I paradossi della mixologia
Nei cocktail bar di tutto il mondo ormai si servono drink creati ad arte con ingredienti originali, preparati con tecniche all’avanguardia. Il rischio è quello di dimenticare le basi del bere miscelato
17 gennaio 2020 | 08:39
di Ernesto Molteni
I paradossi della mixologia
È un mondo affascinante, ma ci domandiamo: fino a che punto può essere utile questa forma di marketing? E fino a che punto può essere utile credere nella formula dei cocktail non replicabili? Oltretutto in questo modo di fare bartending viene valutata sì la creatività, ma non la capacità di esecuzione di un drink conosciuto come sempre succede nei classici cocktail bar. Dove sta quindi l’arte del barman?
Recentemente visitando i migliori “speakeasy bar” nel mondo, a partire da Londra, dove ne è nata la moda, abbiamo potuto constatare che spesso c’è una tendenza esagerata di tutti questi fattori, che supera i canoni della classica degustazione organolettica. Molte volte, seppur colpiti dal fascino del cocktail, difficilmente si arriva a berne più di uno. Quasi 200 anni di storia classica insegnano invece che bisogna usare tecniche e tecnologie solo quando servono a migliorare il sapore del drink, che bisogna fare un drink fantastico con meno ingredienti e operazioni possibile e pensare al drink come a un successo se il cliente ne ordina un altro.
Il nostro è un settore in continua crescita e cambiamento, peccato che le mode e le leggi del marketing abbiano esasperato le idee senza seguire un percorso di studio e di apprendimento anche esperienziale. La moderna mixologia è una vera e propria scienza che ci ha permesso in molti casi di migliorare i nostri preparati, ma non deve offuscare l’arte, il gusto e l’accoglienza. Negli ultimi mesi, proprio a Londra, questa tendenza si sta attenuando e ciò potrebbe essere un chiaro messaggio per quelle realtà che stanno nascendo adesso in altri contesti, mentre nei bar degli hotel a 5 stelle si dà spazio all’innovazione ma viene mantenuta ad alti livelli anche la miscelazione classica insieme alla cultura e all’accoglienza professionale.
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Alberto Lupini