

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Alberto Lupini


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